BRONTE

Francesco Paolo Rivera *

 

             Nino Bixio

Bronte è un Comune compreso tra il Parco dell’Etna e il Parco dei Nebrodi, nelle pendici occidentali dell’Etna, nell’area metropolitana di Catania, famoso sia per la Ducea di Nelson che per la produzione del pistacchio. I suoi abitanti (attualmente poco meno di ventimila) sono considerati indomiti di spirito, il cui carattere è stato sicuramente forgiato dalla lava incandescente e dall’odore acre dello zolfo (1) (2). Per quanto riguarda il pistacchio di Bronte, evidentemente per ragioni territoriali e climatiche in cui sono coltivati gli alberi di “fastuca” (3) è, senza tema di smentita, un prodotto unico al mondo. Secondo la leggenda, la cittadina fu fondata dal Ciclope Bronte, figlio di Nettuno; i primi abitatori, stanziatisi sul Monte Bolo, furono i siculi, poi vi si insediarono i siracusani, i cartaginesi e i romani, nel 1173,  a circa tredici chilometri  dall’abitato su terreno di fondo valle del torrente Saraceno, (territorialmente Comune di Maniace ma amministrativamente Comune di Bronte) venne costruita una abazia benedettina, con annesso castello (o torre difensiva); il Borgo fu fondato nel 1520, sotto Carlo V°. L’abazia poi fu affidata “in commendum” (4) al cardinale Rodrigo Borgia, il futuro Papa Alessandro VI° (5), e alla fine del XV° secolo divenne, unitamente ai suoi vasti terreni, di proprietà dell’Ospedale Grande e Nuovo di Palermo. Nel 1693 un terremoto costrinse i padri basiliani (6) ad abbandonare il convento danneggiato e trasferirsi a Bronte, in un piccolo monastero che continuarono a chiamare “Santa Maria di Maniace”. Il 25 dicembre 1798 Ferdinando III° di Borbone (poi Ferdinando I° Re delle due Sicilie), in conseguenza dei moti rivoluzionari che sfociarono nella Repubblica Partenopea, abbandonò Napoli e si trasferì con la corte a Palermo, scortato dall’Ammiraglio inglese Horatio Nelson (7). L’anno successivo, Nelson, sconfitta nella battaglia di Abukir (1 agosto 1798), la flotta francese, soffocò nel sangue la Repubblica Partenopea, e fatto impiccare (all’albero maestro della fregata Minerva) l’ammiraglio Francesco Caracciolo (eroe della rivoluzione napoletana), restituì il trono al Re di Napoli, il quale concesse all’ammiraglio, per riconoscenza, in perpetuo, l’Abazia di Maniace con tutte le terre annesse (8). Pare che l’Ammiraglio, (fino a quando non venne ucciso, il 21 ottobre 1805, durante la famosa battaglia di Trafalgar) non vi abbia mai messo piedi. In realtà la donazione che il Monarca Borbone fece all’Ammiraglio Nelson, (9) generò una contesa giudiziaria, durata per circa un secolo, motivo di tensioni sociali che accompagneranno i moti rivoluzionari antiborbonici del 1820 e del 1848 e che furono il sanguinoso preludio del tragico episodio dell’agosto 1860. Nel 1860 Giuseppe Garibaldi sbarcò in Sicilia, e malgrado disponesse di forze inferiori a quelle dell’avversario, riuscì a prendere l’isola, salutato dal popolo non soltanto come liberatore ma anche e soprattutto come colui che avrebbe affrontato e risolto, finalmente l’atavico problema della distribuzione delle terre. Egli, che a Salemi aveva assunto, in nome del Re Vittorio Emanuele II°, i poteri dittatoriali, in un messaggio del 2 giugno 1860, che aveva entusiasmato il popolo siciliano, promise la divisione delle terre ai contadini (10). A Bronte, l’avvocato Nicolò Lombardo, in un infuocato discorso, reiterò ai suoi concittadini il contenuto del messaggio di Garibaldi, l’argomento “agognata divisione delle terre” accese, subito, gli animi dei contadini, i quali – stanchi degli atavici soprusi – dalle parole passarono ai fatti, e al grido di “viva l’Italia”, saccheggiarono uffici e abitazioni e, per tre giorni, uccisero o diedero alle fiamme tutti coloro che si opponevano all’occupazione delle terre. Carlo Levi scrisse: “Agli occhi dei contadini di Bronte, la conquista garibaldina non poteva avere che un senso il possesso delle terre e, in nome di Garibaldi, si misero a trucidare i signori.”  La drammatica descrizione di questa rivolta popolare raggiunse le orecchie di Garibaldi, che era impegnato nell’organizzazione dello sbarco in Calabria. Il Dittatore, (il quale era a perfetta conoscenza del fatto che gli inglesi avevano finanziato l’impresa garibaldina), inviò subito Nino Bixio, il più fidato dei suoi generali, a Bronte, col compito di reprimere la rivolta. Il gen Bixio, arrivato il 6 agosto in città, sottopose la popolazione alla legge marziale, fece sequestrare tutte le armi in mano ai rivoltosi, fece arrestare, tra coloro ritenuti responsabili della sommossa, una ottantina di persone, tra cui l’avv. Lombardo, che fece subito giudicare da una Corte marziale. Vennero condannati a morte, vittime di una sommaria giustizia, oltre all’avv. Lombardo, la cui unica colpa era quella di essersi adoperato per il mantenimento dell’ordine pubblico, i “villici” Nunzio Longhitano Longi, Nunzio Spitalieri Nunno, Nunzio Samperi Spiridione e Nunzio Ciraldo Fraiunco (quest’ultimo completamente infermo di mente, definito “lo scemo del paese”), e il 10 agosto 1860, in presenza della popolazione, nella piazzetta antistante la Chiesa di S. Vito, vennero fucilati. L’avv. Lombardo, il giorno prima, aveva sposato, in articulo mortis, la servetta Maria Schilirò vedova Calanna (forse sua amante, ma sicuramente per trasmetterle quella parte di eredità che le nozze le avrebbero assicurato). Lo “scemo del paese” risparmiato dalla scarica della fucileria, gridando “Grazia! Grazia!”, fu finito dal comandante del plotone di esecuzione con un colpo di pistola … “stava Bixio, con gli occhi vitrei, a cavallo, come l’angelo della vendetta” … i corpi dei giustiziati immersi nel loro sangue furono lasciati, fino a sera, esposti al pubblico: spettacolo miserando e ammonitore. (Benedetto Radice).” Tutto tornava come prima, la tragedia di Bronte si era chiusa e non era servita a niente: Nino Bixio restò per tutta la vita, con i morti sulla coscienza …era stata scritta la pagina più nera della conquista garibaldina della Sicilia, la peggiore della spedizione dei Mille! Triste missione per noi venuti a combattere per la libertà! La Ducea di Bronte, malgrado la liberazione garibaldina, e l’unificazione italiana del 1861 restò ancora in mano agli eredi dell’ammiraglio Nelson, nel 1891, nel cortile interno del Castello fu innalzata la “croce celtica” (11) in onore dell’ammiraglio Nelson “Heroi immortali Nili” (all’eroe immortale del Nilo”;  dal 1940 al 1944, a seguito del conflitto  contro l’Inghilterra l’intero complesso fu sequestrato dallo Stato italiano  e le terre affidate ai contadini del circondario; nel 1943 il Castello ospitò il Maresciallo Kesserling; nel 1944 alla fine delle ostilità gli eredi Nelson  fecero revocare il sequestro e tornarono a riprendere il possesso dell’intero complesso immobiliare (12), fino  a quando le terre agricole per effetto della riforma agraria, nel 1963 furono assegnate ai contadini e il Comune di Bronte, che già a seguito della costituzione del 1812 avevano ottenuto l’emancipazione dal vassallaggio ducale, ottenne la reintegra di quasi tutti i suoi beni. E il 4 settembre 1981, l’ultimo erede dell’ammiraglio Nelson, il duca Alexander Nelson Hood visconte di Bredport, vendette il complesso architettonico (oggi Museo Nelson), l’antica abazia, la Chiesa e l’annesso Parco (con museo di sculture all’aperto) al Comune di Bronte.   Ancora oggi (dopo 160 anni) non sono molto chiari i motivi che indussero Garibaldi a intervenire nei “fatti di Bronte del 1860”. Intanto non si comprende perché Garibaldi non sia andato a Bronte, di persona, a calmare gli animi della popolazione, ma diede incarico a Nino Bixio, e se si trattò di un incarico generico di sedare la rivolta popolare o gli ordinò specificamente di reprimerla nel sangue. Effettivamente il Generale era impegnato a programmare il trasferimento delle truppe garibaldine al di là dello Stretto, tuttavia distaccò una intera brigata al comando dell’ufficiale più preparato del corpo di spedizione (era stato promosso al grado di generale qualche giorno prima) Nino Bixio (che poi lo raggiunse sulle coste calabre), il quale, giunto il 6 agosto a Bronte, accolto dalla popolazione entusiasta, sottopose la cittadina alla legge marziale (in uso nell’esercito borbonico), con tanto di coprifuoco, perquisizioni, sequestro delle armi, arresto di circa 80 persone ritenute responsabili della rivolta. E’ vero che i brontesi hanno sempre avuto la nomea di essere violenti e bellicosi, che la rivolta sicuramente c’era stata, ma come le altre due del 1820 e del 1848 erano state contro il governo borbonico, nate per il riconoscimento dei propri diritti e per reagire ai soprusi subiti, e sicuramente per affrontare l’atavico problema della distribuzione delle terre. Sicuramente se fosse intervenuto personalmente il Dittatore il suo carisma e il suo saper fare avrebbe calmato gli animi dei brontesi, coloro che avevano commesso dei reati sarebbero stati arrestati e sottoposti al giudizio delle autorità giudiziaria locale. L’esercito  garibaldino aveva invaso la Sicilia non come esercito di occupazione ma come esercito di liberazione e sicuramente allo scopo di liberare quelle popolazioni dal dominio borbonico; invece l’intervento armato di Bixio servì soltanto, con la fucilazione, dopo un sommario processo, dei cinque presunti imputati (due dei quali, l’avv. Lombardo e il demente, sicuramente innocenti), per reprimere la popolazione, che era sicuramente favorevole a quanto espresso dal Dittatore nel suo proclama. L’altra faccia della spedizione dei Mille … ma la storia non ci ha trasmesso episodi analoghi …! Secondo alcuni cronisti l’eccidio di Bronte non fu solo colpa ascrivibile a Bixio, e tanto meno agli inglesi (non dimentichiamo che l’impresa dei Mille fu economicamente supportata dal governo britannico) ai quali, per molto tempo, si ritenne che avessero esercitato enormi pressioni su Garibaldi per reprimere in fretta la rivolta che avrebbe potuto ledere i propri interessi in Sicilia. Sicuramente il mancato intervento personale di Garibaldi sarà stato determinato da pressioni esterne che egli avrà dovuto accettare obtorto collo. Secondo quanto asserito dalla storica Lucy Riall (13), fu un chiaro segno dei conflitti sociali esistenti nella Sicilia rurale e la successiva repressione fu un segnale di allarme riguardo alle difficoltà incontrate nel processo di unificazione nazionale dopo la caduta dei Borboni.

*Lions Club Milano Galleria-distretto 108Ib-4

Note:

  • 1)Carlo Levi, scrittore, pittore, politico (1902-1975) nel suo “Le parole sono pietre” lo descrive “Questo borgo, irrorato come pochi altri, dalle preziose acque di tre affluenti del Simeto, che nella notte dei tempi, occhieggia all’Etna, fonte di ricchezza ma anche di indicibili disgrazie, ha sempre nel suo DNA lo stigma della ribellione, un seme che in vari momenti della sua travagliata storia ha rapidamente germogliato diffondendosi a macchia d’olio.
  • 2)Definiti, proprio dagli inglesi (addirittura quelli dell’entourage della “ducea Nelson”) – fin dall’antichità – “gente violenta e bellicosa” e anche “le persone più infami dell’intera Sicilia”;
  • 3)Il pistacchio proviene dal Medio Oriente (veniva coltivato nell’antichità in Siria e particolarmente in Persia), e il nome originario era in arabo “fustuq” da cui derivò il nome di “fastuca” nella lingua siciliana (e l’albero “frastucara”). Si conosceva fin dall’epoca della Grecia antica (ne accennava nel “Dipnosofisti” l’autore Ateneo di Naucrati vissuto tra il 179 e il 223 d.c.). La zona di produzione – molto limitata (circa 2.600 ettari) – di questo tipo di pistacchio (denominato “oro verde”) è alle pendici dell’Etna su terreno roccioso lavico, si coltiva a una altitudine compresa tra i 300 e i 900 metri, è di forma leggermente concava, con le estremità rivolte verso l’alto, all’interno di forma allungata e ricoperto da una sottile membrana di colore violaceo che dà al verde. Si raccoglie a mano, ad anni alterni, e si essicca al sole su grandi teli, fino a perdere il guscio e la pellicola interna.
  • 4)Le abbazie vacanti o che non avevano un abate venivano affidate ad un “abate commendatario”, che poteva anche essere un laico, il quale amministrava economicamente la struttura ma non esercitava alcuna autorità sulla disciplina monastica interna che veniva svolta dall’abate “claustrale”. Tale tipo di amministrazione portò (come proprio nel caso del monastero di Bronte) alla rovina materiale e spirituale moltissimi monasteri tanto che nel 1122 la nomina di laici ad abati commendatari venne abolita;
  • 5)Definito “di nefanda e infausta memoria … mai la tiara si posò su un indegno Vicario di Cristo”;
  • 6)In conseguenza dell’editto dell’Imperatore bizantino Leone III°, che per mettere fine al commercio delle immagini e delle icone sacre, ne aveva ordinato la distruzione, molti religiosi fuggirono e si rifugiarono nel Salento, ove San Basilio aveva compilato la “Regola” (una specie di codice regolatore della vita monastica), che prevedeva tra l’altro, la sostituzione della vita solitaria dell’eremo con la vita comune dei religiosi nei cenobi (la convivenza collettiva dei monaci, non più in luoghi solitari ma in luoghi ove si svolgeva la vita delle comunità civili);
  • 7)Prima di fuggire, su suggerimento dell’amm. Nelson fece distruggere la maggior parte delle navi borboniche del Porto di Napoli, ufficialmente per evitare che cadessero nelle mani dei rivoluzionari napoletani, presumibilmente perché la flotta borbonica (sia quella commerciale che quella da guerra) era la più moderna del bacino del Mediterraneo, soprattutto più moderna di quella inglese, (il che dava molto fastidio);
  • 8)In realtà, (presumibilmente per la esistenza di fatto di una specie di tariffario per questo tipo di servigio) il Re propose all’Ammiraglio, in alternativa al feudo di Bronte, le cui rendite erano di circa 5.500 onze, i feudi di Bisacquino o di Partinico, le cui rendite erano di circa 8.000 onze per ciascuno. Tuttavia, ove l’ammiraglio avesse scelto Bronte, avrebbe aggiunto il titolo feudale di Duca … che, come scrisse il Re stesso “…in Inghilterra suona meglio che gli altri”. Avendo Nelson, scelto Bronte, questa venne elevata a “ducea” che nei territori dei regni di Napoli e di Sicilia era la denominazione data a una circoscrizione amministrativa governata da un comandante militare (dux) investito del potere politico da parte dell’autorità superiore. Gli concesse, anche la facoltà di trasmettere la Ducea, a suo piacimento, non solo a qualsiasi dei suoi parenti ma pure ad estranei. Si presume che l’ammiraglio abbia optato per il feudo di Bronte perché quel sito aveva il nome di un mitologico Ciclope, che aveva un solo occhio come l’Ammiraglio (che andava fiero della sua menomazione);
  • 9)Lo storico Benedetto Radice (1854-1931) scrisse: “innalzando la terra a Ducea si abbassarono i cittadini a vassalli … come il cane a cui il padrone mette al collo una bella catena di argento o di oro!” … “due sono i più grandi mali che affliggono Bronte, l’Etna e la Ducea!”;
  • 10)“… i vostri campi non saranno più calpestati dal mercenario … io vi seguirò col cuore …. per narrare delle vostre vittorie e per debellare nuovi nemici della Patria, voi avrete stretto le mani di un fratello.”;
  • 11)Sovrapposizione di un cerchio vuoto su una croce latina. La croce celtica della ducea di Bronte fu costruita in pietra lavica su disegno del duca Alexander Nelson Hood visconte di Bredport sulle linee della “Croce Iona”, che è la Croce di San Giovanni dell’VIII° secolo eretta di fronte all’Abazia (delle Benedettine del 1203) dell’isola di Iona, isolotto dell’Arcipelago delle Ebridi in Scozia (denominato in gaelico Chalulm Chille), luogo di Sepoltura dei primi Re di Scozia.
  • 12)Gli eredi Nelson fecero demolire il borgo contadino, costruito durante il periodo in cui la ducea era stata sequestrata dallo Stato italiano, denominato “Borgo Caracciolo”. La demolizione sicuramente venne effettuata in quanto l’Ammiraglio Francesco Caracciolo, avversario dell’ammiraglio Nelson era stato fatto impiccare proprio per ordine di quest’ultimo, pare per espressa richiesta di Lady Emma Hamilton, amante di Nelson e amica intima della Regina Maria Carolina;
  • 13)irlandese (1962) docente di storia alla Birckbeck dell’Università di Londra.

 

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