Le “donne creative”

(Carmelo Fucarino)

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Ci sono modi diversi di celebrare l’8 marzo. Intanto l’efficacia della data che è diventata globalmente un comune nome per antonomasia per indicare una festa, come dire capodanno o il 2 giugno, senza altre determinazioni di contenuti che il suo semplice essere. Poi la globalità del riconoscimento e della celebrazioni attraverso tutti i mass-media, cartacei, televisivi, radiofonici e digitali, subissati da commemorazioni informazioni riflessioni. Ieri nel mio piccolo mi sono trovato a doverla vivere contemporaneamente in tutti i club e le associazioni che frequento, cosa che non avviene per nessun’altra occasione, se escludiamo Natale e Pasqua. Inoltre ogni gruppo, associativo o culturale, lo ha vissuto in forme e con temi diversi, chi come convegno di spunto addirittura sanitario, chi come riflessione sull’economia, chi come incontro ludico con “aperi-cena”, giochi “delle affinità per socializzare con tutti” e con “l’opportunità di conoscere nuovi ed interessanti amici”. con buona musica e balli. Non ho avuto notizia delle consuete cene e serate di sole vestali o addirittura baccanti, tassativamente esclusi i maschi o adibiti a spogliarellisti oggetto. Che tristezza per tutti loro! Sono stati gli strascichi deprimenti del cosiddetto femminismo di barricata. Molte ideologie e stilemi modaioli sono passati da quel 1922, quando anche in Italia si tenne la prima Giornata internazionale della donna per iniziativa del Partito Comunista d’Italia.

Pertanto la riflessione di Gabriella Maggio mi è piaciuta, dalla parte soggettiva e del maschio, perché ha ristabilito i termini veri della questione, in un contesto ben concepito di “donne creative”, in cui un gruppo di loro ha voluto manifestare le proprie scelte di vita e le progettualità che le hanno guidate nell’estrinsecare la loro creatività. Merito anche dell’Associazione Volo, che ha trovato ospitalità nei locali del Reale Albergo delle Povere, location d’eccezione per l’esposizione di eccezione, con marchio ArteDonna, ormai notissimo da anni in tutta Italia, ultima fatica di Anna Maria Ruta, esperta a livello nazionale di futurismo e dintorni, prima in assoluto grandiosa antologica della maggior parte delle donne pittrici siciliane dal 1850 al 1950, un mostro di assemblaggio di personalità femminili e temi espressivi, vere e proprie personali, che hanno attraversato questo secolo di arte dell’isola. Forse non esaustiva per qualche naturale omissione, dato l’esorbitante spazio temporale, ma primo passo per una completa catalogazione ed inquadramento storico dei movimenti artistici siciliani, senza steccati per distinzioni di sesso o correnti. Questa volta il consueto modulo delle interviste, collaudato da Gabriella Maggio, coordinatrice di queste serate dell’Associazione Volo, dopo la presentazione di Maria Di Francesco, opportunamente si è sciolto in un succedersi di autopresentazioni, di “confessioni in pubblico” delle radici interiori della propria creatività al femminile. Intanto la prolusione della moderatrice che ha inteso ribadire la condizione paritaria delle due parti del cielo: «Gli uomini sono importanti per le donne nella stessa misura in cui le donne sono importanti per gli uomini. Il cielo è fatto da due metà, si dice. La ricorrenza dell’8 marzo serve proprio a questo a ricordare l’imprescindibile pari opportunità di genere che per fatti esclusivamente culturali è stata a lungo disattesa, spacciandola per presunta debolezza di genere». Poi ha ricordato le difficoltà della donna in una società in cui gli asili sono per privilegiati, l’assistenza familiare è stata abolita e devoluta a organismi caritatevoli laici e religiosi. Il fiore all’occhiello del regime fascista, assieme alla previdenza e alle assicurazioni sociali, fu l’Opera Nazionale Maternità e Infanzia, fondata nel 1925 allo scopo di proteggere e tutelare madri e bambini in difficoltà e divenuto con la Repubblica Istituto Nazionale Maternità e Infanzia, del quale anch’io ho avuto consigli e assistenza medica per mio figlio. È stato sciolto nel 1975, mentre si sono mantenuti e prosperano inutili baracconi mangiasoldi di infimi settori. È un esempio macroscopico di marcia a ritroso nell’ambito dei diritti sociali. Gabriella Maggio non ha potuto non ricordare le donne di altri Paesi, le sorelle, che nei vari luoghi del mondo vivono una condizione ben più grave, ha ricordato le grandi figure di donne che lottano per la libertà dall’indomabile Aung San Su Kyi a Shirin Ebadi. Ma anche per l’Italia il cammino appare ancora lungo e impervio. Dopo questo ricordo il gruppo di invitate ha presentato la propria attività creativa. A proposito, dalla parte del maschio, un appello, un dono e l’invito all’ascolto di L’altra parte del cielo dei Pooh, che attacca: «C’è lei, c’è lei. Lavoro per lei e lo faccio bene. Lei è l’altra parte del cielo». E conclude: «C’è un prezzo ad ogni età. Pagherò la mia metà se c’è lei…». Così per ordine Pinella Bongiorno ha letto un appello poetico e un invito alle donne con il suo stile accorato ed elegiaco. Leda Melluso ha esposto la difficoltà della donna ad esprimersi nella letteratura, le tappe della sua creazione, lo sdoppiamento tra la norma della quotidianità e la perfetta immedesimazione con i personaggi del suo mondo fantastico, da Amina alla Lady Emily o Emma, così Egle Palazzolo ha descritto la sua attività scissa tra l’insegnante e la giornalista e le sue incursioni nella poesia e nella creazione letteraria, difficili per le scelte degli editori, Rosa Maria Ponte si è manifestata nella sua duplice carriera di pittrice e di scrittrice, la prima dall’infanzia, la seconda per folgorazione da matura, con la straniante allusione al dottor Jekyll e Mr. Hyde, Lavinia Scolari ha tracciato la sua esperienza di narratrice con la sua opera di fantasy mitologica, Daniela Scimeca con il recupero della straordinaria esperienza familiare, così ancora Loredana La Puma, ha narrato la sua esperienza di vita e di creazione in una società che spesso ostacola la libera estrinsecazione della personalità femminile, e io direi non solo. Sintesi di queste vite attive e duplicate, in cui non si può sapere quale sia la parte che gioca da protagonista, in un doppio in cui Sosia non si fa chiaramente riconoscere, la dolorosa testimonianza di una donna, Nazira Amad, simbolo della concreta estraniazione in una società che ella sente diversa e che ne accentua la sua reale alterità. Vive in Italia e ne parla bene la lingua, ma fa parte di quel popolo curdo, che ancora oggi può definirsi come espressione geografica di un altopiano, politicamente già per se stesso dilaniato e spartito fra tante nazioni che lo circondano, un puzzle di porzioni concentriche, tra Turchia, Iran, Iraq, Siria e Armenia. La sua testimonianza di donna è servita più di ogni discorso a stabilire il confronto di essere donna in queste difficili dissonanze di genere, per molte etniche e sociali.

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