UNA TOSCA ESAGITATA

( Salvatore Aiello)

(ph.Teatro Massimo)

Dopo Traviata continua la Stagione del Massimo con un titolo strepitosamente  amato quale Tosca che in attesa di affermarsi sulle scene giapponesi è approdata sulla nostra ribalta solo per due recite nello stesso allestimento di tre anni fa; ancora una volta  Teatro  esaurito. Ci attendevano le restaurate sontuose scene di Francesco Zito notevoli per gli aspetti prospettici e per l’impianto tradizionale che degnamente inveravano la storia di Tosca da Sant’ Andrea della Valle, a Palazzo Farnese e a Castel Sant’Angelo. Alle ricercate immagini corrispondeva la regia di Mario Pontiggia interessante, nel totale rispetto dell’opera e del suo autore; attenzione ormai rara ai tempi odierni. Se lo spettacolo offriva molto interesse a vedersi, assai in ombra la parte musicale per un cast non omogeneo e una direzione periclitante. Vestiva i panni di Tosca Fiorenza Cedolins, una cantante che da più di un ventennio ha calcato i più grandi palcoscenici del mondo con una vocalità soprattutto di bel timbro, esperta del ruolo il cui debutto risale a Philadelphia nel ’95 con Pavarotti. Il suo ritorno era vivamente atteso ma ad onor del vero bisogna dire che ci ha deluso innanzitutto per un particolare modo di intendere il personaggio nevrotico, volgarmente erotico, bipolare; una visione che ha tradito la Tosca borghese, perbenista, bigotta che Sardou e Puccini hanno disegnato. In Chiesa non ci si può lasciare andare con scene di discutibile  gusto, amplessi gratuiti, ammiccamenti e allusioni lascive. E’ chiaro che questa interpretazione ha finito col prendere la mano alla protagonista riproponendo persino moduli veristici. La voce poi è apparsa carente ormai nei centri per  smalto e rotondità e gli acuti fissi e spinti, quindi una linea di canto sofferta e mancante  di quel lirismo del miglior  canto pucciniano. Un po’ più aderente al ruolo il Mario Cavaradossi di Marcello Giordani che a sprazzi ha offerto una voce generosa, calda di autentico tenore lirico e nonostante un fastidioso vibrato ha risolto la prova con mestiere e professionalità facendoci dimenticare un certo disagio nell’affrontare la zona acuta risultante vacillante e forzata. Di tutt’altro esito la prova di Sebastian Catana, uno Scarpia di piena vocalità con accenti ora nobili, ora temerari e con un gioco scenico sempre convincente. Un certo peso a tali risultati è da addebitare anche alla direzione di Gianluca Martinenghi che  privilegiava  sonorità talvolta allo sbando, poco propenso a seguire il palcoscenico con scelta di tempi spesso inconciliabili con la vocalità dei cantanti. Bene i comprimari: Paolo Orecchia (Il sagrestano), Romano Dal Zovo (Cesare Angelotti), Mario Bolognesi (Spoletta), Italo proferisce (Sciarrone), Cosimo Damiano (Un carceriere), Alice Licata (Un pastore). Buona la prova del Coro  e del Coro di voci bianche adeguatamente istruiti da Piero Monti e Salvatore Punturo.

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