AVUGGHIA E SPINGULA

(Francesco Paolo Rivera)

L’articolo “Gli obelischi di Palermo”, pubblicato sul Vesprino numero 111 di settembre 2019 (già postato sul sito Balarm.it), a firma dello scrittore, ricercatore storico e delle tradizioni popolari siciliane, Santi Gnoffo, ha fatto rivivere, in me, che manco da quasi sessant’anni dalla mia città natale, luoghi a me ben noti e che riportano alla mia  memoria episodi della storia di Palermo. I due obelischi di piazza Cappuccini …, di fronte al Convento e alle Catacombe …, ormai ridotti a discariche a cielo aperto … forse nell’intento di fare diventare, come Roma, “capitale” la nostra città …??? L’obelisco di piazza Indipendenza, … a ricordo dell’apertura delle strade che conducevano a Monreale, a Trapani, a Corleone. L’obelisco di piazza Sant’Erasmo, all’angolo con via Lincoln, per ricordare l’abbattimento del bastione marittimo delle mura cittadine, nel 1784 per volere del Pretore Girolamo II Grifeo durante il quinquennio di carica  a  Vicerè di Sicilia del m.se Domenico Caracciolo. L’obelisco di piazza delle Tredici Vittime, realizzato dallo scultore Salvatore Valenti, autore di innumerevoli monumenti cimiteriali e del Palchetto della Musica di Piazza Castelnuovo, per ricordare la fucilazione, senza processo, di tredici patrioti della “Rivolta della Gancia”. A proposito di quest’ultimo monumento, il nostro Storico evidenzia, nel suo articolo, due grossolani errori commessi in occasione delle celebrazioni siciliane dell’unità d’Italia (maggio 1960), quando fu incisa sull’originario basamento dell’obelisco l’epigrafe “La gloria dei Martiri da questa stele celebrata nel cinquantennio  del sacrificio il Governo Reggionale  ravviva e riconsacra a cento anni dell’eccidio…” , … errori dei quali solo adesso prendo conoscenza… ma non evidenzia quelli da Lui commessi nel suo articolo. Infatti, l’autore Santi Gnoffo, scrive che “questo obelisco era denominato, a causa della sua forma, “a punta di vugghia” … e più avanti, quando fa riferimento al luogo di appuntamento dei carrettieri e degli agricoltori vicino l’obelisco — “Nni viremu a punta di vugghia”, traduce in italiano, per ben due volte. il vocabolo “vugghia in “spillo”! La “vugghia” o “avùgghia, o “augghia”, o “agugghia”, o “gugghia” (a secondo della Provincia siciliana), è “l’ago”, cioè lo strumento che si usa per cucire, mentre lo “spillo” in siciliano si chiama “spingula”, come si evince dal dizionario etimologico di Rosario Sciangola “Il Siciliano” (Ed. Leima 2016) e come definito nel “Nuovo Dizionario Siciliano”  (Ed. 1881), da Vincenzo Mortillaro “sottile filo di rame corto, e acuto da una estremità mentre dall’altra con un capo rotondo che serve ad appuntare. …”! Insomma “l’avugghia serbe pe’ cùsiri, ‘a spingula p’appuntari!” Sicuramente l’articolista non può ricordare i venditori “porta a porta” di “avugghi e spinguli” (non più esistenti) che con la loro “’nguantera” o “’nguantiera” (vassoio)  assicurata al petto da una cinghia a tracolla vendevano tali generi per cucito alle massaie dei rioni più antichi della Città, … ma non può e non deve confondere l’ago con lo spillo … anche se entrambi sono appuntiti …!?!?!? La parola “avugghia”, (la cui origine si presume latina),  per assonanza con la parola lombarda “guggia” pare sia stata importata in Sicilia  proprio dai Lombardi (così definiti quelli che abitavano dalle Alpi al Po), che a Palermo – nel sei-settecento – vendevano generi di vettovaglie (cioè carne, pesce, salumi)  a quell’epoca denominati “grasce”,… ma sempre “ago” era … mai “spillo”Bastava ricordare la canzone “’E Spingule francese” che anche se napoletana (mi pare che l’abbia scritta Roberto Murolo)  si riferisce proprio allo “spillo o spilla da balia o di sicurezza” … Sicuramente il nostro Ricercatore delle tradizioni popolari siciliane  non ha mai assaggiato l’”Avugghie” (in italiano le “aguglie” … nome scientifico “belone belone”) l’ottimo pesce azzurro che popola il Mediterraneo, (quelli più grossi – aguglie imperiali -,  arrostiti sulla brace di carbone di legna – ma non in casa –  o infarinati e fritti … è cibo da buongustaio). Ha forma allungata, di colorito azzurro sul dorso e argenteo sui fianchi, la lisca è verde, la mascella è allungata. assumendo la forma di uno spadino (insomma … un pescespada in miniatura), ed è per questo che gli è stato attribuito il nome dell’ago! Non è facile accettare un tale errore, commesso da uno studioso di quel calibro, sia perchè è nato a Palermo, sia perché il suo cognome denota la provenienza da una cittadina, Bisacquino, che ha dato i natali anche a un altro esperto di dialetto siciliano, l’autore del dizionario “Il Siciliano”, Rosario Sciangola. A questo punto, … sperando che l’eminente Ricercatore perdoni le mie battute …, onde evitare altri errori di traduzione dalla lingua siciliana a quella italiana e viceversa, suggerirei di partecipare alle riunioni della “Accademia della Lingua Siciliana” (recentemente costituita) che, forse, seguendo le orme di quella fondata nel 1790, proprio per lo studio della lingua siciliana,  dai palermitani Gueli, Alcozer, Scimonelli, La Manna, Calì, Catinella e Mondini, coordinati da Giovanni Meli e dallo scolopio genovese Michelangelo Monti. (sepolto nel 1823 in San Domenico), con la denominazione “Accademia Siciliana”, si trasformò, verso la fine del settecento, nell’Università di Palermo !

* Lions Club Milano Galleria (108 Ib-4)

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Il nostro sito web utilizza i cookie per assicurarti la migliore esperienza di navigazione. Per maggiori informazioni sui cookie e su come controllarne l abilitazione sul browser accedi alla nostra Cookie Policy.

Cookie Policy