TRA CALLIGRAFIA E DIZIONE

( Patrizia Lipani)

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Un tempo si diceva che la grafia rispecchiasse la nostra personalità, forse per questo la si curava e con estrema precisione la si tracciava, rappresentava il nostro modo di essere, si segnavano le lettere seguendo il rigo, con grande maestria, si abbondava negli svolazzi,si creavano disegni e ghirigori forse anche di troppo ma è pur vero che le lettere dell’alfabeto campeggiavano sul rigo in bella mostra, fiere di esistere. Gli alunni delle scuole primarie si esercitavano ore ed ore a tracciarne le forme sul quaderno di calligrafia e come le note sul pentagramma, le lettere suonavano in maniera armonica e i ragazzi diventavano padroni di uno stile e di una chiara tracciabilità del segno sul rigo.

E che dire delle parole, nella fase della lettura ,esse venivano scandite rispettando gli accenti ,parole toniche e atone, ogni parola veniva pronunciata con il suo suono, ponendo attenzione alle doppie, evitando ogni forma di inflessione regionale, rispettando la lingua,la sola riconosciuta ufficiale, quella italiana. Pretendere il rispetto dell’ortodossia linguistica attraverso la conoscenza e lo studio della nostra lingua è un corretto principio,è un modo per preservarla da ricorrenti trasformazioni e da influssi, pur tuttavia inevitabili, di origine slava, rumena, indiana, cinese, magrebina, spagnola, lingue che circolano nel nostro paese, come se non bastasse l’inglese che da anni fa da padrona e cerca quasi di sostituirsi alla nostra. Un tempo, quindi, a scuola si curava tutto quello che oggi non si fa, la calligrafia era addirittura materia di studio, la dizione era un elemento importante nella lettura alla quale si prestava attenzione e certo entrambe non si improvvisavano, perché dietro c’era un paziente e puntiglioso lavoro. Oggi la scuola invece sembra essere più permissiva, durante la lettura si finge di non sentire la pronuncia scorretta delle parole, le inflessioni marcatamente urbane,( in uso anche presso una buona fetta di docenti), ci si lamenta della grafia, durante le prove scritte ma non si svolgono attività laboratoriali specifiche per la correzione e si preferisce piuttosto“chiudere un occhio”. E che dire di quegli elaborati in cui si leggono lettere dell’alfabeto che hanno assunto tristi trasformazioni,involuzioni delle lettere ora strozzate ora avviluppate,ora sdraiate, la “a” ad esempio ha subito una troncatura dei tratti laterali ed è divenuta tristemente“o” è avvenuto uno scambio di ruolo, in sintonia con i tempi, tra il maschile e il femminile, la congiunzione “e” o la preposizione “a “ vengono confuse con i verbi corrispondenti. E ancora le minuscole, non si sa più dove stiano di casa, indistintamente si confondono con le maiuscole, si inseriscono e si intrecciano in una scelta casuale nel rigo, intervallando le une con le altre,quando non è lo stampatello a primeggiare, la grafia della prima evoluzione, mista al linguaggio per simboli degli sms. Insomma una vera e propria babele. Forse sarebbe meglio che si insegnassero le lettere a chi, abituato alla tastiera del computer disconosce quelle corsive che si tracciano con inchiostro sul foglio bianco. Forse è tempo che i professori di lingua italiana ,soprattutto, decidessero una volta per tutte di porre fine a questo scempio fonetico, morfologico e ortografico, pretendendo rispetto e rigore per la lingua o addirittura sarebbe meglio che la scuola istituisse per tutti, corsi di dizione per la lingua madre, evitando che si ostenti ,almeno in pubblico, il personale retaggio provinciale, forse sarebbe meglio pretendere dai ragazzi pronunce senza inflessioni o alterazioni, parole senza farfugliamenti come se il canale orale fosse ostruito. Perché poi sei tu che ascolti che passi per sordo che sei costretto a reiterare i“come? che dici?”quando le parole non ti raggiungono in maniera corretta, sei tu che ti convinci che il tempo sta facendo il suo corso, senti ma non percepisci più le parole in modo corretto,allora ricorri allo specialista dell’udito per fugare ogni sospetto ,roba da non crederci!!!!!

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