DUE TITOLI DI PIETRO MASCAGNI PER LA STAGIONE DEL MASSIMO

(Salvatore Aiello)

E’ andato in scena per la Stagione di Opera e Balletti del Massimo un interessante dittico di Pietro Mascagni:   Rapsodia Satanica   e  Cavalleria Rusticana.  Rapsodia Satanica  è una colonna sonora dell’omonimo film muto sincronizzata  perfettamente con le scene frutto di un lavoro faticoso che il livornese definì  “lungo, improbo e difficilissimo”. Nel film rivive il mito faustiano in chiave  femminile; affidata a Lyda Borelli, diva del muto, la storia di Alba d’Oltrevita,  un’anziana dell’alta società del XX secolo piena di nostalgia per il tempo volato,  sigla un patto con Mefistofele: riacquistare la giovinezza senza però innamorarsi  più. Due fratelli si imbattono sul suo cammino: Sergio, appassionato, fino ad  uccidersi per il suo rifiuto e Tristano che spera di sposare in segreto, ma il vigile  Mefistofele è lì pronto a riprendersi la giovinezza concessa e infliggerle vecchiaia  e dolori per l’inosservato rispetto del patto. In risalto l’esecuzione dell’orchestra del Massimo in sintonia con il film proiettato  nella versione restaurata da Marcello Panni; Fabrizio Maria Carminati ne consegnava una lettura assai fedele e curata.  A seguire, l’arcinota  Cavalleria Rusticana  estremo documento del verismo musicale italiano in riproposta dell’edizione del 2015 con la regia marcatamente tradizionale di Marina Bianchi, le scene, i solari costumi di Francesco Zito e le pertinenti luci di Bruno Ciulli. Un’immagine lunare, quasi spettrale, ricalcata  dall’effetto danzante offerto da Elisa Arnone e Giuseppe Bonanno accompagnava  le note del preludio. Sul palcoscenico poi una scena fissa con una chiesa e l’osteria  di Mamma Lucia, ribalta, talvolta risultante affollata, petulante di tutto il paese  testimone infine del tragico omicidio.

L’opera si è avvalsa per lo più di un cast omogeneo di tutto rispetto ove emergeva Sonia Ganassi che piegava alle insidie del canto di Santuzza la sua bella voce di  mezzosoprano lirico belcantista, riuscendo a trovare colori, empiti drammatici  sempre attenta allo stile nella visione del personaggio risolto piuttosto intimamente e con convincente gioco scenico.

Turiddu era Murat Karahan di vocalità vigorosa, non sempre controllata nell’introduttiva siciliana, poi via via risolta con serena  efficacia. Alfio era Geovorg Hakobyan dal canto sorgivo e disinvolto gioco  scenico. Completavano il cast la flessuosa ed accattivante negli slanci insidiosi  Lola di Martina Belli e la mater dolorosa di Agostina Smimmero con robusta  densità vocale e sobrietà scenica. Bene il coro curato da Piero Monti così anche l’orchestra che Carminati, attento sempre al palcoscenico, ha condotto mettendo costantemente in luce i variegati  colori e gli squarci drammatici dello spartito. Soddisfatto il pubblico.

 

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