COME ERAVAMO: Vite in vendita

(Renata De Simone)

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Che i notai siano stati sempre testimoni se non attori di vicende umane le più disparate, che abbiano assistito personaggi di ogni società civile nel disbrigo di attività molteplici legate alla quotidianità oltre che alle necessità sociali e di lavoro dei loro clienti è cosa risaputa. Che il loro ruolo sia stato dl grande rilievo anche in Sicilia fin dal periodo normanno è documentato dalle prammatiche e dai decreti regi che ne regolavano il corso di studio, formalizzavano gli usi giuridici da seguire nell’ambito della loro attività professionale e gli obblighi procedurali cui erano vincolati. Tuttavia è difficile oggi immaginare che uno di questi fedeli rappresentanti della legge, dotati da questa di publica fides, sia rimasto impassibile dinanzi ad una vicenda umana che gli venne presentata da certi ricchi clienti, appartenenti tutti alla nobiltà palermitana, il 9 giugno1581, perché divenisse oggetto di attenzione professionale da parte sua, incaricato di redigere un atto a reciproca garanzia degli stessi richiedenti . Si trattava di stipulare un contratto di vendita, roba di normale amministrazione per un notaio, se non che la materia oggetto della transazione era del tutto particolare.

La merce in vendita infatti era un essere umano, un bambino non ancora nato, merce sulla cui natura gravavano pesanti incertezze e che richiedeva pertanto un trattamento cautelativo da parte del venditore, i cui interessi il notaio doveva salvaguardare e da parte dell’acquirente, che, come vedremo, aveva a sua volta nell’azione giuridica un legittimo interesse . Era in vendita il nascituro di una serva di cui si conosce solo il nome, Maddalena, di proprietà dei coniugi Leonardo ed Eleonora Fimia di Palermo e di Palermo era pure l’acquirente, Pietro Sergrigoli, che con tale acquisto voleva far valere, come non scrive il notaio ma si evince dalla vicenda, i suoi diritti di padre sul futuro nato. Di nessun interesse la sorte della madre che è indicata solo come una serva, salvo per il valore che rappresentava per i suoi proprietari, come qualunque altra merce di cui si doveva garantire nel tempo la validità in termini di prezzo. Il contratto prevedeva infatti che, se la donna fosse morta entro 40 giorni dal parto, evenienza probabile per l’epoca di cui si tratta, sarebbe costata al Sergrigoli 40 onze a compensazione della perdita subita dai Fimia che ne erano i legittimi proprietari.

La serva genera un figlio (così nella nota a margine dell’atto) il 26 giugno di quell’anno e il bambino viene prima battezzato con il nome di Giuseppe Agostino, e poi subito ceduto per un’onza all’acquirente, così come previsto nella clausola dispositiva del rigoroso e agghiacciante contratto. Nessun accenno alla sorte , in ogni caso deplorevole, della sfortunata madre.

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