LO SPLENDIDO SOGGIORNO

(Carmelo Fucarino)

Così fino a ieri. E domani?

Il 5 novembre 1881 la sirena del vapore Simeto annunzia il suo attracco nel porto di Palermo. Richard Wagner a 68 anni all’apice del successo e della fama sbarca in pompa magna con Cosima Liszt, figlia illegittima di Franz Liszt e Marie d’Agoult, nata in una clinica a Bellagio, sposata in seconde nozze dodici anni prima, dopo averne avuto già tre figli, e dopo il divorzio da Hans von Bülow. È una bella comitiva, una “piccola tribù”,  formata dai tre figli della coppia, Siegfried, Isolde e Eva, due figlie di primo letto di Cosima, Daniela e Blandine von Bülow, della quale, diciannovenne, si innamorò l’aristocratico catanese, Biagio Gravina di Rammacca, che sposerà a Bayreuth nel luglio 1882. Al seguito un codazzo di gente: oltre ad una schiera di collaboratori, due cameriere, domestici e nurse, il precettore di Siegfried e anche il pittore russo Paul de Joukowski, conosciuto attraverso Henri James, responsabile in pectore delle scenografie del Parsifal, ancora in fieri. Prendono alloggio nelle stanze 24, 25 e 26 del Grand Hotel et des Palmes, si dice su consiglio del pianista Joseph Rubinstein. Costruito nel 1856, all’epoca era nuovo di zecca, ristrutturato e inaugurato nel 1877. Era l’antica dimora degli Ingham – Whitaker, industriali inglesi arricchitisi con il falso Porto, il rinomato Marsala. Si trattava di un edificio fuori porta, collegato da un passaggio segreto con la prospiciente chiesa anglicana, due piani su un giardino d’inverno e un giardino esotico con piante tropicali che giungeva fino al mare. Il giardino d’inverno sarebbe scomparso nella ristrutturazione di Ernesto Basile del 1909 (come, pure, le camere di Wagner), per ampliare la hall, anche se egli rimediò con gli intarsi del soffitto del salone del caminetto a immagine di quello di Montecitorio. Benjamin Ingham lo aveva venduto per 20 mila scudi nel 1874 a Enrico Ragusa, entomologo e figlio del proprietario dell’Albergo Trinacria in via Butera. L’Hotel sarebbe stato testimonio di tanta storia, ospiti stellari nella letteratura (Oscar Wilde), nell’arte (Guttuso, De Chirico), nel cinema (Coppola e Al Pacino), nella musica, dai romantici ai surrealisti, ma anche astri della politica (Crispi) e della mafia (il boss Lucky Luciano di Lercara nel 1946 con l’amante Virginia Massa), anche sede del comando dell’Amgot di Poletti e del generale Patton. E gli episodi scandalistici come il mistero del narratore surrealista Raymond Roussel, trovato cadavere la mattina del 14 luglio del 1933 su un materasso poggiato sul pavimento della stanza 224. Leonardo Sciascia non ha mai creduto alla tesi del suicidio, come volle dimostrare trent’anni dopo, negli “Atti relativi alla morte di Raymond Roussel. O il dorato domicilio coatto del barone Giuseppe Di Stefano di Castelvetrano. Ancora Sciascia annotava nel 1971: «La storia di questo albergo è da scrivere come un capitolo di splendore e miseria della Sicilia dai Savoia alla repubblica». Guy de Maupassant (1850-1893) nel suo La Sicile (in La Vie Errante, 1890, trad. Sellerio 1990) percepì tra il ‘nonnulla’ il profumo penetrante di rose che persisteva ancora nell’armadio a specchio di Wagner, lui che «ovunque, manifestò qui un carattere insopportabile, un orgoglio inverosimile, e lasciò il ricordo del più insocievole degli uomini.». Si dice che fosse venuto a Palermo nella fascinazione del celebre Italianische Reise di Goethe (quel celebre, «L’Italia senza la Sicilia, non lascia nello spirito immagine alcuna. È in Sicilia che si trova la chiave di tutto»), ma dovette avere deciso il suo medico, che gli prescrisse come panacea di uso in quei tempi il clima mediterraneo. Con la stessa attesa di rimediare il suo precario stato di salute nell’aprile 1882 l’amico Friedrich Nietzsche sarebbe sceso a Messina. Massimo Fini ritiene che lasciò Genova e affrontò questo suo viaggio peloritano, – “ai confini del mondo” – per incontrare il maestro. E mal ne colse, se per il tema del Parsifal i loro rapporti si interruppero; il filosofo disprezzò l’opera per i riferimenti mistici cristiani uniti a richiami mitologici germanici. Forse se il medico avesse meglio interpretato i sintomi, i dolori addominali e i continui spasmi polmonari, ma di più i problemi cardiaci. non si sa, Wagner sarebbe potuto vivere qualche anno in più. Sarebbe morto per un attacco di cuore il 13 febbraio 1883 alle ore 15,30 a poco più di settanta anni a Palazzo Vendramin-Calergi, oggi il Casinò sul Canal Grande. In quella camera «Cosima si è seduta con il corpo di Wagner per più di 24 ore, rifiutando tutto il rinfresco o la tregua. Durante il processo di imbalsamazione, che occupava i due giorni successivi, Cosima sedeva con il corpo il più spesso possibile, con sgomento dei suoi figli. Chiese anche alle sue figlie di tagliarsi i capelli, che furono poi cuciti in un cuscino e posti sul petto di Wagner». Il medico aveva ritenuto che i dolori al petto, la stanchezza e l’irritabilità si potessero curare con lunghe passeggiate in un clima mite. In effetti il maestro si stupì in confronto alla sua piovosa Bayreuth: «Qui c’è soltanto primavera ed estate!». L’atmosfera dell’Hotel dovette uscirne rivoluzionata: code di carrozze in sosta davanti all’entrata con i vari Lanza, Tasca, Gangi, Florio, Mazzarino, che lo invitavano a concerti nei loro reali saloni affrescati e mettevano addirittura a disposizione le loro regge, prosternati in gara davanti al maestro. Si può immaginare il trambusto in quell’hotel fra nobili affascinati e un uomo tracotante e rissoso e burbero, ma anche depresso, perché stanco e malato, e l’autoritaria consorte adorante. E si rilassò comunque davanti ai luoghi dell’immaginario, a cominciare da quello del loro idolo germanico, la maestosa tomba di Federico II alla Cattedrale. Non minore stupore lo colpì alla visita dei mosaici del Duomo di Monreale, la “splendida impressione” della Cappella Palatina. Così procedeva la composizione del Parsifal, allietata da escursioni sorprendenti per lui, in città (il Giardino inglese, la Zisa, la Favorita, il «bel viaggio fino alla Villa Giulia, deliziandoci in tutta la vegetazione in fiore; R. è contento di una palma, le sue foglie appese cariche di frutta, anche da grandi fiori rossi che gli sembrano farfalle; mare e montagne danno gioia»). E anche la meraviglia dei dintorni: a Monreale con l’impressione per strada di «un piccolo e molto indipendente barboncino» e «Siamo incantati dai chiostri. La valle delle arance è come una favola». Poi a gennaio villa Valguarnera a Bagheria, Solunto. Così scorrevano i ricordi di Cosima nel suo meticoloso Diario. Per quanto riguarda lo stile di vita, il ritmo della giornata era massacrante e scandito da tempi precisi, nonostante gli spasmi al petto. Scriveva Cosima l’agenda stringente: «La mattina si lavora, a mezzogiorno si passeggia, all’una si desina, alle tre si ripasseggia, alle cinque si lavora, alle sette si pranza e dopo si va a letto». Più l’intermezzo di letture, Kant, Goethe, ma anche Shakespeare, e in particolare l’Enrico VI, che adorava. «Il 13 gennaio 1882 l’orchestrazione del Parsifal è completata!». Regolò bacchette e spartiti. L’indomani Auguste Renoir, dopo vari tentativi e rifiuti, lettere di presentazioni e raccomandazioni realizzava «uno schizzo a matita di Wagner, che in seguito utilizzò per la sua famosa pittura ad olio. Alle 12 una seduta per il pittore francese Renoir, che R. sostiene scherzosamente di aver scambiato per Victor Noir. L’artista, appartenente agli impressionisti, che dipingono tutto ciò che è luminoso e in piena luce del sole, diverte R. con la sua eccitazione e le sue numerose smorfie mentre lavora» (Cosima). Altra fu la versione data da Renoir in una lettera del 15 gennaio 1882 ad uno dei suoi amici: «È stato molto allegro, ma molto teso […]. Per farla breve, io ho, credo, impiegato bene il mio tempo, 35 minuti che in fondo non sono un gran che, ma se io mi fossi fermato prima, sarebbe stato meglio. Il mio modello, infatti, stava perdendo un po’ della sua spontaneità e diventava impacciato. Da parte mia, ho raffigurato scrupolosamente questi cambiamenti. […] Alla fine Wagner ha chiesto di vedere il ritratto e, esclamando, ha detto di assomigliare ad un prete protestante, il che è vero. In fin dei conti, ero molto felice di non aver del tutto fallito: conservo un piccolo ricordo di questo straordinario genio».

Pierre Auguste Renoir (1841-1919) Ritratto di Richard Wagner
1882 Olio su tela Cm 53 x 46
Grand Palais (Musée d’Orsay)

Quella vita fra marmi e statue, specchi e velluti durò fino al successivo gennaio. Il proprietario presentò un conto salato tanto che Wagner, quando gli si chiese la sua opinione sui briganti, rispose che egli era stato l’ unico brigante che avesse conosciuto in Sicilia. Perciò il 2 febbraio lasciarono l’Hotel e preferiscono la villa del principe Ganci ai Porrazzi per la migliore gestibilità, pur essendo vicina a quella più sontuosa dei Tasca, nel cui parco Wagner andava a passeggiare. Qui il 20 marzo 1882 scrisse “Tempo di Porazzi”, abbozzo di melodia ed ultima sua composizione, che suonerà il 12 febbraio, il giorno prima di morire, assieme a Il lamento delle vergini da L’oro del Reno. Il manoscritto su un foglio di pentagrammi e la dedica a “Seiner edlen Freundin Grafin d’Almerita Tasca” è gelosamente custodito a Casa Ganci La villa non esiste più, distrutta in modo ingiustificato dalle bombe “alleate”. Ma perché? Pur essendo grato dell’ospitalità il musicista però si arrabbiò perché la villa è fredda, umida e Siegfried si ammala. Poi la partenza. A marzo 1882 con il conte Gravina raggiunsero Acireale. Un incontro a sorpresa che voglio ricordare: «Andiamo a fare un giro per un villaggio costiero, la cui bellezza piace a R. Al ritorno, aspettiamo Garibaldi, che in realtà attraversa intorno alle 8. Uno spettacolo meraviglioso: quasi l’intera popolazione alla stazione, il treno si avvicina lentamente, prima un’increspatura di movimento, come viene annunciato, poi il silenzio; finalmente, quando la carrozza dell’eroe è riconosciuta, grida numerose di benvenuto, belli da sentire, processione cerimoniale dell’uomo malato, che nessuno può vedere, dal momento che deve mentire ancora; i fazzoletti bianchi e i fiori danno ai bambini l’impressione di un funerale, Gravina scoppia in lacrime, fa una profonda impressione su R. e su di me, mentre ci troviamo al balcone; quando la locomotiva, allontanandosi tranquillamente, emette un lungo fischio, mi sembra come il lamento della Terra per i suoi figli più belli. Luci del Bengala e luci lunari illuminano la scena, la gente ronza come un gigantesco nido d’uccello, facendo suoni armoniosi, che piace R. – La nostra conversazione, quando i bambini tornano, è devastata all’eroe invecchiato; R. loda dal profondo del suo cuore e cita il tragico destino che gli ha dato, a sua insaputa, un ruolo da recitare nella commedia di Napoleone III e Palmerston, ma questa volta era per una buona causa». Il 28 marzo ha un severo attacco di cuore. Il 2 aprile 1882 sono a Taormina, alle 8 del 14 aprile a Napoli. Per concludere una nota sul Parsifal.

Habitué delle Palme era una giovane soprano, Tina Scalia, nata esule a Londra e figlia del generale garibaldino Alfonso Scalia, di stanza a Palermo. Abbandonò la lirica, quando sposò il nipote ed erede degli Ingham, Joseph Whitaker, detto Pip, ornitologo e archeologo scopritore della colonia fenicia di Mozia. Tina aveva tutte le doti del salotto, ambizione, cultura, amante della musica. Organizzava concerti e serate musicali, scriveva memorie e saggi storici. Sembra che fosse parte della cerchia dei Wagner e fosse stata la primissima interprete di Kundry, la selvaggia e peccaminosa maga corruttrice di Amfortas redenta da Parsifal, quel grandioso terzo atto del dramma in composizione. Nonostante il privilegio di questa primizia il giudizio di Tina Whitaker fu impietoso: «Il maestro applaudiva fuori tempo prima che lei finisse di cantare e rincarava: «È arrogante e imperioso e la sua totale mancanza di sensibilità verso i sentimenti altrui mi parve particolarmente fastidiosa». Passava al culto della personalità riservatogli da Cosima, alquanto melodrammatico: «Ricordo un giorno quando l’andammo a trovare in albergo, il maestro smise improvvisamente di parlare, come se fosse in trance. Donna Cosima subito ci sussurrò in francese nelle orecchie, ‘Penso che il maestro stia per avere un momento di ispirazione, perciò adesso dovremmo porre termine al nostro incontro’. Ci affrettammo a uscire in punta di piedi, senza nemmeno salutarci. Rachele Varvaro, che vive nel palazzo di fronte all’albergo, spiegò poi cosa succedeva quando veniva l’ispirazione. A seconda del tipo di ispirazione, venivano lanciati sulla testa del maestro veli di diversi colori, in modo che le sue visioni potessero essere colorate da queste sfumature».

 

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