PARSIFAL
(Gabriella Maggio)
In primo piano Tòmas Tòmasson nel ruolo di Amfortas e Alexei Tanovitski in quello di Titurel (ph Teatro Massimo)
Lunghi scroscianti applausi hanno concluso la prima del Parsifal di Richard Wagner il 26 gennaio 2020 all’apertura della nuova stagione del Teatro Massimo di Palermo. Il pubblico palermitano sente il Parsifal più vicino delle altre opere wagneriane per le vicende della composizione dell’opera portata a conclusione il 13 gennaio 1882 proprio nella città. L’opera si ispira liberamente al Parzival, poema del XIII sec. composto da Wolfram von Eschenbach, molto apprezzato da Wagner per l’ affascinante intreccio di tradizioni misteriose, che rimandano ad un’ antichità remota. Dopo una composizione laboriosa durata anni il Parsifal è rappresentato per la prima volta al Festspielhaus di Bayreuth il 26 luglio del 1882, diretto dal maestro Hermann Levi nei primi due atti e nel terzo dallo stesso autore. Per l’aura di sacralità che la pervade l’opera è destinata dall’autore esclusivamente al teatro di Bayreut ; soltanto nel 1914 potrà essere rappresentata negli altri teatri, aprendo così la strada alle diverse interpretazioni. Scrive Wagner in Religione e Arte che solo l’arte può salvare la vera religione : “ là dove la religione diviene artificiosa, sia riservato all’arte di salvarne il nucleo sostanziale, penetrandone i simboli mitici secondo i loro valori simbolici, per riconoscere così attraverso alla loro ideale rappresentazione la reale verità che in essi si nasconde. ….non le religioni stesse sono responsabili della loro decadenza, ma è la decadenza che si è svolta con una tale fatalità naturale da escludere ogni possibilità di opporlesi validamente…..l’ipotesi di una degenerazione umana potrebbe essere tuttavia la sola che, se seriamente considerata, sarebbe in grado di aprirci l’animo ad una ben fondata speranza”. Nell’ambito della produzione artistica di Wagner Parsifal è l’antefatto del Lohengrin, che cronologicamente lo precede nella composizione: il cavaliere del cigno altri non è che il figlio dell’eroe del Graal. Nell’ opera Parsifal è un giovane ignaro di sé e del mondo, che ha abbandonato la madre e vaga nei boschi finchè non giunge sul Monsalvat sede dei cavalieri del Graal. Questi ,dopo un periodo di splendore guidati dal re Titurel , ora sono turbati e disorientati dalla sofferenza incurabile che affligge il nuovo re Amfortas, tormentato dal senso di colpa e da una ferita inguaribile. L’ha colpito il mago Klingsor con la sua stessa lancia, che aveva abbandonato perchè sedotto dalla bellissima Kundry. La lancia è quella con cui Longino ha trafitto il costato di Cristo e la coppa del Graal è quella in cui Giuseppe d’Arimatea raccolse il sangue che sgorgava dal costato. Non comprendendo i cavalieri e la funzione del Graal, Parsifal si allontana. Giunge nel mondo di Klingsor dove regnano tentazioni e ebbrezza, ma Parsifal , resistendo alla tentazione di Kundry, acquista consapevolezza di sé, della sofferenza di Amfortas , della madre morta di dolore per il suo abbandono e ritrova la lancia perduta. Si mette allora in cammino verso Monsalvat per guarire Amfortas con la lancia ritrovata. Ritorna così la serenità nel rito del Graal . L’opera è una sapiente coesione tra musica, parola e temi, in un continuo gioco di riferimenti incrociati e simbolici. La costruzione musicale è una melodia solenne e sofferente, piena di implicite tensioni, variata da pochi motivi. L’orchestra del Teatro Massimo, già addestrata alla musica wagneriana negli anni precedenti, oggi diretta dall’ottimo Omer Meir Wellber, ha eseguito la musica esprimendone tutto il suo semplice nitore. Bravi i cantanti tutti. Interessante e ricca di spunti di riflessione la regia di Graham Vick, già noto al pubblico per la regia de” Il crepuscolo degli dei” del 2016. Il regista ha voluto una scena nuda, che rende visibile il retropalco e costumi legati all’attualità. Un telo bianco percorre tutto il palcoscenico fungendo da separazione degli spazi e da luogo di rappresentazione della colpa commessa da Amfortas e delle azioni violente che connotano il mondo degli uomini. Vick pone l’accento più che sulla redenzione “donata” dal Graal sulla redenzione “ conquistata” con determinazione e responsabilità dall’uomo. I cavalieri del Graal in moderne uniformi di guerra rappresentano un mondo elitario e chiuso, animato da spirito di crociata, ma in precarie condizioni di decadenza. In questa atmosfera, che risente di guerre e di film recenti, appare chiaro il pensiero del regista contrario alle guerre. L’attualizzazione non nuoce all’efficacia e alla coerenza della messa in scena, ma riesce a portare alla luce il tema profondo di quest’opera “d’addio al mondo”; la più estrema delle sue opere, come la definì Thomas Mann. Lo scavo interiore e il disagio di Amfortas e la formazione di Parsifal si svolgono alla luce di una religiosità non confessionale, ma che sta oltre le confessioni, fondata sulla pietà e sulla compassione. Unici sentimenti in grado di cogliere il senso del perenne inevitabile conflitto di decadenza e desiderio di redenzione.