Prova di orchestra
(Carmelo Fucarino)
In tutte le poche e le società l’uomo ha sentito il bisogno di inventare suoni armonici, sia per ricreare una particolare atmosfera nei rituali magici del culto, sia per accompagnare i momenti didascalici del canto, fosse epico o lirico, in cerchio intorno al fuoco o nel megaron dei re. In genere per la musica classica ci viene subito in mente la lira o cetra, lo strumento per eccellenza tanto che lo inventò ad appena sei giorni dalla nascita il dio versatile, rotto a tutte le esperienze, Hermes, genio dei furti e dei commerci, come scoprirono strani “cercatori di orme”, Satiri e Sileni, seguendo le tracce a ritroso dei buoi da lui rubati ad Apollo. Così almeno ci scherzava sopra Sofoche apollineo nel suo celebre frammento di dramma satiresco. Quindi gli antichi aedi omerici, per tutti simbolo Femio e Demodoco, sulle corde della lira rievocavano i klea andron, ritmando il miracolo dell’esametro. Poi venne l’aulos, a fiato e ad oncia doppia, anche questo invenzione divina, niente meno che di Atena, la dea corazzata, parto del cervello di Zeus. La dea al primo soffio lo buttò inorridita a terra: gonfiava le guance e deformava il volto. Il vanesio bel Alcibiade, secondo Gellio, fece lo stesso. Eppure il suono celestiale che ne ricavò Marsia fu colpa tale da morirne scorticato (Dante, Par. I, 20-21, «sì come quando Marsïa traesti / de la vagina de le membra sue»).
Però anche l’auletica divenne una tecnica eccelsa, dalla tragedia a tutti i canti di danza corale. Accanto a questi due notissimi strumenti, tante altre tipologie di suoni, nella grande varietà di fiati ed ottoni, ed i cimbali e i crotali ancora in uso, perché riprese dalla musica d’opera e strumentale. Fra le pieghe della tradizione bizantina di glosse e lemmi, una strana annotazione mi piace riferire per la straordinarietà del caso e per l’originale invenzione che probabilmente avrà avuto allora scarso seguito, ma che in varie forme trova oggi applicazione, sia in perfomance folcloristiche sia in innovazioni armoniche dell’opera verista. Intanto il personaggio, un tale Diocle. Incerta la città, si dice di Atene o di Fliunte, città del Peloponneso, verso la strada di Corinto. Per collocarlo nei tempi si dice che fosse un commediografo, contemporaneo di Sannirione e Filillio, vissuti entrambi intorno al 400, tra il v-iv secolo a.C. Bastava dire più semplicemente che poté partecipare alle Lenee di Atene assieme ad Aristofane, che esordì giovanissimo nel 427 a.C. con i Banchettanti. Sono citati di tale Diocle anche alcuni titoli di commedie: Mare, Api, Sogni, Baccanti e Tieste. Non era proprio l’ultimo venuto. Una curiosa nota: il titolo Thalassa, Mare, testimoniava Ateneo nel suo originale banchetto dei sofisti, era il nome di un’etera, si pensi alle andanti escort nostrane (da un celebre termine latino?) o alle raffinate geishe. Ed ecco la novità: «Si dice che costui inventò anche l’armonia nei piattini di aceto in vasi di ceramica, che batteva con un ramoscello di legno». Lo xyliphìon è spiegato in altra glossa che cita ancora questa invenzione come un «ramoscello morbido che si piega e si rilascia». Ci viene da pensare impropriamente e per l’omofonia al termine xilofono, ma qui il suono proveniva dai piattini e dai vasi di ceramica. Siamo ancora nell’epoca della commedia classica e un commediografo pensava di rendere nuovi ritmi (“armonia”), a commento dell’azione, introducendo i suoni particolari di un ramoscello battuto su risonanze di ceramica. Difficile da immaginare il suono particolare che ne ricavava. Vuole qualcuno ricrearlo, secondo la generica indicazione antica? Che dire quindi, se oggi a Siracusa si introducono le musiche più strane, ultimi i ritmi e gli ululi delle donne africane o le danze dei dervisci rotanti di Konya. Con una piccola precisazione però, non si sperimentano oggi nella commedia, ma addirittura nella solenne, ieratica tragedia.