ACCADEMIA DEL BUON GUSTO

(Francesco Paolo Rivera *)

Fu fondata nel 1718 ad opera di Girolamo Settimo (1) e di Giovan Battista Caruso (2), con sede, in via Maqueda, nel Palazzo Filangeri, dei principi di Santa Flavia, l’Accademia del Buon Gusto, cresciuta (secondo il Pitrè) a correzione del brutto andazzo letterario dei tempi (3). Quindi, nel 1791, a seguito di particolari beghe della famiglia dei P.pi di S. Flavia, la sede della Accademia venne trasferita, dal Vicerè Francesco d’Aquino P.pe di Caramanico, al Senato, che ne divenne mecenate naturale. Il Vicerè, con il concorso del Pretore Monroy riformò di sana pianta l’Accademia (4), il P.pe Gaetano Cottone di Castelnuovo (1714-1803), che aveva ricoperto svariati incarichi nell’amministrazione delle Capitale, ne divenne Presidente, Salvatore Maria Di Blasi (1719-1814), teologo (fratello di Giovanni Evangelista), ne divenne archivista e bibliotecario e tanti altri studiosi, letterati e scienziati (Camillo Gallo, Diego Muzio, Raffaele Drago, Antonio Arena, Gaspare Palermo, Giovanni Meli) diedero enormi contributi all’Accademia, tanto che – malgrado i tempi non fossero molto felici nè sul piano sociale che né su quello economico -, l’accademia procedeva tranquillamente, nello svolgimento dei suoi programmi, a forza di dissertazioni su cose ecclesiastiche e di discorsi eruditi e letterari (5). Si svolgevano anche le così dette “cicalate” (discorsi lunghi e monotoni su argomenti privi di interesse), c’era quella dell’ultimo sabato di carnevale che assurgeva a un avvenimento mondano, c’erano quelle in poesia (particolarmente quelle dell’Abate Meli che le recitava personalmente sia nel Palazzo senatoriale che al Monastero di S.Martino delle Scale). Vi furono speciali adunanze per la Passione di Gesù Cristo e per la Santa Rosalia alle quali partecipava oltre al Senato anche la Nobiltà; una solenne se ne tenne per S. Tommaso di Aquino, nel Convento dei Domenicani. Tali riunioni con l’andare del tempo, verso la fine del secolo, presero un diverso (per non dire strano) indirizzo: il pubblico (costituito anche dai Nobili), che frequentava con largo interesse e che largheggiava in ringraziamenti e in lodi, nei confronti dei Senatori e del Pretore (che, secondo le usanze di quell’epoca, in qualità di “padrone di casa”, offriva sorbetti agli invitati) cominciò ad assumere atteggiamenti ostili. … Come mai? I tempi erano cambiati; si era in pieno “Illuminismo” …, anche, se la censura ostacolava l’espandersi delle nuove idee politico-sociali che ormai, dopo l’Inghilterra e la Francia, avevano coinvolto l’Europa, pubblicazioni di vario tipo, sicuramente in contrasto con la politica vicereale e con quella del governo centrale,  riuscivano a eludere la censura e ad arrivare anche a Palermo. Il 18 dicembre 1790, sempre in una adunanza pubblica dell’Accademia, l’Abate Angelo Vinciprova di Nicosia, nello svolgimento delle sua relazione circa gli ostacoli che si opponevano ai progressi della letteratura in Sicilia, si lasciò andare a “una dipintura delle nostra Nobiltà la più mortificante, facendo vedere che nessuna sollecitudine si prendeva essa di proteggere i letterati, essendo data perdutamente ai vizi e al lusso.”  seguita, tra la costernazione dell’auditorio, subito dopo, dall’intervento di alcuni poeti, i quali levatisi in piedi, …“snodano le loro voci con sentimenti più satirici del discorrente, dimostrando con i loro versi che i nostri Nobili solitamente son dati all’ozio, al sonno e …” Lo scandalo si estese nella Città, non esisteva altro argomento di conversazione, nei salotti, nei caffè, negli incontri pubblici e privati, … la Nobiltà, necessariamente, si predispose alla vendetta, gli animi si surriscaldarono … il “galateo non è il forte del genus irritabile vatum”. L’11 settembre 1797, ricorrendo una delle sedute ordinarie dell’Accademia, il Pretore, invitato, non intervenne, e anzi fece sapere  che – per tutta la durata della sua carica – non sarebbe stato più disponibile a intervenire. Anche se ci si aspettava una reazione a quanto era successo, molti disertarono le adunanze, … non si distribuirono più sorbetti ... Ma – alla fine dei conti – gli accademici non ritennero di avere colpa alcuna per quanto era accaduto e, tanto meno, per la determinazione del Pretore … ma, in realtà, che cosa era accaduto ? … perché il Pretore se la prendeva con loro? Finalmente, attraverso pettegolezzi, si appurava che il malumore del Pretore era generato dal comportamento del Segretario dell’Accademia … il Segretario dell’Accademia non aveva fatto il regalo che suol fare al Maestro di Casa del Pretore …! … e, non poteva dirlo prima !? … fatto il regalo, subito tutto tornò come prima … sorbetti compresi, e visto che l’equivoco si era risolto, meglio fingere di non sapere niente … per evitare altre conseguenze …! Il 10 dicembre 1797 un altro avvenimento creava un nuovo incidente nell’ambito dell’Accademia: un medico messinese, il dr. Giuseppe Palazzo Andronico, tenne una conferenza, circa la necessità dello studio, nell’ambito dell’accademia stessa, della “Sfigmica in medicina” (pulsazione arteriosa). L’auditorio era al gran completo e molti i medici presenti …: Ultimata la relazione, secondo il programma, si procedette alla lettura di versi, tutti contenenti una “filatessa” (sfilza) di contumelie contro la medicina e contro l’Andronico. Concluda la riunione, un’altra scarica di contumelie contro i medici, venne pronunciata dal poeta dialettale (del XVIII sec.) Onofrio Jerico. Perché questa piazzata …? … cosa nascondeva …?  Orazio definisce la naturale suscettibilità dei poeti  “Genus irritabile vatum” … ma sembra che i motivi fossero di diversa natura. Nel 1795 il dottor Andronico pare che abbia chiesto alla deputazione degli studi la istituzione di una cattedra per l’insegnamento di Stigmica, come parte del più vasto insegnamento della Medicina interna (6). Malgrado tale richiesta fosse stata bocciata dalla Deputazione, l’Andronico era riuscito, non si sa bene come, a trovare l’appoggio necessario per farla accettare – anche se a titolo sperimentale – dal Vicerè, il quale con dispaccio del 22 febbraio 1796, gli assegnò addirittura lo stipendio di tre onze mensili. Ma gli studenti non erano d’accordo circa la necessità di tale insegnamento …, distinguere circa settanta maniere di battiti del polso …? E, poi. … ciò che è peggio, … un messinese avrebbe dovuto insegnare una scienza a Palermo …?  (7) … giammai ! Inde irae (8) … infatti un anno dopo l’Andronico venne esonerato dall’incarico! L’Accademia dispone di una notevole biblioteca ricca di atti accademici ed è attualmente disciplinata dallo statuto del 7 maggio 1954.

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* Lions Club Milano Galleria – distretto 108 Ib-4 – matr. 434120

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  • Marchese di Giarratana (1706- 1762), al quale si deve la rinascita della cultura scientifica siciliana intorno alla seconda metà del XVIII secolo, in particolare per la diffusione del pensiero di Wilhelm Leibniz. Egli lasciò una biblioteca ricchissima;
  • Barone di Xireni o Xiureni (1673-1750) laureato in filosofia e teologia, autore di molti testi filosofici;
  • Ebbe, come stemma – così asserisce Gianfranco Purpura, docente di diritto romano e di esegesi all’Università di Palermo – “una frotta di api in atto di volar a fiori, per estrarne i sughi più saporiti insieme, e più utili a farsene un purissimo miele.” E, per meglio esprimere la finezza di quel Buon Gusto si è aggiunto il motto “Libant e probant” … gli Accademici venivano proposti come api, il polline era il prodotto da fiori-studiosi, selezionati per produrre il miele della scienza. Il monito derivava, proprio dallo statuto dell’accademia “Nei discorsi si dibattono solamente punti utili e massicci, e non quistioni declamatorie, o vanamente curiose.” Il simbolo dell’ape – sempre secondo il prof. Purpura – , deriva dall’Accademia degli Animosi dell’Oreto, nata per volontà del nobile Giuseppe Del Voglio e del Senato cittadino dalla scissione dell’Accademia dei Riaccesi nel 1642. Pare che l’Accademia del Buon Gusto abbia anche attinto da “Le riflessioni sul Buon Gusto” del Ludovico Antonio Muratori, pubblicate circa dieci anni prima con lo pseudonimo di “Lamindo Pritanio”. Le api, che nell’Inghilterra illuminista erano state il simbolo dell’egoismo utilitaristico e del benessere materiale, e nella Francia napoleonica l’emblema dell’obbedienza all’imperatore, divennero nella società borghese e mercantile il simbolo dell’economia politica e liberale;
  • Anche lo stemma subì modifiche essenziali: Come sfondo l’aquila senatoria palermitana con uno sciame di api sul petto e il motto “Libant et probant” e la leggenda “Accademia palermitana del Buon Gusto – sub auspiciis – S.P.Q.P.”;
  • Nel 1833 modificò la denominazione in “Accademia di Scienze, Belle Lettere ed Arti” e l’anno successivo ottenne il titolo di “Reale” e venne inserita tra le maggiori Accademie d’Italia, suddivisa in due branchie, una di scienze matematiche e l’altra di scienze giuridiche, filologiche, storiche e filosofiche:
  • L’onda sfigmica è l’onda creata dal sangue che esce dal cuore e raggiunge il sistema periferico;
  • Vale la pena ricordare i secolari contrasti esistenti tra i messinesi e i palermitani. Nel XVII secolo, sotto la corona di Spagna, Messina (fiorente città portuale, situata in una posizione strategica da un punto di vista geo-politico-economico) godeva di particolari privilegi che erano causa di contrasti con altre città siciliane (pretendevano addirittura di diventare la Città sede del Vicerè), ma soprattutto con la Città di Palermo e particolarmente con i Nobili palermitani, i quali riuscirono all’inizio di tale secolo, a fare revocare alcuni di tali privilegi. Si verificarono anche carestie e pestilenze (le cui colpe erano attribuiti ai palermitani), e nel 1674, la città di Messina si ribellò allo “strategoto” (governatore) gen. Luis dell’Hojo. Da Palermo il Vicerè P.pe di Ligny, a capo di un forte esercito, intervenne per sedare la rivolta. I messinesi, a questo punto, chiesero la protezione del re di Francia, Luigi XIV, il quale inviò la flotta che sconfisse quella spagnola nella battaglia delle Eolie. Ma, poi, i francesi per accordi segreti con gli spagnoli, si ritirarono da Messina, che fu lasciata alla mercè degli spagnoli, che la ridussero “la città morta civilmente”.
  • da ciò “le ire e il pianto …!” … secondo il detto di Decimo Giulio Giovenale.

 

 

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