LA PASTORALE -Una visita ai defunti-

( Enzo Maggi *)

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Anche questa mattina, come faccio tutte le settimane dall’agosto del 2004 e cioè dalla sua morte, mi sono recato al Verano per salutare mio fratello e restare un po’ con lui per ritornare con la mente a molti episodi della nostra vita trascorsa insieme. E insieme a mio fratello ricordare l’amico Rinaldo, non potendolo fare da vicino, riposando lui nella sua Belluno.Prima di scendere dall’auto ed entrare nel riquadro che ospita il suo loculo, mi sono soffermato ad ascoltare l’ultimo movimento della “Pastorale” di Beethoven, che avevo trovato sull’autoradio mentre ero ancora in colonna sulla tangenziale. Ma l’ascolto non mi ha impedito di scorgere, riflessa sullo specchietto retrovisore, l’avanzare lento e insicuro di una coppia di persone che nel loro incedere si sostenevano a vicenda.

E mentre lui aveva in una mano una grande borsa e con l’altra si appoggiava al braccio di lei, la donna stringeva al petto un grande fascio di fiori avvolto in alcuni giornali. Ho atteso che la coppia sopravanzasse la mia auto e che continuasse a percorrere il viale che si prolungava avanti a me per ancora un centinaio di metri. Mentre mi sfilavano accanto, ho potuto constatare che, in effetti, si trattava di due persone molto anziane, con difficoltà non lievi nel camminare e che, quindi, procedevano lentamente e con molta cautela, ma non meno decisi nell’affrontare la strada che, evidentemente, li doveva condurre a salutare qualche caro estinto. Ho seguito con commozione l’andatura lenta e claudicante della coppia fin quando la strada, iniziando a scendere, non me li ha tolti dalla vista. In quei minuti, durante i quali la magica musica di Beethoven volgeva al termine – e forse proprio sollecitato da questa – alla mia mente si affollarono pensieri ed emozioni, ricordi e sensazioni che ognuno di noi, nel corso della propria vita, raccoglie e custodisce in maniera inconscia e che, come ognuno di noi, se stimolato, estrae da uno dei tanti cassetti che li hanno conservato con cura. Ricordate la scena finale di un film di Charlie Chaplin, di cui non rammento il titolo, nella quale si vedono di spalle il protagonista ed una ragazza mentre si incamminano a braccetto lungo una strada della quale non si vede la fine, ma che si presume porti ad un futuro pieno di amore e di vita? Ebbene, la coppia che amorevolmente si sosteneva a vicenda e che mi si allontanava dalla vista con la sua andatura lenta e claudicante, ha richiamato alla mia memoria quella del film e, dopo aver tentato indiscretamente di insinuarmi nel loro passato e rivivere con essa gli episodi lieti e dolorosi dei quali era stata protagonista e che, generalmente, si assomigliano per ognuno di noi, mi sono chiesto perché anche questa coppia, pur se molto avanti negli anni e visibilmente piena di acciacchi, non la si debba immaginare ancora serenamente incamminata verso un futuro pieno di vita e d’amore. Però la lunga dissolvenza quasi cinematografica alla quale mi trovavo ad assistere e che si concludeva con la progressiva lenta scomparsa delle due persone dietro il dosso della strada, stava invece assumendo l’aspetto di una loro uscita dalla vita. E a questo mi stavo ribellando: due persone che, benché molto avanti negli anni, mostravano con sì grande evidenza tanto amore sia vicendevolmente tra di loro, sia nei confronti di qualcuno che ora non c’era più e al quale erano destinati i fiori che amorevolmente la donna stringeva al petto, non meritavano, almeno nel mio assurdo desiderio, di uscire da questa vita. Comprenderete che ovviamente non potevo, inconsciamente, non ricondurre la visione della quale ero testimone a ciascuno di noi, me per primo, fugaci protagonisti in una trama teatrale nella quale noi recitiamo soltanto una brevissima parte, ma della quale non conosciamo né l’inizio né la fine. Ma la tenerezza che quelle due persone avevano suscitato in me, mi spingeva a formulare, come dicevo prima, assurdi desideri di un futuro di vita, alla quale dare e dalla quale ricevere ancora momenti e atti d’amore. E proprio a questo mi era concesso di assistere, e proprio a questo volgevo i miei pensieri, mentre la coppia di anziani lentamente scompariva sulla strada che iniziava la sua discesa. La discesa della loro visione e, emblematicamente, della loro vita. Come della vita di tutti.

* Lions Club Roma Aurelium. Articolo pubblicato sulla rivista “Lionismo ” n.2 annata

2009/2010

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