ALIENI- Racconto

(Giuseppe Pippo Visconti)

Quante lune sono che giro su me stesso penzolando dal soffitto affumicato da centinaia di sigarette? Più o meno lo stesso numero dei soldati che sono passati per questa caserma.  Il rotore è ancora funzionante, ma molto vecchio, e questo mi condanna a un moto sostanzialmente inutile: le pale girano lente, troppo lente per dare una minima frescura. Eppure nessuno mi ripara, o intende rimpiazzarmi con un ventilatore nuovo. Qui cambiare è disequilibrio: porterebbe novità, fomenterebbe fantasie, farebbe venire in mente idee non previste dal regolamento, idee potenzialmente pericolose, da sopprimere fin dal primo vagito.

Emil

Il maresciallo Barta in questa caserma c’è ormai da molto tempo: è un militare molto diligente, in fondo somiglia a tutti gli altri che lo hanno preceduto. Sta interrogando un uomo che ha i gomiti poggiati sul ruvido ripiano e la testa racchiusa tra le mani: è chiuso in un mutismo che al sottufficiale sta sembrando eterno. Si chiama Emil Varga, ed ha un volto scolpito sulla pietra, gli occhi aperti, fissi, di uno che sta vivendo altrove. L’interrogatorio somiglia molto anzi è una normale conversazione; il maresciallo gli ha fatto togliere le manette; lo conosce, sa che è un uomo mite, o almeno era considerato tale fino ad oggi.  Sul rapporto che ha riletto anche per eliminare qualche errore di grammatica prima di sottoporlo all’attenzione del comandante, figura che il Varga durante un’accesa discussione ha aggredito sua moglie violentemente, ferendola in modo grave, tanto che la donna adesso è ricoverata in gravissime condizioni nell’ospedale cittadino. Barta prova un altro approccio:

– Non mi hai chiesto nemmeno come sta: davvero così poco ti interessa? Siete sposati da un bel po’!

– Francamente della sua sorte non mi interessa più nulla maresciallo, e ormai neanche della mia: se dovesse essere morta pagherò quel che dovrò pagare, a ognuno!

Il maresciallo gli chiede allora di raccontargli i fatti, anche solo per sfogarsi, a cominciare dal momento in cui è tornato a casa dalla cantina dove lavora.

Finalmente Emil sembra animarsi, solleva il busto, si strofina gli occhi, beve l‘acqua dal bicchiere che Barta gli ha riempito in precedenza. In un attimo rivive ancora una volta l’accaduto, avvampa come avrà fatto in quel momento, poi comincia:

– Avevo un po’ di febbre, sono rincasato molto più presto del solito, passando dal retro e dalla porta che dà direttamente in cucina. Il tavolo doveva esser stato bene apparecchiato, si notava bene, nonostante fossero rimasti soltanto piatti vuoti, unti. Dalla teglia mancava quasi metà dello sformato di verdure. E’ il mio piatto preferito, fui contento per un momento. Ho sentito dei rumori di là, in bagno, poi mia moglie è entrata sistemandosi i capelli: ha avuto un leggero moto di sorpresa, mi ha guardato, poi ha guardato il tavolo ed è arrossita!

Al polso aveva un curioso bracciale, che non le avevo mai visto addosso.

E disse una cosa che mi avrebbe fatto ridere, se me l’avesse detta vent’anni prima.

Il maresciallo aspetta qualche istante, ma poiché ha di nuovo l’impressione che Emil non voglia più riprendere, si decide a domandargli che cosa di così grave sua moglie avesse mai potuto dirgli. Emil ha ora un sorriso estraneo alla sua faccia, imita sicuramente quello di qualcuno:

– Mi disse, sorridendo allegramente, di aver pranzato con un alieno! Capisce maresciallo, perché l’ho ammazzata di legnate?

Pillitteri

La voce dell’ammiraglio risuona inaspettata direttamente dentro la mia testa. Saranno pochi gli ufficiali che possono raccontare di aver parlato col capo della sicurezza planetaria, e quindi oltre che sorpreso dovrei esserne onorato: e invece istintivamente mi metto sulla difensiva. Mentre do l’addio al riposino postprandiale a cui mi stavo preparando non solo mentalmente, vedo addensarsi nuvoloni neri sul mio finora immacolato stato di servizio.  L’ammiraglio Bronson parla con la calma degli ufficiali superiori:

– Buongiorno comandante, mi scusi se lo distolgo dalle sue importanti occupazioni, le rubo solo un minuto. Un nostro informatore ci ha segnalato, niente ancora di preciso beninteso, che sul pianetino T7.Y.3 ci sarebbero stati dei tentativi di approccio, forse anche delle commistioni, con qualche indigeno. Poiché il settore ricade nella sua area di competenza, ho pensato che forse lei potesse saperne qualche cosa. Le risulta nulla?

Ma risultarmi cosa? Siamo in orbita da due settimane su questo pianeta, l’ultimo gemello della Terra scoperto fino adesso, ma ancora non ci siamo scesi. A meno che … o Gesù! 

– Buongiorno a lei signore. No ammiraglio, è la prima volta che ne sento parlare. Stiamo perlustrando il pianeta da 18 giorni rimanendo schermati anche strumentalmente, nonostante la loro modesta tecnologia. A onor del vero il nostro cuoco Bernard, con una guardia, vi è sceso a bordo di una piccola unità di esplorazione, un pomeriggio, per delle ricerche sull’alimentazione dei locali: ma vi è rimasto soltanto un paio d’ore, e non risulta nulla nel rapporto. Naturalmente se lo ritenesse opportuno farei personalmente delle indagini.

– Le sarei davvero grato, Pillitteri. E vorrei anche chiudere la questione in tempi brevi: mi giungono notizie di un ferimento addirittura, ma dire che ci sia qualche attinenza con i nostri esploratori onestamente è tutto da vedere. Allora attendo sue notizie comandante, buona giornata.

– Buona giornata a lei, ammiraglio, agli ordini! – riattaccò e imprecò nello stesso tempo.

O cavolo! Che cos’hanno combinato in realtà laggiù quei due, l’altro pomeriggio?

Se l’Ufficio Rimozioni Ricordi da Avvistamento contatta il comandante di un’astronave che sta navigando nella zona di un pianeta abitato, so per esperienza che avrà i suoi ragionevoli motivi. E se lo fa l’ammiraglio Bronson in persona allora devono essere anche decisamente seri: deve per forza essere successo qualcosa sul quel cavolo di spiaggia dove è sceso Bernard. Potevo mai dirlo all’ammiraglio che eravamo stufi di assumere da settimane liquidi sintetici e che la missione non aveva nulla di scientifico? Cercavamo delle alternative, non mi sembra poi così fuori ordinanza! E poi il cuoco aveva così insistito per scendere su quel tratto di costa tra mare e bosco: i suoi stramaledetti rilevatori di alimenti compatibili gli avevano promesso piacevoli sorprese.    E infatti era rientrato, non prestissimo adesso che ci penso, con un bel bottino: frutta e animali acquatici soprattutto, molto interessanti dal punto di vista organolettico. La sera Bernard ebbe diversi urrà a cena da tutto l’equipaggio.   Io il suo rapporto l’ho ricevuto, me ne ricordo bene, e l’avrei anche letto prima di archiviarlo, ma non so come, poi me ne dimenticai: e onestamente, mi sto chiedendo, perché mai avrei dovuto considerarlo di rilievo?

Bernard

Sto preparando la cena per l’equipaggio, quando l’interfono gracchia ed emette un paio di fischi fastidiosi, poi mi arriva l’accento inconfondibile del comandante Pillitteri. Sono mesi che chiedo di fare riparare questo altoparlante, ma la richiesta deve compiere un lungo giro burocratico prima di essere approvata: ormai ci ho perso le speranze!

– Bernard, sei lì in cucina?

– Mi cercava comandante? – chiedo al microfono posato sul lavello usa e getta che hanno appena finito di montarmi.

– Bernard, ma che cosa avete combinato nel quadrante B.X.222, si può sapere?

Roza

Siamo soli io e il dolore, da giorni ormai. Inizio dove lui comincia e finisco quando non c’è più. Prima e dopo probabilmente dormo. La sofferenza mi rassicura in fondo: se esiste vuol dire che ci sono anch’io. Sono in ansia per la mia sorte e mi chiedo cosa ne sarà di me, se il dolore dovesse mai finire: rimanere sola mi costerebbe troppo, non riuscirei a concepire altro compagno della sua statura.  Macchio questa angoscia con ricordi che sbucano da soli, come dei bagliori, come quelli che vedo provenire dal boschetto dietro casa mia. Ho preparato lo sformato di melenzane. Adesso ho finito e mi sistemo i capelli. Aspetto che lui torni dal lavoro: lo sformato è il suo piatto preferito. Che strani lampi: di solito scendono dal cielo ma questi sembrano nascere tra gli alberi del bosco.  Sono curiosa e ci voglio andare: è giorno pieno e non mi ci vorrà molto, a passo svelto saranno due minuti.   Due esseri in tuta bianca si danno un gran da fare attorno ad una grande scatola da cui si sprigionano scintille. Sono strani e si muovono veloci. Uno di loro mi vede, si avvicina, io faccio per tornare indietro ma lui mi ferma; parla una lingua oscura che riesco però a capire. Si accorge della mia sorpresa: è grazie al traduttore universale, dice, e indica una scatoletta che indossa sulla tuta che per consistenza e colore sembra gomma da masticare. Si toglie il casco: non ha capelli, proprio come gli alieni che disegnavo da bambina.  Adesso siamo a casa mia: dice allegro che è la parmigiana più buona che abbia mai mangiato in tutto l’universo: io non so cosa sia la parmigiana, ma lui parla come se fosse il padrone delle stelle, e se ha detto parmigiana vuol dire che lo sformato si chiamerà così. E’ un bell’uomo e mi sorride.   Quando Bernard va via, al mio polso c’è una nuova catenina: la sfioro, spero che mi porti un po’ di fortuna. Sento una macchina: Emil sta tornando a casa prima. Il mio codino ha un fremito nervoso.

 

 

 

 

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