A PROPOSITO DI COLOMBO

Dal genocidio rimosso  un straordinario appello alla salvezza della terra

Carmelo Fucarino

 

Hieronimus

A centotrentacinque anni della sua resa. «Prima mi spostavo come il vento, adesso mi arrendo e questo è tutto», così concluse Hieronimus, prima di morire nella prigione di Fort Sill in Oklahoma. Qui trascorse gli ultimi anni e qui narrò la vicenda della sua vita ad Asa Daklugie che la tradusse all’ispettore scolastico S.M.Barrett. Si capisce che fu accolta dal Ministero della Guerra con imbarazzo tanto che il presidente Roosevelt fu costretto a concedere il permesso di farla pubblicare e apparve con il titolo Geronimo. Qui cominciò a narrare la sua giovinezza a cominciare dalla nascita nel 1829, figlio di un comune Apache Bedonkohe, Taklishim, a Sorgenti del Gila in Arizona, con il nome di Goyathlay. Furono i Messicani a chiamarlo Hieronimus. In questa fertile regione lavorò la terra con i suoi fratelli e andò a caccia di orsi con arco e frecce e visse felice con la moglie Alope che gli diede tre figli. Il luogo era ancora isolato e di bianchi vide una volta un missionario. A circa a trent’anni nel 1858, mentre prendeva parte a una spedizione in Messico dove i Bedonkohe erano andati per concludere affari con commercianti del confine, i soldati messicani attaccarono il villaggio e trucidarono donne e bambini rimasti indifesi. Fu un segno tragico del destino dei nativi del Suth-West. Si può immaginare il trauma di trovare madre, moglie profanate e trucidate assieme ai tre figli. Qualsiasi essere umano ne sarebbe rimasto per sempre segnato, e ancor più nell’orrore di una strage insensata da parte di esseri venuti da lontano, di uno strano colore della pelle e di barbaro linguaggio, proprio nella terra degli avi. «Nel campo non vi era una sola luce, così mi allontanai, senza essere riconosciuto e andai al fiume. Non so quanto rimasi là, ma quando vidi che i guerrieri si radunavano per il consiglio presi il mio posto». La vendetta sugli invasori fu immediata e feroce e la fama del suo agire portò alla sua acclamazione, anche se giovane, a capo della tribù. Era morto Cochise e le condizioni e i soprusi di Messicani e Americani nelle riserve erano divenuti odierni ed insopportabili. Fu la guerra con soli ottanta guerrieri e una leggenda di imprendibilità, in quelle praterie, immense distese di erba, senza alberi, tra siccità e neve, ma anche di promesse non mantenute e a Fort Sill furono prigionieri di guerra. Nella petizione al presidente Roosevelt al momento del suo insediamento scrisse: «Per vent’anni siamo stati prigionieri di guerra in seguito a un trattato stipulato dal generale Miles per gli Stati Uniti e me come rappresentante degli Apache. Questo trattato non è stato rispettato dal governo anche se, con il tempo, le condizioni erano cambiate…Ora credo che la mia gente sia in grado di vivere rispettando le leggi degli Stati Uniti e vorremmo riavere la libertà di tornare nel paese che ci appartiene per diritto divino.,, Secondo me non esiste una terra e un clima che assomiglia a quello dell’Arizona. Noi potremmo avere abbastanza terra da coltivare, abbastanza erba, abbastanza legna e risorse del sottosuolo se potessimo vivere nel paese che l’Onnipotente ha creato per gli Apache. E nel mio paese, nella mia patria, la terra dei miei padri. Sperava soltanto che il suo popolo potesse continuare a lavorare la terra degli avi, a non essere imprigionato e reso schiavo. E così gli promise Roosevelt, quando si recò a New York. Invece divenne un fenomeno da baraccone a Fort Sill, dove i curiosi andavano a vedere quel terribile eroe, bello e atletico, ora pacifico contadino con moglie malaticcia che si occupava della casa, amoroso verso i suoi figli, in un rapporto epistolare con i fratelli della riserva di San Carlos. Addirittura nel 1903 si convertì al Cristianesimo e fu uno stupore vederlo andare a Messa, vestito alla messicana. Nel 1903 sposò ancora e fu da allora che partecipò ad uno show di caccia al bisonte. Nel 1908 addirittura girò il paese con il suo Pawnee Bill’s Wild West Show. E la leggenda dei bottoni di ottone della giacca che vendeva ad un dollaro come souvenir per riattaccarli la notte. In una capanna vicino all’ospedale di Fort Sill, malato di polmonite per una cavalcata sotto la pioggia morì il 17  febbraio 1909. L’ultima cavalcata prima di morire assieme al suo cavallo ucciso. Nel cimitero apache di Cache Creek la sua tomba fu segnata da una piramide in pietra su cui si pose un’aquila. Uno del milione e duecento mila nativi del XVII secolo, vittime del genocidio fra le duecento cinquanta tribù di allora, oggi circa duecentocinquanta mila.E un popolo, stritolato da due popoli colonizzatori, americani e messicani, un paese cancellato, un non luogo: «Un paese che funzionava bene o male come tutti i paesi e che scomparve ai nostri occhi… perché i loro territori si stavano riempiendo di sconosciuti che spuntavano da tutte le parti» (Álvaro Enrigue, Adesso mi arrendo e questo è tutto, Feltrinelli, Milano, 2021). Proprio in questi giorni Mr Ernie LaPointe ha avuto la certezza scientifica attraverso la tecnica innovativa dell’autosoma e le ricerche dell’appassionato del suo antenato, il genetista danese Eske Willersley del team della Cambridge University che egli è sicuramente il discendente diretto del mitico capo dei Sioux Sitting Bull (1831 – 1890), quello che ci ha affascinato nelle nostre giovanili scorribande nelle praterie del Far West. Ernie a 73 anni a Rapid City, South Dakota, la “città dei presidenti”, lunghe trecce che gli scendono ai lati, è raggiante. Tutto da quel frammento di scalpo conservato allo Smithsonian di Washington. Dalla California al Colorado mr LaPointe ha girato tutti i festival cinematografici, ha dato voce al docufilm sul suo illustre antenato, sempre presente ad onorarne la memoria. Tra curiosità di questo erede di un mito dell’epos americano e self in ricordo. E ne ha motivi di orgoglio per questa eredità dell’uomo che aveva detto dei bianchi invasori e conquistatori: «È strano, ma vogliono arare la terra, e sono malati di avidità. Hanno fatto molte leggi, e queste leggi i ricchi possono infrangerle, ma i poveri no. Nella loro religione i poveri pregano, i ricchi no. Tolgono denaro ai poveri e ai deboli per sostenere i ricchi e i potenti». «La vostra gente stima gli uomini quando sono ricchi: perché hanno molte case, molta terra, molte squaw, non è così? […] Bene, diciamo allora che il mio popolo mi stima perché sono povero. Questa è la differenza! (New York Herald, 16 novembre 1887). «Sette anni fa abbiamo stipulato un trattato con l’uomo bianco. Ci ha promesso che la terra dei bufali sarebbe stata nostra per sempre. Adesso minacciano di prenderci anche quella. Dovremmo cedere, fratelli? O invece dire loro: “Dovrai uccidermi prima di impossessarti del mio paese”». Così dichiarava il celebre Toro Seduto. Forse oggi e domani quando i 20 big del mondo (max corteo di scorta per Biden) si riuniranno a La Nuvola a Roma per il G20 Italy 21 per il SUMMIT OF HEADS OF STATE AND GOVERNMENT, sarebbe da ricordare loro la voce di quel saggio Sitting Bull del 1800: «Ma ascoltate, fratelli. Adesso abbiamo a che fare con un’altra razza. Erano pochi e deboli, quando i nostri padri incontrarono i primi di loro; ora però sono grandi e sono forti e arroganti. È strano, ma vogliono arare la terra, e sono malati di avidità. Hanno fatto molte leggi, e queste leggi i ricchi possono infrangerle e i poveri no. Nella loro religione i poveri pregano e i ricchi no. tolgono denaro ai poveri e ai deboli per sostenere i ricchi e i potenti. Dicono che la nostra Madre, la Terra, è di loro proprietà; e costruiscono recinzioni per allontanare i vicini dalla loro Madre. Insudiciano nostra madre con le loro case e la loro spazzatura. La costringono a generare quando non è il suo tempo. E quando non dà più frutti la riempiono di medicine affinché generi ancora. Ciò che fanno non è sacro (le citazioni da William R. Arrowsmith e Michael Korth, a cura di, La terra è la nostra madre – Discorsi dei capi indiani, traduzione di Francesca Ricci, Newton & Compton Editori, 1997). Discuteranno come da Media Programm di “Global Economy and Global Health” (30 ottobre ore 11,45), Session II: “Climate Change and Environment”, Session III: “Sustainable Development” (31 ottobre 11,05 e 13.50). Per la fine del mondo prossima ventura.

 

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