Se è democrazia

(Carmelo Fucarino)

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“La verità è che, secondo una formula celebre, la schiavitù avvilisce l’uomo fino al punto di farsi amare dall’uomo stesso; che la libertà è preziosa solo agli occhi di coloro che la possiedono effettivamente; e che un regime del tutto inumano, com’è il nostro, lungi dal forgiarli esseri capaci di edificare una società umana, modella a sua im­magine tutti coloro che gli sono sottomessi, tanto gli oppressi quanto gli oppressori. Ovunque, in gradi diversi, l’impossibilità di mettere in rapporto ciò che si dà e ciò che si riceve ha ucciso il senso del lavoro ben fatto, il sentimento della responsabilità, ha suscitato la passività, l’abbandono, l’abitudine ad aspettarsi tutto dall’esterno, la credenza nei miracoli.

Anche nelle campagne, il sentimento di un legame profondo tra la terra che nutre l’uomo e l’uomo che lavora la terra è stato cancellato in larga misura da quando il gusto per la speculazione e le variazioni imprevedibili delle monete e dei prezzi hanno abituato i contadini a volgere i loro sguardi alla città. L’operaio non ha coscienza di guadagnarsi la vita esercitando la sua qualità di produttore; semplicemente l’impresa lo asservisce ogni giorno per lunghe ore, e gli concede ogni settimana una somma di denaro che gli dà il potere magico di suscitare in un istante prodotti già pronti, esattamente come fanno i ricchi. La presenza di innumerevoli disoccupati, la crudele necessità di mendicare un posto fanno apparire il salario piuttosto che un salario una elemosina. Quanto ai disoccupati stessi, per quanto siano senz’altro parassiti involontari e del resto misera­bili, sono nondimeno dei parassiti. In generale, il rapporto tra il lavoro fornito e il denaro ricevuto è così difficilmente afferrabile che appare quasi contingente, cosicché il lavoro appare come una schiavitù, il denaro come un favore. Il cosiddetto ceto dirigente è colpito dalla stessa passività di tutti gli altri, poiché, sovraccaricati come sono da un oceano di problemi inestricabili, hanno rinun­ciato da lungo tempo a dirigere. Si cercherebbe invano, a ogni livello della scala sociale; un gruppo di uomini nei quali potrebbe un giorno germinare l’idea di essere in grado, se si desse il caso, di prendere in mano i destini della società”.

Simone Weil, Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale, Adelphi 2010, p. 106 (Éditions Gallimard Paris 1955).

Articolo 21

Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.

La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.

Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili.

In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all’autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s’intende revocato e privo d’ogni effetto.

La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.

Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.

(La Costituzione italiana, Parte I – Diritti e doveri dei cittadini Titolo I – Rapporti civili)

Pur con una Costituzione circoscritta dai paletti bizantineggianti dei compromessi post-fascismo, si vuol mettere mano a questo pomposo articolo. Eppure:

Freedom House 2010 pone l’Italia al 24 posto, prima della Turchia ultima,

Press Freedom Index 2010 di Reporters Sans Frontières al 50 posto.

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