I TEMPI DEL MAESTRO MANZI

(Carmelo Fucarino)

Il maestro Alberto Manzi

Chi se li ricorda, se non pochi, dai sessant’anni in su. Fu il 15 novembre del 1960, quando il Ministero della Pubblica Istruzione di Giacinto Bosco, III Governo Fanfani, Presidente Giovanni Leone, promosse l’iniziativa di un progetto che si chiarisce tutto nel titolo del programma “Non è mai troppo tardi. Corso di istruzione popolare per il recupero dell’adulto analfabeta”, proprio all’inizio dei 13 anni di direzione della RAI di Ettore Bernabei. Alla fine di marzo si era insediato il Governo Tambroni, l’ultimo sussulto della destra reazionaria, che aveva portato ai mesi di furore da Genova e per tutta Italia. A marzo gli USA avevano installato basi missilistiche in Italia, presidente Richard Nixon. Togliatti aveva tenuto a Palermo il Congresso del PCI. Dalla finestra del Collegio San Rocco dove lavoravo l’indimenticabile 8 luglio avevo assistito all’assalto di una gip della famigerata Celere e al suo incendio. Ma, come sempre, fu il popolo a pagare: furono uccisi il sindacalista Francesco Vella e i giovani Giuseppe Malleo e Andrea Gangitano che Vella stava soccorrendo. Rosa La Barbera fu uccisa nella sua abitazione da una pallottola vagante. Il corso, in onda nella fascia preserale, anche per permettere a chi lavorava di potervi assistere durò 484 puntate fino al 10 maggio 1968. Altro anno memorabile per la rivoluzione giovanile. Si disse che si sospendeva per l’aumento di frequenza della scuola dell’obbligo. Era stato preceduto dal progetto pilota di Telescuola, sostitutivo delle scuole secondarie nelle località che ne erano prive, e che durò dal 1959 al 1966 (quattro milioni di ascoltatori, con l’innovazione di Enrico Accatino della storia dell’arte ed educazione all’immagine). Naturalmente il presupposto era che i fruitori avessero una televisione. La volontà di uomini maturi di una promozione sociale poteva essere mezzo di superare gli ostacoli, ma pur sempre era discriminatoria e non egualitaria per le misere condizioni dei tempi e per classi umili. Il programma televisivo era curato anche da Oreste Gasperini e Carlo Piantoni, ma per tutti noi rimase Alberto Manzi che da buon maestro da libro Cuore insegnava agli adulti a leggere e scrivere in quella multimediale lavagna a grandi fogli con i suoi schizzi e i suoi bozzetti. Iniziò quell’era magica della cultura italiana con quello straordinario educatore che fu Bernabei, celebre per la sua pruderie, che copriva le gambe ai tavoli, si irrideva, l’obbligo delle calzemaglie in quegli stupendi spettacoli di intrattenimento. Ma fu lui ad insegnarci la grande letteratura italiana e straniera, dai tragici greci a Shakespeare e Ionesco. Ad aprirci orizzonti immensi, dopo secoli di Savoia e di fascismo. E l’invenzione dello sceneggiato con attori che sono rimasti radicati nell’immaginario collettivo, dai familiari e scolastici Promessi Sposi, al Mulino del Po agli sconvolgenti Fratelli Karamazov, Delitto e castigo, L’idiota. Erano gli anni del dopoguerra e dei primi slanci del boom. Dopo secoli di pulci, cimici, pidocchi e analfabetismo. A cominciare da mio nonno del 1868 giù di lì, proprietario di terre e di una mandria di buoi, che sapeva mettere una croce e convalidare i contratti con la classica stretta di mano. Questa mia nostalgia di tempi magici e di conoscenze che mi formarono, nasce spontanea a proposito della scuola per internet e dall’invasione di programmi televisivi di acculturazione leggera, in una esplosione di cinque canali della sola RAI, per ogni grado e sollazzo. Non si sa quanti dei giovani li seguono, certamente i bambini dell’asilo, anche se colpiti dal trauma della privazione degli amichetti, delle liti furibonde e dei primi dolci amori. La scuola online digitale e virtuale. Grandissimo ritrovato acclamato come soluzione culturale. Con portenti come la rivisitazione dei nostri autori moderni e per tali intendo quelli che furono i compagni dei nostri giorni affamati di letture e di aperture al mondo. So per certo che alcuni insegnanti ne hanno profittato per rispolverare, temo per conoscere questi autori della nostra storia recente. Ho la piena consapevolezza che pochissimi dei giovani li hanno ascoltati impegnati a intessere rapporti online, a creare filmati di tutti i tipi, a giocare con il ditino, come hanno fatto fino a ieri, quando gli insegnanti parlavano al muro, pure in classe dove un’ingenua ministra trentottenne prof di una scuola superiore, ne ha permesso l’uso. Oggi nelle lezioni on line ho sentito cose da codice penale. Ma come si può pensare che un giovane che sotto il controllo diretto della classe, ora sdraiato nel suo letto e in pigiama può fregarsene dell’insegnante che si affanna davanti al piatto schermo del computer? Questa sensazione di vuoto degli insegnanti mi è stata partecipata da docenti universitari da Milano a New York. In una società in cui il contatto fisico, l’abbraccio di tutti con la lisciatina delle spalle, era l’esigenza naturale, ora ci si vede in un’immagine deformata e sfocata, mentre un tale o una tale (povera lei per quello che le mostrano) si affanna su astrusità. Di tutta questa abbuffata televisiva di sicura acculturazione di qualche volenteroso tutto avviene con materiale di risulta, in quella immensa cineteca che possiede la RAI. I programmi di nuova produzione sono insulse scemenze per persone ritardate con reclame di cantanti del tempo dei dinosauri e spettacoli di basso intrattenimento. Pochi esempi per gli anni di produzione. Dopo il Jesus di produzione internazionale da telenovela a puntate di anni lontani di cui ho parlato, due biografie, di altri tempi, datati, datatissimi, uno Il giovane Karl Marx del 2017 di produzione franco-tedesca, regista Raoul Peck, e ieri sera una biografia di Giuseppe Di Vittorio, Pane e libertà, regista Alberto Negrin, reclamizzata come grande novità, del marzo 2009, IV Governo Berlusconi definita miniserie in 2 puntate con uno straordinario Pierfrancesco Favino, nostalgico, elegiaco, forte nel disegno di quella terribile società di miseria e di sopraffazione e di una dolorosa rievocazione della nascita della nuova repubblica, democristiana e americana, tragicamente chiusa con la separazione dei sindacati. Di fronte a questa ondata di scarti di magazzino, il rapporto Piaac-Ocse è molto pesante e fa troppo male. Fra gli insegnanti prevale la senilizzazione- -59% meno 50 anni -, e la femminilizzazione (altro che la pari opportunità abusata fra i governanti che dovrebbero essere scelti non per sesso, – volete che dica gender? – ma per capacità accertate), prodotto della retribuzione più bassa del mondo. A parte la scarsa pratica (78%) con i media prevalente soprattutto fra gli insegnanti l’educazione generale è catastrofica. Partendo dalla scuola, è vero che l’analfabetismo che al 1861 era del 78%, addirittura il 90% in Sicilia, si è azzerato con la scolarizzazione obbligatoria. Tuttavia a ben poco è servita, se tre adulti su quattro, presso a poco il 72%, sono nella fase del cosiddetto analfabetismo funzionale, o più semplicemente analfabetismo di ritorno. L’OCSE così definisce le persone che, «nonostante siano state istruite e sappiano leggere e scrivere, non sono più in grado di usare la lettura, la scrittura e la capacità di calcolo per il proprio sviluppo cognitivo e quello della comunità». Sono cioè persone che non riescono a «comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere con testi scritti per intervenire attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità». Cioè non sono più capaci di leggere e capire la Gazzetta dello sport che crolla in tiratura. Su base mondiale anche a quantità di laureati siamo messi male causa prima i minori incentivi per laurearsi, ma anche per l’esigua spesa pubblica per l’Istruzione, ai minimi mondiali, 3,6% del PIL contro la media del 5%. Su una popolazione in decremento demografico dello 0,4%, con questo trend intorno al 2050 saremo di razza italiana cosiddetta pura e protetta 30 milioni. Ma il vero nostro dramma sono i NEET (acronimo di Not Engaged in Education, Employment or Training), cioè i giovani che non studiano, non lavorano, non praticano alcuna formazione. Secondo i dati OCSE italiani, tra i 20-24 anni sono il 28% dei maschi e il 29% delle donne, di contro alla media Ocse del 14%, del 18% di Germania, ma del 13% di Russia e Australia e stupite, Corea del Nord, dell’11% della Finlandia e degli staterelli nordici. Nonostante il grado d’istruzione sia più alto tra le donne, il tasso di giovani Neet tra i 25 e i 29 anni cresce fino al 37% per le donne e scende al 26% per gli uomini. E ora le lezioni in pigiama, signora ministra, e le promozioni date ai genitori che hanno svolto i loro compiti. Sempre con le inveterate e insopprimibili discriminazioni sociali tra genitori di formazione alta e operai. Anche se dobbiamo dire che l’analfabetismo di ritorno è assai spiccato tra gli alti professionisti che hanno sviluppato di più, quando avviene, gli strumenti professionali, chiudendo con la cultura in quel gaudioso giorno in cui hanno lanciato in strada i libri alla conclusione del colloquio di maturità. Giuro che era di consuetudine allora, quando ancora si studiava sul serio. Mi costa per lunga esperienza e frequentazione che molti insegnanti non leggevano neppure un libro all’anno e che vivevano della routine della loro materia rimasticata per quaranta anni. Senza offesa per nessuno, come disse Cristo, «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra». (Gv. 8,10-11).). Ma mi premeva dire che la tragedia ormai si aggrava, mentre ci manca il maestro Manzi in questo scenario di imbonitori da circo.

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