“L’ORA DI GRECO “ ROMANZO DI HAN KANG ED. ADELPHI
Gabriella Maggio
L’ora di greco della scrittrice sudcoreana Han Kang, Premio Nobel per la Letteratura 2024, racconta di una donna, che non riesce più a parlare, e di un uomo, l’insegnante di greco, che sta per diventare cieco. Di entrambi la scrittrice non svela il nome, sono soltanto una donna ed un uomo qualsiasi con un passato doloroso ed un presente di profonda solitudine, veri emblemi del nostro tempo. Al greco antico sono arrivati per le casualità della vita. L’insegnante, tormentato dalla fine di un amore e di un’amicizia è ritornato a Seul dopo un periodo trascorso in Germania, dove si era trasferito con la sua famiglia. Lì aveva percepito la lingua greca antica come una stanza tranquilla e rassicurante ed aveva acquisito la fama dell’asiatico un po’ strambo, dotato per il greco. La donna ha deciso di studiare il greco da adulta, perché le sembra una lingua inconsueta, capace, forse, di farle superare la perdita della parola, accaduta, senza una causa manifesta, mentre era in aula con gli studenti e scriveva alla lavagna :” Attraverso le labbra strette e tremanti, aveva emesso un borbottio incomprensibile, scaturito da un luogo più profondo della lingua e della gola…”. La prima volta quella cosa le era successa quando aveva sedici anni. Allora si era risolta mentre studiava il francese:” Senza che lei ne fosse consapevole, le sue labbra si erano mosse appena, come quelle di un bimbo piccolo. Bibliothèque. Un borbottio incomprensibile era scaturito da un luogo più profondo della lingua e della gola. Non si era resa conto dell’enormità del momento… “. Non è un caso che sia la parola Bibliothèque a interrompere il suo silenzio. La biblioteca è il luogo dove si custodiscono i libri, che rappresentano l’umano tentativo di dare un senso e un ordine al mondo. Essa contiene anche una promessa di fiducia nella letteratura, ma anche nella cultura in generale. La biblioteca richiama J.L. Borges che è una presenza attiva nel romanzo. Il primo capitolo comincia con una frase di Borges : “C’era una spada tra noi”, allusione alla cecità, che si frappone tra l’uomo e il mondo, come presto accadrà anche al professore, che, prima di partire per la Germania, come si legge nel terzo capitolo, ha acquistato “un’edizione coreana tascabile della conferenza di Borges sul buddhismo …”.Non sembra neanche casuale che quella cosa si sia ripresentata alla donna dopo vent’anni, proprio mentre lei si trova alla lavagna di fronte agli alunni nell’atto di trasmettere sapere. Sembra la manifestazione di un’ improvvisa sfiducia tutta umana nella funzione sociale della lingua e della cultura. Anche se la donna non riesce a prenderne coscienza : “Non è così semplice” scrive poi al suo psicoterapeuta. La sua vita già dolorosa, sembra schiacciarla, le appare un sentiero troppo terribile, dove s’accumulano la morte della madre, il divorzio, la perdita della tutela del figlio, la decisione del padre di allontanarlo da Seul. Tra i temi del romanzo, l’impossibilità di mantenere unita la famiglia, la freddezza dei rapporti interpersonali, la perdita dell’amore e dell’amicizia, l’accettazione della propria condizione di solitudine in una metropoli caotica, troppo calda d’estate e troppo fredda d’inverno, è decisamente rilevante la riflessione che i due personaggi fanno sulla lingua, sulla responsabilità del linguaggio. È la donna ad avvertirla in maniera drammatica : “Ma la cosa più penosa di tutte era che sentiva con una chiarezza agghiacciante ogni singola parola che le usciva di bocca. Persino la frase più banale lasciava intravedere con la trasparenza del cristallo perfezioni e imperfezioni, verità e inganno, bellezza e bruttezza. Lei si vergognava di quelle frasi…Non pensava più in parole…il suo corpo era assediato dentro e fuori da un silenzio….come prima di venire al mondo….. Se ora studia greco antico in quest’istituto privato, è perché stavolta vuole recuperare l’uso della lingua per propria scelta…..Una lingua che fa aprire bocca solo dopo che il rapporto di causa-effetto e l’atteggiamento siano stati irrevocabilmente decisi”. La lingua greca antica le offre una purezza archetipica, quella che lei aveva scoperto nella lingua da bambina :”La promessa meravigliosa racchiusa nella fragile combinazione dei fonemi”. L’interazione docente –discente nell’ora settimanale di greco diventa il “medium” di una ricerca, di un affiatamento, a lungo aurorale, frenato dal reciproco imbarazzo: “Ogni tanto si scrutano in viso senza dire nulla. Mentre aspettano l’inizio della lezione. ….Procedono a un’andatura simile. Tutti e due piegati in avanti…reciprocamente e placidamente consapevoli della presenza dell’altro. Il legame non detto tra i due genera una riconciliazione, una riumanizzazione del linguaggio, sfilacciato da “ un numero incalcolabile di parlanti e scriventi…ovunque c’erano cose con cui non poteva riconciliarsi”, e attraverso una narrazione delle loro vicende , che procede per giustapposizione di presente e passato che si incastrano e completano gradualmente, si costruisce la loro vita come la figura di un puzzle che si delinea attraverso la collocazione esatta delle tessere. Han Kang crea sulla pagina una “mimesis”, una riproduzione di una situazione reale di discorso non puramente linguistico, ma complessivamente sensoriale, esperienziale. Sarà un evento casuale, una cinciallegra prigioniera, che batte la testa contro la parete di cemento dell’ingresso dell’istituto nel tentativo di trovare un’uscita, a costituire l’occasione che avvicina i protagonisti. Lo sforzo di entrambi per aiutare la bestiola impaurita spezza le barriere del loro imbarazzo e nello scambio del dare e ricevere soccorso, quando il professore si ferisce la mano nel recupero degli occhiali, che cadendo si sono frantumati, coinvolge i corpi :“La donna gli tiene un braccio dietro la schiena, e con l’altra mano gli sorregge il polso”. Progressivamente il freddo doloroso che per tanto tempo ha stretto i loro corpi e tutto il loro essere si scioglie in un fragile abbraccio, e finalmente la donna pronuncia la prima sillaba come inizio della sua riconciliazione con il linguaggio. L’ora di greco porta alle estreme conseguenze la frattura, già romantica, fra la parola e il mondo, affidando alla letteratura, in un universo laicizzato, una precaria supplenza del sacro. La mitologia dell’assenza e dell’annullamento, della voce e della vista, conduce a una redenzione del quotidiano, tenendo lontano ogni individualismo solipsistico. Lo stile narrativo di Han Kang, caratterizzato da una lingua intensamente poetica anche nella traduzione di Lia Iovenitti, è costantemente scabro, animato da descrizioni precise che colpiscono e coinvolgono il lettore a cui vuole dare una testimonianza del male che s’annida, anche inconsapevolmente, nella vita degli uomini, nella loro responsabilità. Ma nello stesso tempo la scrittrice vuole dare voce a personaggi che s’impegnano a resistere ai traumi e alla violenza, perchè vogliono vivere, anche se lacerati.