Largo al factotum

(Carmelo Fucarino)


Il 20 febbraio 1816 il Barbiere di Siviglia, composto in appena due mesi dal contratto (15 dicembre 1815) senza scelta del soggetto, fu accolta con fischi al Teatro Argentina di Roma, uno dei più antichi della città (inaugurazione 31 gennaio 1732), definito dai visitatori stranieri il più importante tra quelli romani e reso celebre da questa rappresentazione. Si disse che la contestazione fosse opera dell’impresario del rivale Teatro Valle, ma più verosimilmente dei fan di Giovanni Paisiello. Proprio per evitare il loro risentimento Rossini aveva scartato il titolo originale della commedia di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais, Le Barbier de Séville ou la Précaution inutile (1775), e aveva titolato la sua opera buffa in due atti, libretto di Cesare Sterbini, Almaviva, o sia l’inutile precauzione. Il commediografo francese, amico di Gluck, Salieri, Paisiello, Piccinni e insegnante di musica alla corte francese, spirito irrequieto ed originale, autore anche del Mariage de Figaro ((1784), musicato da Mozart, aveva voluto fare una satira dell’ottimismo della classe borghese già in ascesa alla vigilia della rivoluzione. Aveva tratto ispirazione per l’ambiente da un viaggio in Spagna, per la disavventura della sorella Lisette, abbandonata dal marito. Il testo, già musicato da Francesco Morlacchi, era stato messo in musica altre sei volte. L’ultima edizione di Giovanni Paisiello (1782) riscuoteva ancora grande successo sulle scene. In effetti già dalla seconda replica quella di Rossini raggiunse il trionfo e il successo oscurò tutte le altre versioni.
Scriveva il mio maestro Luigi Rognoni (Gioacchino Rossini, Einaudi, Torino, 1977) che l’opera rappresenta “il punto d’arrivo, nel suo perfetto equilibrio, nella rifinitura e chiarificazione stilistica, dell’espe¬rienza neobarocca di Rossini, ma è, anche, un superamento di tale esperienza. Come già con Le nozze di Figaro, col Barbiere l’opera comica raggiunge un secondo limite formale, ma il con¬tenuto sociale della rappresentazione è radicalmente mutato. Nelle Nozze mozartiane, la ‘regola del gioco’ era condotta sul filo di un edonismo oggettivo, ritmato entro forme chiuse di una esistenza sociale autosufficiente e perciò staccata da ogni altra forma di vita che non fosse riconducibile a quei modelli e a quei canoni… Rossini s’impadronì di questi ‘modelli’, ma li applicò alla nuova realtà sociale dell’uomo che era scaturita dalla rivoluzione francese; e lo spirito della borghesia, che veniva sostituen¬dosi al vecchio mondo aristocratico, è vivamen¬te ritratto nel Barbiere rossiniano. L’esperienza neobarocca si tramuta così in gesto ironico; Rossini carica le tinte, senza appesantire, ed i personaggi di Beaumarchais acquistano un nuovo ritmo; una psicologia ancora più terrena e realistica: sono lo specchio di una quotidianità, i cui atteggiamenti e i cui difetti Rossini ac¬centua, senza troppi complimenti, trascinando lo spettatore dal sorriso alla sonora risata, a riconoscervisi”.
Da sette anni l’opera era assente dal cartellone di Palermo. Eppure il “Cigno di Pesaro” (Pesaro, 29 febbraio 1792, Parigi, 13 Novembre 1868), ma anche il “tedeschino” per le sue simpatie musicali, il “divino Maestro” (H. Heine), il “Titano di potenza e di audacia. Il Napoleone d’un’epoca musicale” (Giuseppe Mazzini, Filosofia della musica), lodato da Beethoven proprio per l’opera buffa, era osannato dai contemporanei. Di lui trentaduenne scriveva Stendhal nella sua Vita di Rossini: “È difficile scrivere la storia di un uomo ancora vivo … Lo invidio più di chiunque abbia vinto il primo premio in denaro alla lotteria della natura … A differenza di quello, egli ha vinto un nome imperituro, il genio e, soprattutto, la felicità”. Dagli anni Settanta è stato oggetto di una vera e propria Rossini-renaissance, si è riscoperta la sua titanica genialità. Mozart italiano che scrisse a soli 14 anni la sua prima opera, dal 1810 al 1823 durante la fase italiana rappresentò ben 30 opere, in una lunga traiettoria di capolavori, da La cambiale di matrimonio, a La Cenerentola, a L’Italiana in Algeri al romantico Guillaume Tell per citarne qualcuna. E i capolavori sacri lo Stabat Mater (1841) e La petite messe solennelle (1863). Come il wagneriano Bayreuther Festspiele, o il mozartiano Salzburger Festspiel, o il Beethoven Festival a Bonn, anche a lui la sua città natale dedica un Rossini Opera Festival e tutela la sua opera con la Fondazione Rossini.
Perciò grandi attese suscitava questa riedizione. E il ritorno a Palermo è stato salutato da grandi ovazioni, travolti dallo stupore per la genialità delle situazioni, la sorprendente modernità dei temi, la complessità e flessibilità degli esperimenti musicali che spesso mettono a dura prova gli artisti. Per tutti i temi celeberrimi il miracolo virtuosistico della gettonatissima cavatina di Figaro del I atto (Largo al factotum) che il baritono Fabio Capitanucci, ha interpretato da specialista del ruolo con levità e spontaneità, con una verve travolgente che ha espresso poi in tutto il personaggio, nuovo tipo sociale, qui reso dal regista Francesco Micheli con vestito di rosso e cilindro da mago, emblema della nuova classe sociale che soppianta e dirige l’aristocrazia. Su questa linea l’invenzione del regista forse ha ecceduto, quando ha presentato la caleidoscopica bottega mobile, espediente alquanto forzato che voleva alludere ad un improbabile, fuori tempo, “primo lavoratore ambulante della storia del teatro”. Così quell’invadente ed ossessiva moda di attualizzare, il Settecento degli imparruccati e della Siviglia ispano-araba che tutti conosciamo con una scenografia di stilizzati e astratti paesaggi falso Joan Mirò barcellonese Così il gioco dei blocchi, spinti a braccia da teatranti affannati, espediente stagionale già prodotto altre volte sulla scena del Massimo, con effetto di disturbo e di distrazione dalla melodia. Perciò il giovane direttore Michele Mariotti si è ben difeso al momento dell’attacco dell’opera con la celeberrima sinfonia, suo primo impatto con orchestra e pubblico. Durante questa esecuzione il frenetico vorticare dei sei blocchi, oltre a distrarre dalla musica, producevano un senso di capogiro. Così il loro smontaggio già visto sulla scena del teatro antico di Siracusa, la reggia di Aiace che si apriva con fracasso sulla macelleria del gregge. Qui le facciate dei palazzi sorrette e spostate a fatica si aprono per fortuna sullo spaccato a tre sezioni colorate, al centro il boudoir con la vetrina delle pupe (la casa di bambola ibseniana?). Sempre l’ossessione per il simbolismo scenico, qui anche con i colori di facciate e personaggi: rosso vivo per Figaro, blu per Almaviva, oro per Rosina, nero per Bartolo e Basilio. Chissà con quale criterio di simbologia cromatica! E chicca da ricordare il cavallo di Troia, poi metamorfizzato in prigione.
Al di là di queste acrobazie registiche la genialità dell’autore e la bravura degli interpreti. Cosa dire della briosità di Simone Alaimo – Don Basilio nell’aria La calunnia è un venticello o la dolcezza, ma anche la prova di preziosismi e di potenza vocale di Rosina, il soprano georgiano Ketevan Kemoklidze, nella splendida cavatina Una voce poco fa, della magia espressiva e della bravura da scioglilingua affrontata con semplicità fonica dal Don Bartolo – Nicola Alaimo, dottore in medicina? E la Berta di Giovanna Donadini che ha meritato ovazioni nella celebre aria Il vecchiotto cerca moglie. È restata alquanto scialba la figura del conte d’Almaviva, resa dal tenore russo Dmitry Korchak. Lode al merito della realizzazione in tutte le componenti.
Qualche curiosità. Rossini era solito riciclare le sue composizioni più amate: questa sinfonia non solo era stata scritta per l’Aureliano in Palmira (come pure la cavatina a Rosina Ecco ridente in cielo), ma era già stata riutilizzata per Elisabetta regina d’Inghilterra. Così lo stupendo coro iniziale Piano pianissimo era tratto dal Sigismondo. La parte per Rosina era di contralto, ma fin dal 1819 ad opera della Ronzi De Begnis si apportò una variante nella scena della lezione, l’aria rossiniana fu sostituita con un pezzo di bravura a ca¬priccio, secondo le doti della cantante. La Ronzi scelse la barcarola La biondina in gondoleta, la Malibran una canzone gitana.
Celebri edizioni discografiche: 1958, con Tito Gobbi e Maria Callas; 1993, con Placido Domingo e Kathleen Battle.
Edizioni cinematografiche: 1946, regia di Mario Costa con Tito Gobbi e Ferruccio Tagliavini; 1972 diretta da Abbado con Hermann Prey, Teresa Berganza, Luigi Alva, orchestra e Coro della Scala.
La notissima cavatina Largo al factotum è la colonna sonora del film Un fidanzato per due figlie (Oscar 1991) ed è cantata da Robin Williams ad apertura del film Mrs. Doubtfire (1993); è stata interpretata dal gruppo Elio e le Storie Tese con abiti d’epoca, sul palco del Festival di Sanremo del 2008.

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