UNA VACANZA DA INCUBO

(Lia Ciciliot)

 

Già cinque anni fa, avevamo deciso di trascorrere una breve vacanza a Barcellona ma, per problemi di lavoro, sfumò dolorosamente e ci dovemmo accontentare di due giorni sul lago di Como. Finalmente quest’estate, per l’esattezza giovedì 23 luglio 2015, con i miei familiari, sono partita da Savona alla volta dell’aeroporto di Nizza per prendere l’aereo delle h. 9:20 – imbarco h.8:50 –  diretto a Barcellona.  Al check-in l’addetta ci spiegava che l’aereo della VUELING AIR LINE, per un danno tecnico, era stato sostituito con un altro, sempre della VUELING, ma di minor capienza e che, pertanto, non essendo arrivati tra i primi al check-in, non potevamo salire tutti e tre a bordo, ma soltanto due di noi, in quanto non c’era posto per tutti i passeggeri (secondo lei un normale caso di overbooking). Ci suggeriva quindi di partire in due e di aspettare a Barcellona il terzo malcapitato. Ovviamente questa proposta non è stata accolta, in quanto eravamo in viaggio insieme, per una breve vacanza e mi sono limitata a dirle che, notoriamente paziente, in quel momento ero invece imbestialita e che doveva ringraziare la mia educazione se non mi lasciavo andare a imprecazioni irripetibili. Ci è stato allora indicato un volo successivo, con partenza alle h.12:30 da Nizza, scalo a Madrid e coincidenza immediata per Barcellona: abbiamo accettato e ci sono stati offerti tre voucher da dieci euro l’uno per acquistare generi alimentari nell’aeroporto, considerando l’attesa imprevista di alcune ore. Alle h.11:30 abbiamo effettuato il check-in e, con mia sorpresa, quando ho provato ad utilizzare i due voucher rimasti presso il duty-free, mi è stato risposto che non erano validi nella zona aeroportuale oltrepassato il controllo, quindi, mano al portafoglio, ho pagato due snack di “sopravvivenza” (avevo bevuto un the alle sei del mattino….). Finalmente ho preso il volo con i miei familiari per Madrid senza bagagli a mano in quanto imbarcati in stiva, sebbene non ne avessi fatto richiesta e senza una giustificazione plausibile (il personale non parlava né inglese, né italiano, né francese e ci eravamo più o meno capiti nel mio italiano- spagnolo del tutto improbabile). Appena atterrata, mi sono recata al gate per Barcellona con altre persone in overbooking sul volo Nizza-Barcellona, ma il gate era stato appena chiuso, sebbene la compagnia fosse a conoscenza del ritardo del volo da Nizza: insomma, ci è stato sbattuto il cancello in faccia, malgrado le nostre proteste. Finalmente, alle h.16:30 sono partita per Barcellona dove sono atterrata alle h.17:30 e dove, però, ho recuperato i bagagli dopo un’attesa di trenta minuti. Dopo una mezz’oretta di bus-navetta, alle h.19:00, quindi ben sei ore dopo quanto programmato, ho raggiunto l’albergo, l’Hotel Urban Gran Ronda, nel centro di Barcellona, poco distante dalla rambla e da piazza Catalunjia. Il giorno successivo, in parte riconciliatami con la Compagnia aerea, al mattino, sono andata a visitare la Sagrada Familia, opera di Gaudì: che splendore! Non ricordo di aver visto qualcosa di così maestoso e singolare, per me paragonabile solo al Duomo di Milano o a Notre Dame di Parigi, restando in ambito architettonico. Ho scattato parecchie fotografie, all’esterno e all’interno e dall’alto della Torre della Passione, da cui si può ammirare tutta la città, a meno che non si soffra di vertigini, come accade a qualche visitatore che rinuncia ad arrivare sulla sommità e ritorna al punto di partenza in ascensore, perdendosi la discesa di una lunghissima e perfetta scala a chiocciola. Faceva molto caldo e, all’ora di pranzo, abbiamo cercato un bar-ristorante con posti a sedere all’aperto, ben ombreggiati. Ho chiesto dei tapas, un piatto tipico spagnolo, una sorta di spiedini con diversi componenti, dalla carne, al pesce, al formaggio, davvero molto buoni, come la sangria, che viene offerta ovunque e che, se disseta sul momento, perché è fresca, una volta arrivata nello stomaco e aggiratavisi ben bene, “taglia le gambe” in maniera sorprendente. Nel pomeriggio, dopo una breve sosta seduti sul bordo di un’aiola, davanti al mare, la decisione di fare una passeggiata in bicicletta lungo la Barceloneta, un tratto costiero fornito di pista ciclabile, prospiciente la spiaggia e il porto turistico. Faceva caldo, ma c’era un po’ d’aria, specialmente muovendosi. Una giornata davvero splendida ed io andavo in bicicletta proprio bene, con la perizia di chi ci sa andare ormai da una vita e l’incoscienza di una ragazzina. E già: se avessi avuto qualche incertezza, se mi avesse fatto male qualcosa….invece no, stavo benissimo e ho pagato cara la mia spavalderia. Ad un attraversamento pedonale ho dovuto fermarmi improvvisamente, la bicicletta è lievemente retrocessa e io mi sono ritrovata per terra. Che patta! Ho sentito subito un tremendo “crac” al piede destro, che ha lasciato ben poco spazio alle supposizioni e, dall’alto, ho visto una manona amica protendersi verso di me, che mi offriva l’aiuto necessario a rialzarmi. Ripensandoci, non ricordo nemmeno in quale lingua mi abbia parlato il proprietario della manona. Tant’è che mi sono ritrovata in piedi in un batter d’occhio, o meglio, su un piede, in quanto il destro non mi reggeva affatto. Seduta su uno scalino, con un sacchetto di ghiaccio sul piede, meditavo sull’infelicità umana, mentre mio marito e mia figlia riportavano le tre biciclette dove le avevamo noleggiate: una fatica porca, poverini! Intanto il mio piede lentamente, regolarmente, stava gonfiando e rabbuiandosi. Mi definisco una persona piuttosto coraggiosa, che non si perde d’animo facilmente, ma giuro che in quella mezz’ora trascorsa seduta praticamente per terra, da sola, in una città che non conoscevo e con un piede ormai evidentemente rotto, avevo una gran voglia di piangere, intuendo un futuro prossimo non del tutto felice. Ecco quindi l’ovvia decisione di ricorrere alle cure del Pronto Soccorso dell’ Hospital del Mar, poco distante da lì, dove avrei conosciuto altri turisti infortunati in vario modo e dove sarei rimasta parecchie ore. In quel frangente qualunque cosa o persona andava bene per ingannare l’attesa del mezzo di soccorso ed è stato così che ho incominciato a chiacchierare con un tipo dall’accento strano, un…bergamasco che ha incominciato a raccontarmi tutte le sue vicissitudini in campo economico, dal fallimento o giù di lì della pizzeria che gestiva da qualche parte in Italia, all’intenzione di aprire un locale a Barcellona, dove però, mi diceva, c’era una grande differenza tra impresa artigianale e impresa industriale e mi spiegava le peculiarità. Non mi interessava affatto, ma, se non altro, non mi ero messa a piangere. Arrivata l’ambulanza,  sono stata aiutata dai due volontari a salire a bordo e ho ringraziato il cielo di aver ripreso recentemente uno studio serio della lingua inglese: la prima dottoressa che mi ha visitato, una volta arrivata in ospedale, mi ha chiesto in inglese cosa mi fosse accaduto e, fortunatamente, sono riuscita a raccontare tutto per benino. Dopo di che è iniziata l’attesa e…la voglia di andare in bagno! Non era semplice avere la sedia a rotelle, in quanto l’unica disponibile era occupata da una graziosissima ragazza tedesca che si era rotta la caviglia e sarebbe di lì a poco servita ad un giovane inglese che si era maciullato un ginocchio: fortunatamente l’altra ragazza inglese, arrivata poco dopo di me, si era rotta un polso e quindi io ho avuto la sedia a rotelle. L’importante ora era far capire al giovane infermiere, che doveva portarmi a fare la radiografia, che la prima tappa dovevano assolutamente essere i servizi. E’ stato così che ho capito l’utilità dei servizi per gli invalidi, anche se forse non avrei mai voluto saperlo. Nel frattempo sono giunti al Pronto Soccorso anche i miei familiari, devo dire provati quanto me, se non di più, considerata la circostanza inattesa e alquanto infelice. All’una del mattino successivo, lasciato l’Ospedale, ho ammirato dal taxi La Pedrera, mentre loro erano in farmacia a comprarmi le iniezioni di seleparina e un bel paio di stampelle, compagne fedeli per i successivi trenta giorni, nonché poco gradito ricordo di Barcellona. Il sabato e la domenica sono stati tristissimi: in albergo, seduta sul letto, a guardare la TV e neanche un programma in italiano: andava già bene se trovavo qualcosa in inglese o francese, tanto che mi sono fatta una cultura sulla pubblicità in spagnolo che mi ha permesso di scoprire che, a parte la “Somatoline Cosmetic”, pubblicizzata da uno spot identico al nostro, tutti gli altri prodotti diffusi anche in Italia sono reclamizzati in modo diverso. E’ stata molto consolatoria la lettura delle guide acquistate amorevolmente per me sui monumenti che non ho potuto visitare di persona: meglio che niente!  Trascorse in qualche modo le ore prima del giorno della partenza, sono finalmente arrivata alle 16:40 di domenica 26 luglio quando, per mezzo di un taxi, con i miei mi sono recata all’aeroporto con grande anticipo, alle h.17:15, sebbene l’imbarco fosse alle h.20:30 e la partenza per Nizza alle h.20:50 (arrivo previsto alle h. 22:05), considerando i miei problemi, la necessità dell’assistenza, della segnalazione dell’infortunio alla  VUELING AIR LINE e, soprattutto, l’odissea dell’andata, overbooking compreso. Appena giunta in aeroporto, ho ricevuto l’assistenza dovuta da parte dell’addetto intervenuto con la sedia a rotelle per il check-in e i controlli di sicurezza. Con mio marito e mia figlia sono rimasta nel punto ristoro dove si trovavano anche dei “negozietti” molto interessanti per un eventuale shopping, temutissimo da mio marito. Nel frattempo il gentilissimo e fiduciosissimo addetto se è andato, raccomandandoci di recarci al gate già assegnato trenta minuti prima dell’imbarco (h.20:00 circa).  Stupidamente fiduciosi quanto lui, ci siamo presentati al gate indicato ma, poco prima della partenza, questo veniva cambiato e la partenza rimandata di circa un’ora.  Lì per lì ho trovato la cosa piuttosto buffa: una sorta di transumanza fatta di persone di tutte le età, bagagli, passeggini e di me che, memore del film “Amici miei” canticchiavo a mia figlia “quant’è bello andar sulla carrozzella…!”. Purtroppo, però, questo fatto si è ripetuto per altre cinque volte cambiando il gate da una zona all’altra del terminal, fatto questo che comunque ci ha permesso di visitare in lungo e in largo l’aeroporto di Barcellona…. Malgrado i ripetuti tentativi, nessuno di noi è riuscito a sapere il perché di tutti questi cambiamenti e di così tanto ritardo, nemmeno una famosa presentatrice televisiva che ha condiviso con noi questa seconda odissea, in compagnia di suo marito e della loro deliziosa bimba. Una volta tanto avrei voluto che non esistesse la par condicio e che la sua presenza avesse in qualche modo potuto influire positivamente sull’andamento delle cose, anche perché il mio piede incominciava a farmi male, così come la gamba e la schiena e alla fine anche la testa (e dire che ci offendiamo quando qualcuno ci dice che ragioniamo con i piedi). Alla fine siamo riusciti a partire solo alle h.1:50 del giorno successivo, lunedì 27 luglio 2015. Poco prima della partenza, a mò di consolazione, sebbene nell’aeroporto data l’ora fosse ormai tutto chiuso, ci è stato comunicato che potevamo richiedere i voucher (vedi andata) per acquistare generi di prima necessità (?!?). Al momento di salire sull’aereo, mi sono resa conto che dovevo farmi la scala di accesso a piedi, pardon, saltellando con l’aiuto delle stampelle e di una robusta hostess che si è messa dietro di me facendomi capire, ovviamente in spagnolo, che era pronta raccogliermi se fossi caduta all’indietro. Grazie al cielo sono riuscita ad arrivare al posto a sedere senza dover sperimentare la sua prontezza nella presa. Alle h.2:50 sono finalmente atterrata all’aeroporto di Nizza dove, dopo un volo a bassa quota che, malgrado il sonno e la stanchezza, mi ha permesso di godermi il paesaggio notturno, ho trovato un assistente che mi ha accompagnato all’uscita sulla sedia a rotelle, chiacchierando affabilmente in francese, mentre mia figlia si tirava dietro due trolley e la sua borsa e mio marito andava a ritirare l’auto al parcheggio. Tutto a posto? No! Troppo facile. Qui giunto non ha potuto ritirarla, in quanto era scaduto il tempo per cui avevamo pagato anticipatamente. E’ così ritornato a piedi all’aeroporto, dove è stato costretto a spendere ulteriori venticinque euro per potersi riprendere l’automobile. Tornato all’aeroporto, fatta salire me, nostra figlia e caricati i bagagli, si è messo alla guida dell’auto con un vigore inaudito, data l’ora e la stanchezza, ed ha percorso l’autostrada se non a tutta velocità quasi, come fosse inseguito da un mostro malvagio che ci impedisse di metter fine a quell’orribile vacanza. Appena entrata in casa avrei baciato il pavimento, giuro, ma le stampelle me lo hanno impedito. Erano ormai le cinque del mattino di lunedì 27 luglio.

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