Scrivere in dialetto siciliano

( Pippo Pappalardo )

 

clip_image002

Dipinto di Pippo Pappalardo

Nel precedente articolo ho espresso l’auspicio che gli autori siciliani ritrovino il gusto di scrivere in dialetto. Ora esporrò le difficoltà che si presentano a chi voglia scrivere in dialetto siciliano. Una prima complicazione deriva dall’assenza della forma standard del sicilianu, ovvero della “koinè”. Nonostante esista in tutta l’Isola un substrato linguistico comune che permette ai siciliani di una provincia di capirsi con i siciliani di altre province, nelle zone geografiche della Sicilia esistono diversificazioni fonetiche, lessicali e sintattiche tali da dare luogo a sub-dialetti diversi. La mancanza di una koinè è un ostacolo per un autore. L’obiettivo di un poeta è infatti di rendere fruibili i suoi versi ad un numero di lettori il più ampio possibile. Orbene, se il dialetto siciliano risulta ostico agli stessi siciliani, si comprende che non è facile diffondere un prodotto letterario dialettale.

La soluzione consiste nell’affiancare la traduzione in lingua al testo; mi si lasci però osservare quanto sia sconfortante che una poesia siciliana debba ricorrere alla traduzione in lingua per essere capita dagli stessi siciliani. E, poi, la traduzione spesso uccide il testo originario. Di soluzioni ovviamente non ce ne sono. Un linguaggio non può essere imposto. Mi conforto pensando che la mancanza di una koinè riguarda anche altre regioni d’Italia. Una seconda difficoltà si presenta quando si voglia adottare un vocabolario di riferimento. Il poeta ha bisogno del vocabolario come il pittore dei colori. Un buon vocabolario deve riportare frasi idiomatiche, proverbi, modi di dire, etc. Nel caso del dialetto siciliano il vocabolario deve contenere le varianti in uso nelle varie zone della Sicilia. I vocabolari più noti (Traina e Mortillaro) risalgono alla metà dell’Ottocento ma, da un secolo a questa parte, il lessico e l’ortografia sono mutati. Oggi un vocabolario completo ed aggiornato è il Vocabolario Siciliano di Piccitto-Tropea-Trovato, edito dal Centro Studi Filologici e Linguistici Siciliani (Facoltà di Lettere di Palermo). Si tratta di un’opera in 5 volumi che riporta tutte le varianti in uso nelle varie zone geolinguistiche. Una terza difficoltà riguarda l’ortografia, che è il primo anello su cui si fonda il prodotto della scrittura. La lingua italiana ha criteri consolidati; una parola italiana si scrive sempre allo stesso modo. Invece il sicilianu non ha un criterio condiviso. Esiste il criterio “etimologico”, legato al latino ed alla nostra tradizione letteraria, ma esiste anche il criterio “fonografico” (A. Di Giovanni 1872-1946 e G. Tamburello 1868-1942). Quest’ultimo criterio nacque con l’obiettivo di modellare la grafia alla fonia. I critici osservano che i suoni emessi dalla laringe umana sono innumerevoli e perciò è impossibile costruire un criterio in cui la grafia riproduca con assoluta fedeltà i suoni del parlato. E, da qui, deriva l’arbitrarietà e l’incertezza ortografica. Infatti, se chi adotta il criterio etimologico può incorrere in problemi di sconnessione fra la fonia e la grafia, chi usa il criterio fonografico può subire le critiche di chi ritiene che quello etimologico sia il criterio più fedele ai canoni classici. Può la grafia dipendere dalle opinioni di questo o di quel critico? De Saussure notava che la scrittura offusca la visione di una lingua. Io penso che l’assenza di un criterio di scrittura potrebbe cagionarne il declino. Per queste ragioni auspico che un Ente autorevole si accolli l’onere di indicare, almeno, le guidelines dell’ortografia dialettale. Un’ultima difficoltà deriva dalla mancanza di una grammatica normativa. Di grammatiche ne sono state scritte tante; basti pensare a Meli, Rohlfs, Traina, Pitrè o, per andare a tempi più recenti, a Camilleri e Leone. E tuttavia sono tutte grammatiche “descrittive”, non “normative”. C’è da dire che la realtà linguistica siciliana deprime ogni sforzo volto a stabilire norme. E poi, se il termine grammatica indica “un insieme di regole che stabilizzano le espressioni dei parlanti una stessa lingua” e se non esiste una lingua siciliana, che senso ha scrivere una grammatica per “stabilizzare” una lingua che non c’è? Si dovrebbero scrivere tante grammatiche quanti sono i sub-dialetti… La mancanza di una grammatica normativa lascia gli autori nella nebbia. Quali regole vanno seguite? Oltretutto la mancanza di regole rende soggettivo il giudizio dei lettori. La questione si accentua nei premi letterari; come può un giurato valutare una poesia dialettale, se non ci sono regole ortografiche e morfosintattiche certe e condivise? In conclusione: scrivere in sicilianu presenta difficoltà maggiori che scrivere in lingua italiana. Sono tuttavia convinto che vale la pena continuare a scrivere in dialetto. Il sicilianu fa parte della nostra storia, del nostro patrimonio genetico e perciò esso va rispettato ed utilizzato.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Il nostro sito web utilizza i cookie per assicurarti la migliore esperienza di navigazione. Per maggiori informazioni sui cookie e su come controllarne l abilitazione sul browser accedi alla nostra Cookie Policy.

Cookie Policy