SPETTRI AL TEATRO BIONDO DI PALERMO

(Gabriella Maggio)

Micaela Esdra nel ruolo di Helene E Matteo Baronchelli nel ruolo di Manders

(ph. R. Garbo)

Fino al 3 marzo sarà in scena al Teatro Biondo di Palermo Spettri di H. Ibsen, prodotto dallo stesso teatro per la regia di Walter Pagliaro. Accanto a Micaela Esdra, Matteo Baronchelli, Massimo Venturiello Riccardo Zini e Roberta Azzarone. Il dramma affronta la crisi della famiglia ed in generale dei capisaldi della società borghese, che si rivela corrotta e ipocrita. Helene Alving, interpretata da Micaela Esdra in una chiave drammatica alla Artaud, spinta dalla famiglia ha sposato il luogotenente Alving, pur essendo innamorata di Manders, avviato a diventare pastore luterano. Il marito si è presto rivelato un donnaiolo e si è ammalato di sifilide. Dalla relazione con la serva Johanne ha avuto Regine, accolta in casa come serva, e attribuita come figlia al falegname Engstrand, per salvare le apparenze. Per proteggere dalla corruzione familiare  il figlio Osvald Helene lo allontana da casa. Tuttavia non denuncia le ipocrisie  della sua famiglia, diversamente da Nora di Casa di bambola, anzi comincia un’intensa attività filantropica a nome del marito per proteggerne la reputazione. Il dramma inizia con i preparativi per l’inaugurazione di un orfanotrofio in memoria del defunto marito e l’arrivo da Parigi di Osvald. Parte importante  nei preparativi ha il pastore Manders che via via raccoglie le rivelazioni di Helene sulla crisi del suo matrimonio. Il giovane Osvald , malato di sifilide come il padre si è innamorato di Regine, probabilmente in un precedente soggiorno in famiglia, e vorrebbe sposarla; mentre la  madre gli  svela la verità il giovane le confessa la sua malattia ed il proposito di morire prima di ridursi un vegetale. Perciò   consegna alla madre una dose mortale di morfina da somministrargli  quando avrà la crisi finale. Ma il dramma non rivela con  chiarezza se la madre mantiene la promessa. Le tinte dell’opera  sono fosche e fanno pensare alla tragedia greca, per i cinque personaggi, per le unità di tempo e luogo, per la catarsi attraverso terrore e pietà. La regia incentra l’azione su Helene, seguendo la tradizione inaugurata dalla Duse nel 1922,  lasciando in secondo piano il dramma di Osvald. Vittima e carnefice Helene incarna l’intelligenza che scruta sino in fondo la vita e denuncia una cupa visione della società che non dà gioia né felicità né spazi per un’efficace denuncia. L’incendio finale dell’orfanotrofio è un simbolo chiaro e gli spettri interiori ed esterni non vengono allontanati. L’arte svela, ma non ha messaggi da consegnare. L’impegno e la professionalità della messa in scena non sono adeguatamente  compensati dagli esiti. La realizzazione di Pagliaro  resta confinata  in un clima culturale e psicologico lontano dall’oggi.

 

 

 

 

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