IL REALISMO MAGICO DI ROSA MARIA PONTE

( Elio Giunta)

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In un mondo caratterizzato, in Italia e all’estero, da cronache di eccessi di malvagità e di violenza, dobbiamo essere grati a chi ci dà occasione di porre mente ad un’esperienza creativa dettata da quel senso di umanità profonda e riflessa di cui suole essere fatta la letteratura. In questo caso alla scrittrice Rosa Maria Ponte che ci ha messo in mano un suo nuovo romanzo, col titolo La tragica bellezza, da poco pubblicato dall’editore Sciascia. Si tratta di un’opera che già intriga per la singolare struttura, sia dei tempi narrativi, che per gl’ingredienti atti a catturare il lettore: la sorpresa, l’imprevisto, il dar luogo ad una germinazione di accadimenti, legati ai molti personaggi, che si susseguono uno dietro l’altro, come a costruire oltre le vicende essenziali, una serie di microstorie che nell’insieme danno vitalità al racconto e fanno dell’opera un raro esemplare di quella che è o dev’essere l’arte dell’affabulazione.

Proprio così. Quest’opera della Ponte sta nel quadro della narrativa del nostro tempo come un richiamo alla funzione formale e sostanziale del narrare, in quanto questa vuole essere soprattutto affabulare.A districarsi dal labirinto di vicende del libro, un’attenta lettura muove dal canovaccio di fondo: Maura, una scrittrice, stanca dei suoi romanzi giallo culinari che pur le hanno dato successo, decide di occuparsi della storia centenaria della sua famiglia, anche giovandosi di un anziano cugino che vive in America, con cui è da tempo in relazione epistolare elettronica e che lo sa custode di antiche memorie. Non le resta che dare le ultime raccomandazioni all’amica governante e partire per incontrarlo, recando con sé una vecchia foto che ritrae figure da riconoscere. Si snodano così nel libro, alternandosi, due filoni narrativi: quello imperniato sul personaggio di Maura, della sua vacanza americana, con affascinanti giornate tra quartieri, piazze e grattacieli famosi di New York, oltre l’incontro-scoperta con i parenti ritenuti custodi degli antichi segreti di famiglia; e quello che ripropone appunto un’immersione nell’arcaismo contadino siciliano, in quel di Calatafimi, addirittura del tempo della spedizione garibaldina. Da questo antico mondo vengono infatti gli antenati di Maura, la loro storia costituirà il suo nuovo romanzo: da esso si trarranno pagine straordinarie, con le quali si ripropone un quadro di vita sociale fatto di tradizioni, di ataviche miserie e superstizioni, ferito dal passaggio della storia, quasi una Macondo di Marquez, meno guerresca ma altrettanto emarginata e trasognante. Luca è un pecoraio, povero e sognatore; un giorno mentre è al pascolo lontano dal suo abitacolo solitario, due sbandati o fuggiaschi dalla battaglia garibaldina gli stuprano la moglie giovinetta, che era rimasta in faccende con la figlioletta lattante. Il crudele episodio non resterà senza conseguenze. Infatti, allorché la sua Franzisca sarà ancora incinta, conseguirà il drammatico dilemma se per caso questo nuovo figlio non sia figlio addirittura di Garibaldi; e sarà un dilemma destinato ad essere sofferto in segreto per tutti i lunghi anni a venire. Tuttavia questo figlio porterà imprevista fortuna, infatti un bel giorno Luca cambierà stato, diventerà ricco: i padroni per i quali curava il gregge lo lasceranno erede di tutti i beni, in quanto moriranno uccisi di veleno dal nipote che temeva di essere diseredato. Per cui, quando nascerà ancora un terzo figlio, l’evento accadrà nel benessere e si potrà fare grande e costosa festa di battesimo, per quanto è possibile ad un Luca cui, essendo stato pecoraio, non potrà mai accordarsi il riguardo e il don dei signori. Col passare degli anni però non tutto sarà rose e fiori, anche i sentimenti più sinceri sfiorano col tempo e le passioni cedono alle intemperie e si guastano. Franzisca si trasformerà in curatrice avida di affari e Luca si macchierà anche lui del delitto di stupro, per giunta lasciando che la colpa ricada su un suo figlio, quello biondo e maleintegrato, destinato dalla sorte ad una inusitata avventura di fuga e di morte. L’occasione verrà in seguito alla trovata fantasiosa del parroco che, deciso a non lasciare nulla dei suoi soldi ai due nipoti fannulloni e scialacquatori, decide di spenderli facendo affrescare le pareti della chiesa. Per questo è chiamato un celebre pittore palermitano, il quale con gran sussiego si dedicherà al lavoro, collaborato dalla figlia Rosalia, una giovinetta dal piedino color caramello, la pelle di latte, i capelli di liquirizia e gli occhi verdognoli: una bellezza insomma fomentatrice del tragico intreccio. Si riferirà forse a questo la rivelazione della cruda verità che il vecchio Franz voleva fosse fatta a Maura. Già, a Maura la quale, non privandosi delle evasioni che i giorni newyorkesi le offrivano, si era già dedicata alla narrazione progettata, ormai con l’ausilio di quanto apprendeva dal caro cugino Frank e soprattutto dalla di lui sorella, la estrosa e vanesia Liza. La familiarità instaurata con questi cugini impegnava gradevolmente i suoi giorni americani; con Frank poi sembrava formatasi un’intesa particolarmente affettuosa e confidenziale, esercitata nei diversi appuntamenti, per turismo e al ristorante. Purtroppo però questo caro Frank un giorno non potrà farsi più vivo perché, sottopostosi ad accertamenti clinici, sarà operato al cuore e non sopravviverà. Dunque questo che sarebbe l’altro filone narrativo dell’opera, è caratterizzato dal senso di delusione, quasi di fallimento della protagonista, a sigillo del suo indecifrabile e costante senso di inquietudine. Valeva la pena scomodare i morti? Cosa sarebbe venuta a fare in America? O per caso non era meglio continuare con la serie dei gialli che le avevano dato successo? Dopo le esequie del cugino, Maura tornerà a Roma, ritroverà la sua Rossana, invasata di novità e mai sazia di effimere infatuazioni, e infine pure vittima anch’essa di inganno. Perché forse tutta la vita non è che una finzione dietro iniziative cui segue regolarmente l’impulso a tornare al punto di partenza. Dopo tutto, ed esaurita la curiosità dovuta verso l’antica stirpe, Maura tornerà a far vivere la protagonista dei suoi gialli? O non tutto può essere più come prima?Non sono queste tracce, essenzialissime e parziali, circa il contenuto del libro -e che, come detto, offre un denso corollario di storie e storielle conseguenziali-, dietro le quali se ne possa valutare lo spessore. Esso nel suo insieme rimanda a delle nozioni critiche da ascrivere a merito della narratrice, quindi a particolare apprezzamento di quanto la sua scrittura ha realizzato. Anzitutto da rilevare la creazione dei personaggi: alcuni, anche per le parti minori, originalissimi, e tutti conformi al costume dei luoghi, atti a definirne le condizioni, a fissare stati emotivi ora ironici ora visionari. Indimenticabile, ad esempio, la figura di Don Lazzaro, vecchio maestro ridotto a covare dentro di sé la lunga pena di un delitto d’onore commesso, che incanta i cafoni raccolti attorno a lui nelle sere d’estate, raccontando storie epiche o dei libri sacri, che infine attende di scomparire per sempre, novello Edipo, presso i ruderi sconosciuti di un tempio, tra il canto degli uccelli. Come dimenticare Za’ Crocifissa, la maga esperta e curatrice di tutti i mali, pro e contro il malocchio, dotata di una forza divinatrice per la quale, anche trasfigurandosi, preannunciava destini con arcane e poetiche parole. E la figura di Don Lino, macchiettistica, sia dinanzi al piatto di maccheroni scotti che quando muore nel marasma creatosi a causa del suo attaccamento al malloppo. Ed ancora la figura di Cunegondo Aiello, artista detta-leggi, pieno di sé; e quel sordomuto Jaco che supera i limiti fisici e dell’abbandono, facendosi strumento di giustizia, divenendo simbolo di generosità, di legame fraterno nell’emarginazione, fino alla morbosità di riti ancestrali. E come dimenticare, citando dall’altro versante, la sorella del cugino già senatore, l’esibizionista Liza, con la teatralità alterata dei suoi ricordi, di quando frequentava il mondo dello spettacolo e relazionava addirittura con un Victor Mature che invidiosamente le fu tolto. Oppure il personaggio di Rossana, vaga coltivatrice di illusioni, entusiasta verso una vita nuova e bella, dalla quale non si rassegna ad esserne esclusa e che paga il mortificante aneddoto di una fuga.Altro elemento caratterizzante questa narrativa è poi il gusto della scena: una singolare attitudine a fissare momenti cruciali e definiti degli accadimenti, come a renderne la dimensione più o meno vasta, la corposità oggettuale, gli atteggiamenti, i colori, i dettagli. Basti riesumare, ad esempio, la visione della piana di Calatafimi, allorché, raggiunta dalla corsa disperata di Luca, offre lo spettacolo dei cadaveri stesi come statue in varia guisa, tra cespugli spinosi, nel buio della notte piena, appena corretto dalla luna. E con quel Luca tanto inebetito quanto sconvolto che si allontana portandosi via una lanterna, unica, triste reliquia.Oppure rileggere le pagine che riprendono il funerale del cugino Francis Paul Maddlone che, essendo stato personaggio di riguardo, viene celebrato in una cappella particolare, con coro e musica. Lì tra ceste di fiori, odori pesanti, luci fragili di candelabri elettrici attorno ad una bara imbottita di raso bianco, oltre due fila di banchi, un cupo suono di tromba accompagna il canto del Dies irae. Si determina così un’atmosfera macabra che rende incisivo e apocalittico il senso della morte. Notevole anche la scenografia degli stupri, specie quello di Rosalia, la quale tra scale, latte di colori rovesciati, è ritratta svenuta a terra seminuda, con la striscia del suo sangue che grida l’irreparabile, quasi in un quadro realistico che dà raccapriccio ed incanta. D’altronde non va dimenticato a proposito che l’autrice è anche una valida pittrice. Ma va rilevato inoltre che tutto il libro si giova spesso dell’evasione onirica. E questa forse è la nozione che gli conferisce particolare originalità. I personaggi cedono spesso ai sogni premonitori o alle visioni angosciose, Maura specialmente; ma sono quasi tutti che vivono le loro vicende scivolando di frequente nell’inusitato; e persino lo scorrere delle azioni che parrebbero più ovvie sembra talvolta nascondere dei sottintesi misteriosi come se la realtà abbia sempre in serbo, pronto ad emergere, qualcosa di magico. Difatti alcune pagine fanno pensare ai racconti di Edgar Poe. Del resto sarebbe facile la tentazione di inquadrare Rosa Ponte in un contesto culturale di sapore angloamericano; solo che il suo stile, distaccato, sintatticamente organico e il legame alle antiche suggestioni della sua terra, lasciano che questo libro resti piuttosto tra i prodotti apprezzabili della creatività tipicamente mediterranea.

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