CHIESA DI SANTA MARIA DELL’ITRIA DEI COCCHIERI

Francesco Paolo Rivera *

Nel vecchio centro storico di Palermo, nel mandamento della Kalsa o Tribunali, e precisamente nella “Ruga Magistra” (l’attuale via Alloro (1) esiste una piccola chiesa denominata “Santa Maria dell’Itria” (2) o più semplicemente “Chiesa dei Cocchieri” edificata per volontà e a spese della corporazione dei Cocchieri (3). I cocchieri, riuniti in corporazione di mestiere, fondarono la “Compagnia di S. Riccardo”, che trasformarono, con atto del 22 settembre 1596 per Notaio Vincenzo Donato in “Confraternita di Santa Maria dell’Itria dei Cocchieri” con la finalità di perseguire la pratica delle virtù cristiane, di promuovere il culto di Maria SS. Addolorata e del Cristo morto, per perseguire l’auto assistenza dei confratelli e per alleviare le sofferenze della povera gente mediante l’intervento nei confronti degli ammalati e dei bisognosi. I fondatori si autotassarono dell’enorme (per quell’epoca) somma di dodici once di Sicilia ciascuno, ed iniziarono l’edificazione della chiesetta su una preesistente cripta della Confraternita dei Carrettieri, che venne ultimata – come si evince dal piccolo cartiglio in marmo, posto sul portale di ingresso, – nel “Febrarj 1611”. La chiesetta è elegante nella sua semplicità, non presenta fastose decorazioni anche perché, malgrado sia stata edificata nel pieno centro della vecchia città, accanto ad edifici di altissimo pregio, abitati – a quell’epoca – dalle migliori famiglie cittadine, i suoi committenti non disponevano di grandi risorse economiche; e d’altro canto la confraternita, come la quasi totalità delle analoghe istituzioni oltre allo svolgimento della propria attività lavorativa (corporazione di mestiere), svolgevano attività assistenziale verso i meno abbienti, ma soprattutto si associavano al fine di predisporre il sito ove avrebbero riposato alla fine della loro vita terrena. L’iconografia è costituita dalla figura della Madonna con in braccio il Bambin Gesù, benedicente con in mano una pergamena arrotolata indicata dalla Madonna con la mano destra, da qui la denominazione “Odigitria” che, in greco-bizantino antico pare volesse significare “Colei che conduce, mostrando la direzione”. Secondo l’agiografia si tratterebbe di una icona mariana, dipinta dall’evangelista Luca che Aelia Eudocia (401-460 d.C.), moglie dell’Imperatore bizantino Teodosio II° avrebbe ritrovato in Terra Santa e fatto traslare a Bisanzio. Pare che la statua della Madonna sia stata recuperata in mare, dopo un naufragio, dai monaci di San Calogero, giunti dalla Sardegna. All’interno della chiesa, due manufatti lignei (di autori ignoti) uno raffigurante San Riccardo, (protettore dei cocchieri), e l’altro un crocefisso di straordinaria bellezza, per l’espressione del dolore nel volto del Cristo, entrambi in attesa di restauro. All’interno un arco di trionfo, sormontato da una composizione in stucco raffigurante due angioletti e un grande cartiglio nel quale è inciso “Gloria in excelsis Deo” (l’antico inno della liturgia cristiana: dossologia maggiore). Sul fondo nella volta sono raffigurati il SS. Sacramento e simboli della Passione; al centro l’altare seicentesco in marmi colorati, e dentro una nicchia, una magnifica statua lignea dell’Addolorata del maestro Vincenzo Piscitello del 1898. L’autentico gioiello di questa chiesa è la “Cripta sepolcrale” posta al di sotto della chiesa, costituita da un ampio locale con i resti di novanta loculi destinati a ospitare, in posizione supina, i corpi essiccati dei confratelli deceduti (4). Al di sotto di tale locale esiste il “locale dei colatoi” detto anche “colatoio dei morti” o “putridarium” o “camera di mummificazione”, in cui i cadaveri dei confratelli venivano collocati entro nicchie lungo le pareti seduti su appositi sedili (che, grosso modo, rassomigliavano all’attuale vaso sanitario – “water closet”) con ampio foro centrale e un vaso sottostante per il deflusso e la raccolta dei liquidi cadaverici e dei resti in via di decomposizione (pare che a Napoli fossero chiamati “cantarelle”). Terminato il processo di decomposizione (che durava spesso più di un anno), i resti venivano raccolti, lavati e trasferiti nel loculo. (5) .  Questo locale può essere considerato una vera e propria chiesa dato che si utilizzava per le funzioni religiose, vi si celebravano le messe per i defunti, ed era adibito a sepoltura, in quanto una delle funzioni primarie era quella di dare degna sepoltura ai confratelli defunti che ne avevano diritto. Dopo il XVIII° secolo, quando ne venne proibito l’utilizzo per gli scopi originari, venne abbandonato e soltanto nel 1980 è stato riscoperto dagli attuali confratelli, che pare ne stiano riprendendo i restauri. Anche dalla cripta dei cocchieri, secondo la tradizione, pare che partissero dei camminamenti segreti che congiungevano la chiesa con altre chiese o palazzi della città e che (pare) venissero usati dai “Beati Paoli”: dei quali, come per gli altri analoghi casi, non esiste nessuna conferma da fonti storiche. Ritornando all’argomento “cripta sepolcrale” sopra accennato, e particolarmente al processo di decomposizione che si effettuava nel “putridarium” o “colatoio dei morti”, cioè in quell’ambiente funerario “provvisorio” in cui venivano collocati i cadaveri dei defunti in attesa che il tempo procedesse al disfacimento del corpo (elemento contaminante) e alla completa liberazione delle ossa (simbolo della purezza) che rappresentava i vari stadi della dolorosa “purificazione” affrontata dall’anima del defunto nel suo viaggio verso l’eternità, si ricollega – sotto certi aspetti – all’antica credenza della “doppia morte” e alla pratica della “doppia sepoltura”, che secondo illustri cronisti del passato si diffuse principalmente in Campania, Calabria e Sicilia, riportano alla mente la visione di alcuni modi di intendere la morte che vanno ben oltre i confini del sud Italia. Lo scrittore scozzese (dell’età vittoriana) Robert Louis Stevensen (1850-1894) annotò che per gli abitanti delle Isole Paumotu (Polinesia francese) il periodo di lutto durante il quale il cadavere rappresentava un pericolo, coincideva col periodo di decomposizione del cadavere; in pratica la putrefazione della carne segnava la fine delle “minacce” legate allo stato cadaverico.  Un gruppo di lavoro del quale fecero parte i sociologi, antropologi e storici delle religioni Robert Hertz, Emile Durkheim, Marcel Mauss (6), si impegnarono nella ricerca di una legge generale della società (la così detta “teoria generale delle pratiche funerarie”) … “come la società dei viventi poteva liberarsi dal peso dei morti”.  Questo fu il contributo a uno studio sulla rappresentazione collettiva della morte: “per la coscienza collettiva la morte è … una esclusione temporanea dell’individuo dalla comunione umana, che gli permette di passare dalla società visibile dei vivi a quella invisibile degli avi. Il lutto consiste all’origine nella partecipazione dei familiari allo stato mortuario del loro parente … solo quando esso è compiuto la società può trionfare sulla morte, … in pratica, secondo questa teoria, la morte deve intendersi come transizione che ha inizio prima della cessazione delle funzioni vitali e segue a questo evento.Nel concetto cattolico di Purgatorio, Hertz aveva individuato uno stadio dell’elaborazione della doppia sepoltura “l’idea del Purgatorio non è altro che la preparazione che precede la liberazione finale. Le sofferenze dell’anima appaiono, prima. quali conseguenza dello stadio transitorio in cui si trova, e successivamente come il proseguimento dell’espiazione dei peccati commessi durante l’esistenza terrena. L’idea di un sito di purificazione tra cielo e terra, in cui si scontano i peccati grazie ai suffragi dei vivi, offre garanzie di reciprocità. Questo modo di pensare aveva ingenerato l’abitudine del doppio funerale e della doppia sepoltura. Dopo la riesumazione la bara veniva riaperta per controllare se le ossa si erano essiccate completamente, in questa ipotesi lo scheletro ripulito e disinfettato è divenuto un oggetto sacro, simbolo di purezza e di durata, e quindi può essere avviato nella sepoltura definitiva.  In sostanza prima della sepoltura definitiva vi è la fase più delicata e pericolosa del viaggio, l’anima deve scontare il Purgatorio e rimanere vicina ai vivi per i suffragi che riceve e per la intercessione con cui li ricambia: per queste ragioni le anime purganti sono un referente sacro contiguo ai vivi e oggetto di enorme devozione: purificatasi l’anima continua la sua ascensione attenuando il mutuo scambio che la legava ai superstiti. E visto il riferimento, di cui sopra, a Marcel Mauss, le cui opere scientifiche vennero definite come quelle di colui che ha buttato le basi di quella collaborazione tra sociologia, etnologia e antropologia in uno dei tempi più fecondi nell’analisi delle società umane, le sue opere “Saggi di una teoria generale della magia” e “Saggio sul dono” sono considerati delle vere monografie sociologiche di primissimo piano. L’effetto fisico dell’idea di morte suggerito dalla collettività è un argomento entrato di recente nella medicina psicosomatica. Altro tipo di rapporti reali e pratici, in cui egli mette in luce la subordinazione del fattore psicologico a quello sociologico è contenuto nel saggio “Rapporti reali e pratici tra la psicologia e la sociologia” con il quale pensava di stabilire un altro tipo di solidarietà, che costituisce l’argomento principale del saggio “Rapporti reali e pratici tra psicologia e sociologia.”

* Lions Club Milano Galleria distretto 108 Ib-4

Note:

1) perché si chiama via Alloro? Anticamente in questa via, e precisamente nella casa della famiglia Bellacera (poi palazzo San Gabriele) era impiantato un albero di Alloro di notevoli proporzioni, che fu abbattuto (come riferisce il m.se di Villabianca) il 4 dicembre (giorno di S. Barbara) del 1704);

2)dedicata alla Vergine Odigitria, o Teotocokos Odigitria o Panaghia Odigitria, ove “Itria” è una corru- zione di “Odigitria” secondo l’iconografia cristiana diffusa nell’arte bizantina e russa del periodo medievale;

3)tale confraternita fu una delle tante associazioni laicali, nate nella seconda metà del XVI° secolo (all’indomani del Concilio Tridentino) per sopperire all’insufficiente iniziativa della Chiesa nel coinvolgere il popolo e contrastare le dottrine e la propaganda protestante. I cocchieri erano coloro che guidavano, in livrea, le carrozze dei signori: a quell’epoca pare che non esistessero ancora le carrozze a noleggio da piazza, esistevano soltanto le diligenze che trasportavano dietro compenso i viaggiatori;

4)oggi non più in uso, infatti con ordinanza del vicerè Domenico Caracciolo del 1783, che aveva anticipato di 21 anni l’editto napoleonico di Saint Cloud (che vietava il seppellimento dei cadaveri entro le mura cittadine) si cominciarono a seppellire i defunti nei cimiteri; mentre anteriormente il cadavere veniva fatto essiccare (in appositi colatoi) e quindi venivano tumulati nei siti all’uopo predisposti (chiese, o altri luoghi sacri), in posizione supina per facilitarne il riconoscimento ai visitatori.5)questo sistema, sotto certi aspetti, veniva ricollegato all’antica credenza della “doppia morte” e alla pratica della “doppia sepoltura” in uso nei territori del Regno delle Due Sicilie”, che sicuramente contribuirono ad allargare la visione di alcuni modi di intendere la morte, che derivano da una indagine che va oltre i confini del sud Italia.

5)Hertz (1882-1915), Durkheim (1848-1917), Mauss (1872-1950) hanno intravisto il netto rapporto tra la Religione e la Struttura Sociale, e unitamente ad altri sociologi e storici delle Religioni fondarono nel 1898 “L’Annèe sociologique”; Manuel Mauss è anche autore di un “Saggio sul Dono” considerato un classico dell’economia del dono “Lo scambio di beni anche se di un valore intrinseco non fondamentale è uno dei modi per creare relazioni umane o ponti con il divino”.

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