Antonino Leto e i dipinti murali di Villa Florio Pignatelli ai Colli

( Anna Maria Ruta)

image

Il 31 maggio è ricorso il Centenario della morte di Antonino Leto, uno dei più raffinati e internazionali pittori del tardo Ottocento siciliano, avvenuta a Capri nel 1913. Artista girovago, allievo del padre di Lojacono, Leto studia a Napoli (Palizzi, Scuola di Resina, Scuola di Portici) e vive spesso a Capri, ispirandosi molto al suo mondo, si muove tra Roma, Firenze, Parigi ed espone a Londra, a Monaco di Baviera, alla Biennale di Venezia. A Palermo (era nato a Monreale) ebbe intensi e continuativi rapporti con Ignazio Florio, nelle cui case lavorò e che gli fece da mecenate. Lo aveva conosciuto durante i suoi saltuari e brevi soggiorni palermitani, sicuramente nel 1865, e per lui aveva creato il primo quadro siciliano di tematica industriale, Lo Stabilimento enologico di Marsala. Poi proprio per l’aiuto economico dello stesso Florio, nel 1873 aveva potuto soggiornare a Portici, frequentandovi la famosa scuola e a Roma, per consolidare il suo esercizio pittorico. Nel 1880, ritornato a Palermo, ospite di Ignazio e della moglie, Giovanna d’ Ondes Trigona, nella principesca casa dell’Olivuzza, decora per i suoi anfitrioni il passaggio del piano superiore, che dal salone da ballo conduceva alla sala da pranzo. Decori oggi perduti, i cui bozzetti del 1880 sono conservati presso la GAM di Palermo. L’anno dopo, sempre per Ignazio, dipinge a Trapani Le saline e a Favignana La pesca del tonno, poi venduto a metà degli anni Trenta insieme con Lo Stabilimento enologico di Marsala al Banco di Sicilia.

Tra le altre belle dimore abitate dai Florio, tra la fine dell’ ‘800 e i primi del ‘900, in un momento di slancio imprenditoriale e di splendore economico, tutte opere di grandi architetti e di raffinati artisti e decoratori, Leto lavora anche alla meno nota e più periferica, la Villa Florio Pignatelli ai Colli. Costruita nel 1792 e appartenuta prima a vari proprietari, poi dal 1839 al 1907 ai Florio, per Ignazio fu ristrutturata e ampliata dal grande Ernesto Basile, l’architetto di famiglia, che, tra altri interventi, sostituì la classica scalinata settecentesca d’ingresso con un portico in ferro battuto fuso dalla Fonderia Oretea, in cui pure era stato creato il gazebo del cafehaus, oggi rubato. Il giardino, disegnato alla maniera di Villa Giulia con viali a raggiera che si dipartono ancora da un ampio raccordo centrale, possedeva e possiede tuttora piante rare, tra cui sopravvive una delle più antiche e grandi dracene di Sicilia. Molte le opere d’arte che arredavano un tempo la villa e che, anni fa, quando questa ancora splendeva nella sua elegante veste alto-borghese, in mezzo ad altre ville dell’aristocrazia palermitana, furono oggetto di attenzione storico-critica soprattutto da parte di Giulia Sommariva, Franco Grasso e Ugo Giambona. Ma nel 2004, in questo immobile ricco di storia e di arte, furono insensatamente ospitate, senza alcuna attenzione e sorveglianza da parte comunale, circa quaranta famiglie sfrattate, che ne fecero festa, e che festa: un autentico massacro. Furono allora ridotte ad uno stato di assoluto degrado e illeggibilità da colpi di picozza e martellate anche le pitture murali di Antonino Leto. Per questa villa Leto aveva creato, al primo piano, un ciclo di pitture murali, che mettevano bene in luce tutte le sue cifre segniche e cromatiche. Perché di pitture in realtà si tratta, non di semplici decorazioni, come cercherò di dimostrare, grazie alle fotografie donatemi anni fa da una cara e intelligente amica, oggi scomparsa e che in quest’occasione mi è caro ricordare, l’architetto Silvana Braida, foto poi note anche a Giambona e a Grasso, oggi preziose per un eventuale restauro e per ripensare la villa com’era prima che i moderni vandali la distruggessero.  Eseguìti tra il 1880 e il 1881, i quattro pannelli a tempera di Leto, inseriti pittoricamente in finti gazebi, rappresentano scene di festa e di gioco e scorci paesaggistici, Festa a villa Florio ai Colli, Il gioco, Paesaggio con gatto e gallinacci e Paesaggio con vaso, in cui vengono giostrate le due linee portanti della pittura dell’artista, quella figurale e quella naturalistica.. Di queste quattro scene la più interessante è la Festa a villa Florio ai Colli, collocata in alto, di faccia ad una piccola scala in marmo bianco, coronata un tempo dal bel busto, anch’esso in marmo bianco, raffigurante la principessa Maria Pignatelli di Roviano o, secondo altri, la principessa Rachele Giulia Portalupi, moglie di Vincenzo Florio senior, oggi rubato. Il pannello soprastante colpisce per la complessità scenografica perfettamente dominata, per numero di personaggi rappresentati, per la rarefatta atmosfera ludica e spensierata da belle époque, che ben riflette sia i ritmi reali di casa Florio sia i temi della vita festosa e frivola di quella Parigi fine anni ’70, in cui Leto stesso si era trovato a vivere nel 1879. Qui aveva frequentato il gallerista Adolphe Goupil, attorno a cui bazzicavano artisti come Boldini, De Nittis, Manet, Morelli, Mancini, Gemito e altri, ed era rimasto influenzato da certo impressionismo ivi imperante. Le sue pennellate rapide, incompiute, mosse, vengono da qui, l’attenzione alla vita quotidiana, con lo sguardo volto alle piccole azioni degli uomini, senza eroismi e mitologie esaltanti, derivano dagli esempi pittorici di questi maestri. Si ricordi, per esempio, Il ritorno dalle corse dell’amico De Nittis del 1875, carico della stessa atmosfera vitale e dello stesso brioso cromismo. La Festa a villa Florio ai Colli è un trompe l’oeil teatrale, in cui da una balaustra con dei tappeti distesi, la stessa della terrazza della villa, si affacciano in allegria molti personaggi di casa Florio, compresi le giovani generazioni e qualche intimo amico come il medico Pietro Cervello, poi intestatario dell’omonimo ospedale palermitano: ma vi fa capolino, in fondo, quasi nascosto, anche l’autoritratto dello stesso artista.  Un grande telone rosso, come un sipario sollevato, sottolinea la teatralità della scena: Leto ripropone qui un drappo dello stesso colore e con la stessa mossa ondulazione già da lui dipinto sulla sinistra di un olio di proprietà della Fondazione Sicilia, La fanciullezza di Zeus del 1874, con un trionfo di putti paffutelli, ancora di antica ispirazione mitologica, presenti anche nei bozzetti di Leto della GAM per l’Olivuzza (Caminetto decorato con due puttini e scudo) e che ritornano anche in altri soffitti dipinti della villa Pignatelli: un putto volante, per es., sembra come ricamato in una tenda merlettata e contornata di fiori, dipinta su un soffitto, tipologia anche questa ricorrente negli affreschi delle case borghesi dell’epoca. Vi si legge, inobliabile a Palermo, l’eco dell’onnipresente insegnamento serpottiano, particolarmente in revival tra fine ‘800 e primi ‘900.  Nel pannello Festa a villa Florio ai Colli la gioia di vivere sembra esplodere dai volti, ma in realtà particolarmente in quelli delle donne serpeggia qua e là una sottile e diffusa tristezza, forse un sentore di ancora improbabile decadenza, forse un luttuoso presagio di morte, già e sempre in agguato specialmente sui bambini di casa Florio (Vincenzo jr. qui rappresentato era già morto nel 1879, a 12 anni, tre figli di Ignazio e donna Franca moriranno in tenera età e la primogenita proprio nella villa). Leto si era divertito di più a rappresentare i suoi personaggi con un gusto sornione, che sfiorava talora il comico e il caricaturale, in un mosso agitarsi di teste e di mani nel vissuto del momento, in un piccolo olio su tela di collezione privata, Festa a Villa Florio del 1877, firmato e datato, che anticipa l’assetto e la tematica di questo pannello della villa: un suo bozzetto certo, più che un diverso dipinto. Con una tecnica pittorica veloce, che abbozza più che definire i particolari, Leto vi riversa la sua personale lezione impressionista e il suo particolare uso della macchia, evidente poi negli altri pannelli paesaggistici: con i macchiaioli era stato a contatto durante il suo soggiorno fiorentino, ma anche attraverso la “scuola di Resina”, in cui Cecioni aveva divulgato la lezione macchiaiola esortando ad una più libera, emozionale resa del paesaggio, senza eccessive indulgenze descrittive.  Più ristretta e con minori personaggi, la scena qui riproduce, sempre affacciati alla balaustra, in una fantasmagoria di sorrisi e di colori, con pennellata molto approssimativa, figure della famiglia Florio, su cui poi, nel pannello a parete della villa, Leto ritorna con maggiore precisione e gusto veristico. Valga citare per tutti l’intenso e livido volto dell’adolescente Vincenzo, così ben tratteggiato e in risalto rispetto all’olio del ‘77, che, distaccato, guarda lontano, serio e pensoso nel vestito alla marinara: quasi un omaggio all’adolescente, già morto negli anni del suo lavoro nella villa (1880-’81). Leto aumenta poi il numero dei volti maschili, perfettamente delineati nelle diverse reali fisionomie, più tratteggiati rispetto a quelli delle donne in primo piano, dalle espressioni serie e dolorose, quasi maschere, che trattengono una smorfia di sofferenza. Un richiamo coloniale d’epoca si può intravedere nell’olio in un piccolo negro in gioco (presente anche nel pannello dell’Olivuzza Fanciulle danzanti attorno a un mandorlo ed orchestrina con negro), che consente di leggere la parte mancante della tempera a parete, mentre mi sembra significativa e presaga l’immagine del gatto bianco, poi diventato nero. Il secondo pannello vede quattro bambini intenti in un moderno e pericoloso gioco, il lancio di una piccola mongolfiera, che con la sua levitante leggerezza riempie buona parte della scena: un volo simbolico e antesignano di quelli che fra qualche decennio avrebbero visti impegnati gli ultimi Florio in gare aeree e sportive ben più importanti. Certamente questo il più rarefatto e moderno dei pannelli. Nelle altre scene, una, Tramonto sull’aia con gatto e gallinacci, Leto manifesta meglio che altrove la sua attenzione verso l’esercizio coloristico e lo studio della luce, l’altra, laterale, Paesaggio con vaso, gli fa mettere in risalto, come nel primo pannello e nell’olio, l’icona dell’ alto vaso, suggeritagli certo dai tanti vasi di pregio, spesso cinesi, presenti in casa Florio. In queste scene paesaggistiche della villa ai Colli colpisce il gusto bozzettistico delle immagini, colpiscono i colori pacati, il loro “degradare prospettico” sugli sfondi ocra – arancione, in risalto sia negli oli sia nelle tavolette, in cui spesso il colore naturale del legno viene assorbito e usato come frammento cromatico: i colori di Leto. Nel 1907, la villa Florio fu acquistata dal cardinale Alessandro Lualdi, in seguito ad un lascito fattogli dalla principessa Maria Pignatelli di Roviano, e fu quindi destinata a Fondazione Pignatelli, ospitando l’Opera Pia Istituto Pignatelli, prima ubicata altrove. Divenne così villa Florio-Pignatelli. Ed era diventata negli ultimi decenni piacevole meta di passeggiate e visite guidate, fino a quando, come un terremoto di nono grado Richter, le famiglie sistematesi dentro non ne decretarono la fine. A quando il restauro? A quando una sua riapertura?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Il nostro sito web utilizza i cookie per assicurarti la migliore esperienza di navigazione. Per maggiori informazioni sui cookie e su come controllarne l abilitazione sul browser accedi alla nostra Cookie Policy.

Cookie Policy