Ser Boccaccio al VII Centenario. E non lo dimostra

(Carmelo Fucarino)

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Così lo vedono

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Così la vivono

«Umana cosa è aver compassione degli afflitti; e come che a ciascuna persona stea bene, a coloro è massimamente richiesto, li quali già hanno di conforto avuto mestiere, et hannol trovato in alcuni: fra’ quali, se alcuno mai n’ebbe bisogno, o gli fu caro, o già ne ricevette piacere, io son uno di quegli». Un incipit glorioso che toccò per secoli tutte le corde dell’anima. Nella nostra città in infuocata vena di dibattiti, di quotidiane presentazioni di libricini e libelli, nella Palermo della Cultura che si bea dei suoi circoli e associazioni a conduzione familiare, ma anche nella Palermo delle alte Istituzioni che si auto-gratificano come i membri del Senato e gli alti magistrati, nella mia cara e triste Palermo, romanzieri e narratori si sono dimenticati del loro padre cromosomico e genetico. Perché senza il suo alto magistero, senza il suo genio oggi in Italia non ci sarebbe narrativa. In lui fu il Verbo, l’Arché, le radici che nutrirono la pianta. E Certaldo ha ben ragione ad essere in questo anno il centro del mondo, sì, la città delle cipolle e quella di fra’ Cipolla.

 

Perciò sommessamente lo voglio ricordare, piano pianissimo, anzi in silenzio, senza disturbare i massimi manovratori. Perché, miei cari ragazzi, la cultura è una cosa seria e oggi è declinata al plurale. Sono le culture, quella della terra e quella del pane, quella delle lenticchie pantesche, ma anche quella del lardo di colonnata e dei salumi bolognesi e i formaggi parmigiani. E la Cultura, quella da colo, che era anche “venerare”? e il sommo magistero della nostra tradizione letteraria, che tutte le colture ha conservato con l’Arte della scrittura? Coraggio, ser Giovanni, anche ai tuoi tempi le cose non dovevano andar meglio in quel di Firenze, dalle glorie familiari dei Bardi al clamoroso fallimento della Banca. Meglio certo la gioiosa Napoli degli Angiò rispetto alla “triste, grigia e noiosa” città della mercatura e del fiorino, simbolo del giglio che aveva perduto la sua purezza. Cosa si può fare prima che l’anno spiri, miei cari palermitani della Cultura, direttori di circoli e organizzatori di alti convegni? Si potrebbe trovare un posticino per questo boccaccesco antenato, che insegnò la prosa e il suo ritmo armonioso? Si potrebbe dedicare a ser Boccaccio una serata, un ricordino tanto per esserci in questo grande circo che si occupa delle presenze alle nozze di Belem e poi non una parola, non una riga appena, non un sorriso, non un sospiro, al limite un vaffa! al grande fiorentino che ci ha riempito il cuore di vita e sentimenti, che ha reso grande e degna di vivere la nostra giovinezza. Su, c’è ancora un po’ di tempo, al limite Cesarini, prima che l’anno spiri e l’occasione sia per sempre perduta, o Palermo, mia cara.

 

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Poste Italiane e francobollo 5 giugno 2013

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