TEATRI PALERMITANI

Francesco Paolo Rivera *

Nel 1692 la corporazione “Unione dei Musici”, procedette alla trasformazione in teatro di una struttura acquistata in zona della Fiera Vecchia (piazza Rivoluzione) in Palermo (1): è il primo teatro “all’italiana” (2) nato in Sicilia. Nacque così (sotto gli auspici del Vicerè Uzeda) il Real Teatro Santa Cecilia, nel quale, l’anno successivo, venne messa in scena la prima opera “L’innocenza penitente” o “S. Rosalia” del poeta palermitano Vincenzo Giattini (1630-1697) musicata da Ignazio Pulicò. Il motivo “storico politico” per il quale venivano costruiti i teatri è sicuramente quello di creare luoghi di riunione ove “tenere calme” le popolazioni, “tenere lontano” il popolo dalle rivolte, dal malcontento, dalla violenza, e, secondo alcuni autori, per questo il motivo, nei territori amministrati dalla Chiesa, la maggior parte dei teatri portavano il nome di Santi, o erano ubicati nelle immediate vicinanza di chiese, conventi o altre strutture legate alla Chiesa. Infatti, i teatri, nel settecento a Palermo, oltre al S. Cecilia, erano il Santa Caterina (vicino all’omonimo monastero) e il Santa Lucia (addossato a quello che fu il palazzo dei m.si di S. Lucia Valguarnera). Il principe Domenico Caracciolo (3) convinse il Senato a costruire, di sana pianta, un nuovo teatro. Fu scelto il sito (Porta Maqueda), furono predisposti i progetti, si deliberò che le somme occorrenti fossero prelevate dai fondi amministrati dalla Deputazione per le Strade di Sicilia (4), ma il Senato non ritenne opportuno intraprendere un’opera non ritenuta necessaria. Nel Teatro di S. Cecilia, ove l’aristocrazia palermitana (m.sa di Recalmici, La Grua Talamanca, p.ssa del Cassaro …) manteneva i propri palchi sontuosamente addobbati, venivano rappresentate prevalentemente opere musicali eroiche, opere comiche e filodrammatiche, commedie musicali di Domenico Cimarosa, drammi di Giovanni Paisiello, tragedie di Vittorio Alfieri insomma opere dei più rinomati compositori del tempo, e si esibirono rinomati cantanti italiani e stranieri. Il Re Ferdinando, un bel giorno si accorse (… o gli venne suggerito) che questi teatri non dovevano esser lasciati liberi di rappresentare quello che piacesse ai loro “padroni”, e con un dispaccio li sottopose a censura, onde evitare che si rappresentassero spettacoli contro la morale, contro la religione, ma soprattutto contro il Governo.   Nel 1797, oltre agli spettacoli, nel teatro si organizzavano pure trattenimenti e manifestazioni carnevaleschi, e, … finito Carnevale e sopraggiunta la Quaresima … … non sarebbe stato bello eseguire “opere sacre?” … L’idea, sottoposta all’autorità politica ed ecclesiastica, fu accolta benevolmente anche dall’Arcivescovo Lopez … sotto condizione che le rappresentazioni fossero strettamente opere sacre, che il teatro dovesse chiamarsi oratorio, che l’indomani della rappresentazione lo spettatore andasse a messa … l’esercizio di un atto religioso serviva di passaporto a uno spettacolo mondano …! …. E visto che l’idea era stata accolta, gli impresari (5) convertito il teatro in oratorio, con la benedizione del clero secolare fecero un sacco di soldi. Ma … se in teatro (convertito in luogo sacro) si va per assistere ad opere sacre, perché non si può assistere anche ad opere profane …? … furono, subito, messe in scena, opere musicali per preti e monaci regolari … (l’azione sacra di Pietro Alessandro Guglielmi) … poi, a Quaresima finita … venne presentata “Il Trionfo di Diana”, con costumi talmente scollacciati da fare inorridire la nobiltà e mandare in carcere l’impresario … “cosa vergognosa, quasi sacrilega, spiegabile solo con la mutazione dei tempi” fu il commento del m.se di Villabianca! Nell’estate successiva fu messa in scena “la morte di Cleopatra” (nella quale sul palcoscenico appariva un carro tirato da quattro cavalli) e altre esecuzioni. Anche il teatro Santa Lucia programmò parecchie opere comiche e tragiche, vi si esibirono attori di prestigio e riscosse grande successo la cantante piemontese Anna Davì o Davya (sicuramente brava, ma un po’ avanti con gli anni), … e il Meli le dedicò una “odicina” dal titolo “Li Grazj”: “Sai, bella Veneri, / Sai tu pirchì / li Grazj currinu / alla Davi / pri fai vidiri / chi a idda sta / rendiri amabili / qualunque età;/ e chi tu propria / tu stissa tu / s’iddi ti lassanu / nun canti cchiù.”   Molte le rappresentazioni, per la maggior parte opere di autori non siciliani; a Palermo facevano capo le opere di Pergolesi, di Scarlatti, di Paisiello, di Cimarosa, di Guglielmi. Spesso, però, la calma delle rappresentazioni veniva turbata dai fan di questa o di quella attrice, e spesso si rese necessario l’intervento del Capitano di Giustizia, per interrompere le rappresentazioni e per calmare gli animi dei facinorosi. Qualche volta, si rese necessario far circondare il teatro dagli sbirri e dalla truppa, e qualche volta si dovette mandare in carcere qualche spazientito spettatore. Le cronache ricordano le beghe tra gli ammiratori delle due “prime donne” la Cecilia Bolognesi e la Andreozzi (6) venute a Palermo per la rappresentazione, al Santa Cecilia, della Vergine del Sole di Domenico Cimarosa. Questi i versi di un sonetto, dedicato a quest’ultima, dal benedettino cassinese Padre Bernardo Rossi (che si nascondeva sotto l’anagramma di Luigi Dorisse): “ecco già canta: uditela / oh come alterna il fiato / seguito dalle Grazie / a rapir l’alme usato! / L’alata voce ed agile / in mille giri ondeggia, / ora con volo rapido / quale usignol gorgheggia; / ora di luce eterea / cinta dall’alto scende, / e con bell’arte insolita / i cuor di gioia accende. /” Ogni nuova compagnia di prosa o di musica che giungeva a Palermo suscitava sempre nuovi ardori nei giovani e anche nei meno giovani. Il Meli, osservando questi … ganzerini (come li denominava il poeta) che, alla Marina, si davano da fare con le belle artiste, esclamò in versi: “Beati primi … / ch’annu ddu brazzu! / cu quali sfrazzu! / si purtirà!” … e ancora “Tutta la so limosina / pri li cumidianti, / pirchì su boni e santi / né sannu diri no.”/ Tra i meno giovani si ricordano uomini altolocati, seri e di grande nome che non furono esenti da queste “debolezze”. La cantante Marina Balducci godeva della protezione del Vicerè Caracciolo, che la conobbe a Parigi, durante il suo soggiorno da rappresentante diplomatico del Regno di Napoli. La bellissima cantante Miller si intratteneva spesso e volentieri con l’ambasciatore russo, alla corte di Napoli in Palermo, Puskin (marito della c.ssa de Bruce). Il nobile Diego Sansone, avendo interrotto i rapporti con una ballerina … un po’ “clamorosamente” … fu costretto a un soggiorno alla Colombaia di Trapani. Il nobile Placido Bonanno dei p.pi di Linguaglossa, cavaliere gerosolimitano commise delle “discolerie”, per una donna della Compagnia comica, che lo portarono direttamente nel penitenziario di Siracusa. Due nobili, forse ingelositi del primo ballerino del Santa Cecilia, o contrariati dalla sua opposizione e dalle sue pretese per certi innamoramenti teatrali, decisero di fargli dare una lezione, e di notte lo fecero bastonare di santa ragione, … e in conseguenza di ciò si buscarono rispettivamente, il primo un soggiorno nel Castello di Siracusa e il secondo in quello di Milazzo. C’erano, poi i rapporti conflittuali tra il Santa Cecilia e il Santa Lucia, il primo tentava di sopraffare il secondo, il che generava le giuste lamentele della m.sa di Santa Lucia, proprietaria dell’omonimo teatro, la quale chiedeva giustizia per i soprusi subìti. Ogni scusa era buona per tentare di non far funzionare il S.Lucia: ignorando un regio dispaccio del 1746, che consentiva a entrambi i teatri di  restare aperti contemporaneamente, senza alcuna distinzione, si cercava di imporre al S.Lucia di chiudere quando funzionava il S.Cecilia, vietando la messa in scena, in Quaresima, di opere serie e sacre. … l’impresario del S.Cecilia sosteneva che al S. Lucia si era sempre e solamente rappresentata la prosa …, è falso, … e quindi ricorso al Re …,! … lo spettacolo del S. Lucia finisce a mezzanotte e anche più tardi … “il moto che nelle vie cagiona il ritorno della gente dal teatro tiene desti i cittadini e rompe molti disegni nella città popolosa.”  … “i posti gratuiti imposti, erano pochissimi, quelli del S. Cecilia, mentre quelli del S. Lucia (teatro più piccolo del primo) erano illimitati (7)” e quindi ricorso al Presidente del Regno …! … certamente questa situazione di conflittualità non rendeva la vita facile a nessuno … gli spettatori era sempre gli stessi (nobili e civili) … e anche gli introiti! Per cercare un rimedio per mantenere in attività i teatri cittadini si giunse alla concessione – su richiesta al Re, del Capitano Giustiziere Baldassare Platamone e Cannizzaro, duca di Belmurgo – di “una festa da ballo … per dare un divertimento al popolo e formare nell’istesso tempo un fondo da potersi sostenere con decenza l’anzidetto teatro”. Tale iniziativa scandalizzò i “ceti superiori” che vedevano profanare dal ceto più basso il tempio dei loro svaghi. Tuttavia, pare che, tutto sommato, le cose procedessero regolarmente per tutto l’ultimo scorcio del secolo. Infatti, secondo il tedesco Hager (8) e l’inglese Galt (9) i teatri cittadini non sembravano indegni di una Capitale.

* Lions Club Milano Galleria distretto 108 Ib-4

 

_ Note:

  1. era il quartiere ebraico (pare che siano stati rinvenuti recentemente, sotto la struttura, i resti di un forno ebraico). Il teatro, come risulta dagli atti del Notaio Francesco Patinella pare sia stato ristrutturato dall’arch. Giuseppe Musso. Poco distante da piazza Rivoluzione, ove è la statua, del XVI secolo, raffigurante uno dei “Genii” (numi tutelari della Città) e precisamente il “Genio del Molo o della Fieravecchia”, posta su una fontana del XIX secolo. La Piazza è denominata della Rivoluzione in quanto il popolo vi si riunì in occasione dei moti, del 1820 e del 1848, contro i Borboni e ricoprì la statua con il Tricolore con la Triscele (il simbolo della Trinacria);
  2. di pianta rettangolare, in cui all’interno la platea forma un ferro di cavallo. Anticamente esisteva il teatro “greco” (la cui struttura continuò a rimanere invariata anche nel periodo romano) con la cavea per gli spettatori di forma semicircolare a gradini e al centro la scena ove recitavano gli attori; (subì col passare del tempo, qualche variante: fu aggiunta su un lato il boccascena che serviva per far cambiare i costumi agli attori);
  3. nominato Vicerè, arrivò a Palermo il 15 ottobre 1781, con un preciso programma di modifiche sociali (riduzione dei privilegi dell’aristocrazia e del clero, soppressione del Tribunale dell’Inquisizione, istituzione del catasto per la tassazione delle proprietà feudali, ecc.). Tale programma non fu condiviso né dalla classe dirigente né, tanto meno, dalle famiglie aristocratiche che lo osteggiarono, il che provocò in lui – abituato al ruolo di brillante rappresentante del Re di Napoli presso le principali capitali europee – malumori e antipatie verso la Sicilia e particolarmente verso i palermitani;
  4. Johann Heinrich Bartels, riporta (Briefe uber Kalabrien und Sizilien – 1792) il giudizio anonimo di una voce, da lui definita, autorevole… “si vocifera che il denaro esatto per le strade sarà forse impiegato per la fabbrica di un nuovo teatro in Palermo. Non è da credersi, ma il governo di Sicilia fa vedere cose più mostruose.”;
  5. Corrado Nicolaci p.pe di Villadorata, Gaetano Campo e altri;
  6. pare che quest’ultima godesse “dell’amicizia” del Pretore, il quale non curante dello scandalo pubblico e delle scenate del coniuge, le metteva a disposizione la carrozza, oltre a una diaria mensile di 50 onze al mese; l’arcivescovo Lopez, Presidente del Regno, per non guastare i suoi rapporti col Pretore si defilò dalla questione, che, per l’intervento di alcune nobildonne palermitane, finì con l’arresto dei parrucchieri delle due artiste, in quanto intermediari e partigiani delle stesse;
  7. questo l’elenco dei posti che il S. Lucia doveva mettere a disposizione gratuitamente: “palchettone di mezzo al Vicerè, due palchi per paggeria (erano i paggi del Vicerè) e servitù, palco pel capitano della guardia, palco per la servitù di lui, palco pel Capitano di Giustizia, palco per la sua servitù, sedia pel vice-Capitano di Giustizia, sedia per l’Aiutante reale del Vicerè, sedia pel primo portiere della R. Segreteria”;
  8. scrittore e linguista austriaco (nato e deceduto a Milano, naturalizzato italiano – 1757-1809), nel suo “Gemalde von Palermo” asserì che entrambi i teatri palermitani erano occupati dalle migliori compagnie che circolavano per l’Italia, sempre con nuovi cantanti, ballerini e attori … che non offesero mai le orecchie degli “elevati” spettatori … o la dignità del pubblico … i prezzi … mitissimi, … i costumi, l’orchestra, le decorazioni non certamente da mettere a paragone con quelli dei teatri di Vienna, Londra e Parigi, ma sicuramente migliori di quelli di teatri di altre città popolose e ricche d’Europa:
  9. scrittore scozzese (1779-1830) che visitò, in un viaggio durato circa tre anni, la Sicilia, interessato allo studio delle “differenze nazionali”, riferì che nei teatri di Palermo gli spettatori più astuti portavano in tasca dei punteruoli che … piantavano dietro le spalliere delle sedie innanzi a loro (?) … a nessuna donna era permesso sedere in platea … si vendevano i sorbetti agli spettatori … nessun artista ripeteva la canzone, il duetto o la cabaletta anche se applaudito fragorosamente, salvo che non lo ordinasse, con un cenno, il Capitano Giustiziere.

 

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