Sulla biancheria intima

(Raffaello Piraino)

È unico…ne ho comprati quattro, Honoré Daumier, 1840

La storia della biancheria intima è relativamente recente, anche se la tunica intima dei Romani era una vera e propria camicia, come lo era la lintea dell’epoca imperiale che si infilava sotto la tunica.
Si può dire che, in genere, le vesti a foggia di camicia dei popoli antichi, anche se portate direttamente sul corpo assolvevano a funzioni di abbigliamento esteriore.
La biancheria nel senso moderno era ancora sconosciuta nel Medioevo, sebbene vi fosse già una certa tendenza, soprattutto presso il ceto nobiliare, a portare indumenti più fini sotto l’abito. In rogiti medioevali italiani del 1120 e del 1147si può leggere: Recepi camisiam unam e Ad Iemma, cognata mea, detur ei camisia. Nella novella di Martellino da Firenze del Boccaccio, il poveretto si ritrova in camisia, modo ancora oggi in uso, per indicare uno stato di indigenza.
L’arte dei linaioli fiorentini, che oltre a farsetti (giubbetti invernali imbottiti di farsa o farcia) confezionavano anche camicie, era molto ricca nel Trecento. A Firenze, inoltre, per panni lini, si intendeva la biancheria.
In Francia e in Italia nel Rinascimento, le camicie erano una parte elegante del corredo della sposa e del guardaroba del gentiluomo. Nel corredo di Isabella d’Este, duchessa di Mantova e in quello di Beatrice d’Este duchessa di Milano, non sono soltanto elencati i capi ma furono descritti i diversi modelli, i ricami e le guarnizioni. Già fin dal 1387, sulla nota del corredo di Valentina Visconti che andava sposa a Luigi d’Orleans, si parla di una camisia per il bagno.
La parola biancheria si incontra per la prima volta in Francia all’inizio del ’600 e comprende anche i caleçon, cioè le mutande. Queste divennero obbligatorie per le donne quando andavano a cavallo e per le attrici che calcavano le tavole dei palcoscenici. A Venezia e a Genova invece, furono imposte obbligatoriamente alle prostitute che, sotto le loro vesti indossarono le brachesse, veri e propri mutandoni. Lo stesso nome, di derivazione latina, mutandae (da mutare), ne indica l’uso antichissimo di questo indumento destinato ad essere lavato di frequente. I Romani inoltre, usavano la subligatula sotto la tunica, così come attesta Cicerone nel De officiis.
In alcune miniature medioevali si notano camicie con le spalline indossate da giovani donne al bagno anche se era uso comune a tutti i popoli fare il bagno, nuotare in mare, nei laghi e nei fiumi, completamente nudi. Ciò è documentato negli affreschi di una delle torri in San Gimignano.

Le cronache tedesche dei secoli XVI e XVII c’informano che la camicia rappresentava ancora un lusso riservato ai più abbienti. I colletti e i polsini ornamentali di pizzo, come li vediamo nella pittura barocca, generalmente erano solo inserzioni posticce. Le dame del periodo rococò indossavano il vestito direttamente sul busto perché il verdugadin o il guardinfante avevano già una sottoveste che ricopriva la struttura fatta con stecche di balena o con il giunco marino. All’epoca della Rivoluzione francese le donne portarono una semplice maglia aderente sotto l’abito trasparente.
Nella prima metà del secolo XIX cominciò l’era della camicia lavabile, da far bollire nel bucato. Si trattava di un indumento molto semplice, con uso diurno o notturno, identico per uomini e donne e solo differenziato dalla lunghezza e dai ricami. I ceti più alti usarono biancheria fine e di taglio particolarmente elaborato.
Alla fine del secolo scorso le donne cominciarono a portare biancheria creata apposta per loro, generalmente di batista, qualche volta di seta, naturale o artificiale. Il taglio diventò più elegante e si adoperarono tonalità pastello.
Anche la biancheria maschile ha subito importanti cambiamenti. Il colletto e i polsini, prima staccati e inamidati si attaccarono alla camicia e le mutande e le calze si accorciarono. Già dopo il 1918 gli americani cominciarono a portare mutande accorciate e attillate, sempre più simili ai costumi da bagno (slips).

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