L’istituzione scolastica in Italia o dell’anamnesi

(Pinella Bongiorno)

Abbiamo fatto l’Italia, ora faremo gli italiani! La famosa espressione pronunciata dal conte Massimo D’Azeglio – quando tutti i rappresentanti delle Regioni nel 1861 si pronunciarono a favore dell’Unità italiana – sintetizza ma non semplifica il problema. Molti testi scolastici, con enfasi, hanno offerto alle nuove generazioni l’epopea risorgimentale, oggi minacciata di revisionismo, mentre echeggiano rumori separatisti che dimostrano come la scuola popolare non abbia infuso il Risorgimento a valore condiviso. Certo, il Regno era chiamato ad assumere l’onere dei debiti finanziari degli stati pre-unitari. Il debito siciliano era inferiore rispetto agli altri, ma l’omologazione del debito collettivo portò l’Isola ad un forte collasso economico; s’inserì una strategia che favorì il Nord con finanziamenti e investimenti. Il Sud della penisola subì un depauperamento tale che le imprese, industriali e artigianali,  discretamente avviate, furono soffocate e chiuse. Si rimpianse il governo borbonico. Nel Gattopardo si dispiega mirabilmente l’inquietudine di don Ciccio Tumeo, per quei cambiamenti che sovvertivano ogni cosa, e al principe Fabrizio sfoga il suo dissenso: Voi lo sapete, Eccellenza, la buon’anima di mio padre era guardaccia nel Casino reale di S. Onofrio, già al tempo di Ferdinando IV quando c’erano qui gl’Inglesi. Si faceva vita dura ma l’abito verde reale e la placca d’argento conferivano autorità. Fu la regina Isabella, la spagnuola, che era duchessa di Calabria allora, a farmi studiare a permettermi di essere quello che sono, Organista della Chiesa, onorato della benevolenza di Vostra Eccellenza; e negli anni di maggior bisogno quando mia madre mandava una supplica a corte, le cinque ‘onze’ di soccorso arrivavano sicure come la morte.10 A questo lamento altri se ne aggiunsero. Particolarmente invisa fu la coscrizione, e per evitarla le famiglie non mandavano i figli a scuola cosicché i renitenti, alla leva obbligatoria, finirono con ingrossare le fila del brigantaggio.

Il ceto dei proprietari terrieri, emerso nel 1860, sfruttò la nuova amministrazione statale, le cui elezioni politiche apparivano di più facile manipolazione rispetto agli apparati del governo assolutista. La corruzione e l’intimidazione snaturarono il fine ideale del Risorgimento.

Fu chiaro che la élite locale non era per nulla interessata all’istruzione popolare e spesso si rifiutava di costruire scuole a dispetto della legge sull’istruzione obbligatoria; per giunta il corpo insegnante nelle scuole esistenti riceveva un modestissimo stipendio, perché  le autorità locali sapevano come servirsi del denaro pubblico in modo più vantaggioso a meno che (come accadeva abbastanza spesso) gli insegnanti non fossero loro parenti.11 Siffatto modo rese inefficace la legge Casati in una delle sue parti: Dell’Istruzione elementare. Nell’articolo 317 si sanciva: “l’istruzione elementare è data gratuitamente in tutti i Comuni. Questi vi provvedono in proporzione alla loro facoltà e secondo i bisogni dei loro abitanti”. Il ministro Mamiani, subentrato nel 1860, avvalendosi della facoltà concessa dall’articolo 370 della legge Casati, stabiliva che lo Stato avrebbe creato Scuole Normali (maschili e femminili) per la preparazione dei maestri e delle maestre elementari di grado inferiore soltanto nei capoluoghi di provincia. La formazione dei primi docenti abilitati all’insegnamento era piuttosto lacunosa, poiché si considerava bastevole un sapere appena superiore agli studi elementari e una certa predisposizione a trattare con i bambini. Il regolamento, per l’istruzione elementare, redatto dal ministro Mamiani, comprendeva 168 articoli dai quali emergeva, soprattutto, l’attenzione a un formalismo esteriore: il comportamento degli alunni e degli insegnanti, la loro condotta morale, l’osservanza alle più ovvie norme di carattere igienico e disciplinare. L’impegno maggiore era rivolto alle amministrazioni periferiche provinciali e comunali, incaricate d’investire fondi per il mantenimento della scuola, compreso lo stipendio degli insegnanti. A fine anno s’includeva la proposta di un premio, per gli allievi più meritevoli. In quanto alle materie d’insegnamento si mettevano in primo piano la religione e la morale, contemplate in ben tre articoli del regolamento. Nessun riferimento si faceva ai diritti degli insegnanti. Ma era un atteggiamento ormai consolidato fin dalla legge Casati, il cui obiettivo era di eliminare, in poco tempo, la piaga dell’analfabetismo; per raggiungere questo scopo dovevano essere trascurati gli aspetti formativi del corpus docenti.

Con Michele Coppino si annunciavano, nel 1875, nuove applicazioni, che purtroppo s’infransero con le solite sostanziali inadeguatezze: l’abilitazione degli insegnanti, la conformità degli edifici scolastici agli standard d’igiene e sicurezza e, non ultime, le attrezzature. Nonostante tutto la pubblicistica divulgava e sosteneva l’impegno  dello Stato. Il ministro Coppino, uomo di sinistra e anticlericale, nel suo programma sull’insegnamento, non fa alcun cenno alla religione che, come materia rimase esclusa dalle scuole italiane fino al 1923, quando Giovanni Gentile la introdurrà a fondamento dell’istruzione primaria.


10 Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, MEDIASAT, Barcellona 2002, p.95

11 D. Mack Smith, op. cit. vol. III, p. 609.

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