RICORDANDO LE NOTTI BIANCHE

 

Racconto autobiografico

(Rosa Maria Ponte)

 

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“Era una notte incantevole, una di quelle notti che succedono solo se si è giovani, gentile lettore …”  Questo incipit di Le Notti Bianche di Fjodor Dostojevskij mi ritmava in mente mentre camminavo lungo la via Nevskij, la strada più elegante di Leningrado, così allora si chiamava San Pietroburgo. Il mio compagno era entrato in un negozio di tabacchi. Quando uscì teneva in mano un pacchetto di Papirosi, strane sigarette dal lungo bocchino di cartone che potevano essere fumate anche con i guanti, e che sapevano di paglia e di neve. Proposi di fermarci in una pasticceria dai tavolini di marmo ma lui disse che era meglio affrettarsi, erano già le sette e dovevamo essere alla stazione entro mezz’ora se volevamo arrivare a Djuni per l’ora di cena. Peccato, quel caffè mi ricordava una fotografia appesa nel corridoio della scuola che frequentavamo per le lezioni di russo, che era a pochi chilometri da Djuni, il complesso balneare sul Baltico dove noi studenti alloggiavamo.

Rappresentava il poeta Serghej Esenin con la moglie, la ballerina Isadora Duncan, seduti a un tavolino di marmo. Ma forse il caffè non era quello, semplicemente gli somigliava, perché tutti i caffè della Nevskij sono arredati nello stesso stile. Isadora prendeva un tè in un bicchiere di vetro dal supporto d’argento col manico molto arcuato, Serghej un liquore che poteva essere assenzio. Lei, fulva e marmorea come una donna di Klimt, con cappello di aigrette e una lunga sciarpa, lui biondo, sottile, dalla bocca sensuale finemente disegnata, occhi azzurri dallo sguardo quasi ingenuo, avrebbe potuto essere suo figlio. Lontana la tragedia: Isadora, la corsa in macchina, la sciarpa che si impiglia nella ruota e si stringe intorno al collo. Serghej, l’ultimo Natale, una poesia di addio scritta col sangue e una corda che pende dal soffitto nella stanza numero cinque dell’hotel Astoria a San Pietroburgo. Due povere vite. Maledette. Djuni, le notti bianche. Collinette di sabbia, mare grigio, vento. Una serata d’addio agli studenti che avevano terminato il corso. Caviale , vodka, pelmeni ( ravioli ripieni di carne), brindisi e canti. Poi tutti al cinema-teatro a vedere lo spettacolo che gli studenti che restavano avevano allestito per quelli che partivano. Il mio compagno avrebbe recitato una poesia di Esenin. Una poesia giovanile di un poeta morto a trent’anni, “Bianca betulla”, già impregnata di pessimismo. In teatro, le finestre in alto lasciavano filtrare una luce pomeridiana, eppure erano le dieci e mezza di sera. Le notti bianche. Nel palcoscenico si accese una luce che sembrava un sole mentre calava uno fondale dipinto che rappresentava in modo approssimativo un bosco di betulle. Lui uscì in scena e si avvicinò al microfono. I suoi capelli neri, lunghi, ondulati, brillavano metallici come le ali di un corvo. Sapevo che il cuore gli batteva forte. Con voce sicura cominciò:

Белая береза                                                    La bianca betulla

Под моим окном                                              sotto la mia finestra

Принакрылась снегом,                                  s’è coperta di neve

Точно серебром.                                             che pare argento.

На пушистых ветках                                         Sui rami  vellutati

Снежною каймой                                          bordati di neve

Распустились кисти                                       sono sbocciati fiori

Белой бахромой.                                            di bianca ciniglia.

И стоит береза                                                  E svetta la betulla

В сонной тишине,                                          nella quiete  sonnolenta.

И горят снежинки                                            E arde la neve

В золотом огне.                                              nella fiamma d’oro.

А заря, лениво                                                    Ma l‘alba pigra

Обходя кругом,                                                 stringendola  attorno

обсыпает ветки                                                     cosparge i rami

Новым серебром                                                di nuovo argento.

Applausi, fischi, gazzarra. Lassù, al di là delle finestre, cresceva la notte.

Il racconto “Ricordando le notti bianche” è tratto dalla raccolta “Le città immaginarie” di Rosa Maria Ponte

La poesia di Esenin è stata tradotta dal russo da Rosa Maria Ponte e Carmelo Fucarino.

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