La bambola. Gioco e/o modello di conformazione ideologica (seconda parte)

(Pinella Bongiorno)

Sebbene esista una copiosa letteratura è bene ricordare come sia stato perpetrato, nei secoli, un’esiziale disattenzione nei confronti di questa delicata ed indifesa stagione che è l’Infanzia. Ma soprattutto ciò che insiste sul piano sessista è la prevaricazione ideologica a discapito delle donne. Nel passato, la marginalità femminile si radicalizzava a tal punto che, anche per il nutrimento, si faceva differenza fra il bambino e la bambina: quest’ultima, difatti, era oggetto di poca considerazione e perciò riceveva meno cure,3 in quanto le aspettative genitoriali non andavano oltre un destino da compiersi nel claustrale ambito domestico come futura sposa e madre.
Fin da piccola è avviata allo svolgimento di compiti che svilupperanno il senso di responsabilità, l’esercizio della pazienza e la totale dedizione affinché in età maritale possa « essere utile alla casa e buona massaja».4
I suoi giochi hanno scopi utilitaristici: ricamare, cucire, filare e tessere, ma anche accudire i fratelli più piccoli.
Il lavoro di Pitrè, proprio per il contesto in cui visse e operò, riflette la temperie culturale del tempo, cosicché il gioco si colloca in un registro prettamente maschilista.
La genesi e la produzione delle forme ludiche obbediscono alla logica della differenza di genere, inseguendo pertanto la separatezza e la discriminazione sessista che la tradizione consegna e tramanda alle nuove generazioni.
Nell’opera di Pitrè si coglie lo spirito che anima i fanciulli, i quali attraverso il gioco emulano i comportamenti degli adulti. Infatti, l’uomo cavalca, ed il bambino va “a cavallo alla canna” – così come  – i suoi stessi balocchi e giocattoli che cosa sono se non riproduzioni rudimentali ed imperfette di oggetti e strumenti della vita comune?5
E ancora, possiamo notare come Pitrè si accosti all’argomento sotto l’influsso della  dottrina positivista dominata dal sintagma causa-effetto. Le emergenti teorie scientifiche gli fanno affermare: Di tutto questo le ragioni sono etniche e psichiche. L’uomo-fanciullo non può sottrarsi all’ambiente che lo circonda: e da esso ritrae le sue idee, su di esso acquista le prime nozioni della vita domestica, ad esso acconcia le sue abitudini ed i suoi costumi. Alimenti, vestire, abitazioni, occupazioni giornaliere di lui, tutto s’informa alle condizioni telluriche e climatiche in mezzo le quali egli respira, si agita e muove. Se la cosa manca al piccolo mondo che al fanciullo si pesenta, l’idea di questa cosa deve egualmente mancare, perché non ha ragione d’affacciarsi; e se la cosa esiste in una data forma e maniera, sotto di quella s’apprenderà dal piccolo essere.6
Non può stupirci, dunque, se fra tanti giochi, descritti da Pitré, pochissimi riguardano le bambine; ne menziona solo alcuni applicando – come suo consueto – il metodo storico-comparativista, rintracciando gli elementi costitutivi nelle varianti riscontrati in diverse parti del mondo. Per esempio: in Russia il “Càncara e bella” richiama al giuoco “A moscacieca” fondendosi in questo tipo tanto noto e tanto comune […] Erano le ragazze che [nell’antica Grecia]giocavano alla “testuggine” […] fusione di vari nostri divertimenti, tra i quali la “moscacieca, i “Quattro cantoni” ecc.]; e fusione de’ due nostri giuochi “Alla palla” e “Alla lippa” è un giuoco usato dai Bongos, popolo dell’interno dell’Africa.7
Sempre nei giochi, lo studioso evidenzia anche l’aspetto simbolico, traducendo con sopravvivenza il già noto termine di Edward B. Tylor.8 In “Primitive culture” del 1871, l’antropologo inglese dichiara che in molte manifestazioni popolari si conservano le tracce di antiche pratiche delle quali, per coloro che le adottano, non vi è più consapevolezza sul significato originario. Ciò è dimostrato da gesti e strumenti maturati da una società arcaica e primordiale che li impiegava nella caccia e nella raccolta reiterati, successivamente, con varianti e modifiche, in azioni e obiettivi ormai svuotati dell’antico senso. Una realtà, fra le tante, che li ospita è quella dei giochi, ed è pertanto compito dell’etnologo recuperare e interpretare i “residui” in essi depositati.9
Il contesto socio economico incide sicuramente su certe modalità ludiche; tuttavia la sistematica dicotomia comprende sia il lavoro, sia la classe, sia il genere. E il ludo.
Sicché le bambine giocheranno A li cummari oppure A la pappa-cucinedda dove poter sperimentare il ruolo per esse precostituito. Si comincia “giocando” a far fronte alle difficoltà della vita; quelle stesse  che le femministe tedesche del XIXsecolo cifrano con le tre kappa (Kinder, Kirke, Kücke) ovvero: bambini, chiesa, cucina.10


3 Cfr. Franco Cambi, Storia della pedagogia, Laterza, Roma-Bari, 2002, p. 136.

4 G. Pitrè, La famiglia, la casa, la vita del popolo siciliano, pref. B. Bernardi, Edizioni”Il Vespro”, Palermo, ristampa 1978, p. 426.

5 G. Pitrè, Giuochi fanciulleschi siciliani, op. cit., p.XXIII, passim.

6 G. Pitrè, idem., pp. LI-LII.

7 Ivi, p. LI.

8 Cfr.: Aurelio Rigoli, Il concetto di sopravvivenza nell’opera di Pitrè e altri studi di folklore,Sciascia ed., Caltanissetta-Roma, 1963.

9 Cfr.: A. Rigoli, Le ragioni dell’Etnostoria, Ila palma, Palermo-São Paulo, 1995 p. 119 e sgg. Per l’etimologia dei giochi del XVII secolo vedi: Mondo popolare e letteratura, Flaccovio ed. , Palermo  1971 pp. 73-85.

10 AA. VV. Dal salotto al partito. Scrittrici tedesche tra Rivoluzione borghese e Diritto di voto(1848-1918), a cura di Lia Secci, ed. Artemide, Milano, (1982) 1997, p. 111.

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