NEL CENTOCINQUANTESIMO ANNIVERSARIO DELL’UNITA’ D’ITALIA

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(Giuseppina Cuccio)

Nel marzo del 1821 il conte Santorre di Santarosa guida in Piemonte la cospirazione dei patrioti che lottano per la concessione della Costituzione. Dopo aver consultato Carlo Alberto, considerato simpatizzante delle idee liberali, l’inizio dell’insurrezione è dato issando un tricolore ( è incerto se si tratti del nostro tricolore o di quello della Carboneria, blu, rosso, nero) sulla cittadella di Alessandria. Il colonnello Guglielmo Ansaldi, che intanto ha assunto il comando della cittadella e la presidenza della Giunta, emette il proclama:” Cittadini, lo stendardo del dispotismo è per sempre curvato a terra fra noi. La patria che ha gemuto finora sotto il peso di obbrobriose catene, respira finalmente l’aure soavi di fraternità e di pace. Cittadini! L’ora dell’italiana Indipendenza è suonata!” Tra i patrioti della Lombardia si diffonde la notizia che l’esercito degli insorti piemontesi avrebbe invaso e liberato la Lombardia dagli Austriaci. Si dava per certo che il 17 marzo l’esercito avrebbe varcato il Ticino.

Emozionato dagli eventi, Alessandro Manzoni comincia a comporre l’ode “ Marzo 1821”, che comincia : “ Soffermati sull’arida sponda,/ volti i guardi al varcato Ticino,/ tutti assorti nel nuovo destino,/ certi in cor dell’antica virtù/ …. Altri forti..rispondean da fraterne contrade….” Ma il generoso tentativo resta privo di successo, immediatamente subentra la delusione e lo sconforto, anche per le incertezze di Carlo Alberto. Ciò nonostante è cominciato un percorso che non si arresterà se non con la proclamazione dell’Unità. L’ode di Manzoni è bellissima, dà voce sincera e profonda alla passione di quei giorni, ma tace il sentimento della sconfitta e della delusione. Però Manzoni ritornerà indirettamente sul sentimento della sconfitta nella tragedia Adelchi, in cui il protagonista esprime la delusione dell’esercizio della politica. E’ un principe leale e giusto, desideroso di buona gloria, ma si rende conto che governare è “reggere iniqui” , cioè governare da iniqui; in fin di vita dice al padre Desiderio, che gli sopravvive , sebbene prigioniero di Carlo: “Godi che re non sei; godi che chiusa/ all’oprar t’è ogni via : loco a gentile,/ ad innocente opra non v’è: non resta/ che fare il torto, o patirlo…Una feroce /forza il mondo possiede, e fa nomarsi/ dritto….”. La delusione storica si manifesta amara e completa, supera gli eventi della storia e dell’invenzione per elevarsi a dolente considerazione sul senso universale della storia. La tragedia, composta tra il 1820 ed il 1821, riecheggia in maniera chiara, se ne trova, infatti, traccia analizzando le diverse stesure di alcuni episodi riguardanti il “potere”, anche l’amarezza per i lutti milanesi seguenti la scoperta una “vendita “ carbonara e la dura inevitabile repressione austriaca.

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