Pretesto: Carmen di Bizet

(Carmelo Fucarino)

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Esemplare sequenza Teatro Massimo

A parte la quarantina di film e le fantasie di musica da camera (una di Busoni), mai opera lirica ha avuto tanto successo popolare, da quella prima sfortunata alla Opéra-comique di Parigi il 3 marzo del 1875, tanto da divenire base e pretesto per trasposizioni “altre”, con le quali sulle melodie popolari spagnole e il naturale incanto della plaza des toros e del toreador, creati da due parigini doc, tanti si sono sbizzarriti in ideazioni ed orchestrazioni di generi diversi. Già ad inizio quella novella di Prosper Mérimée del 1845 era stata rielaborata in opéra-comique dal giovane musicista che vi aveva introdotto la coppia Escamillo e Micaela e reso malfamato il buon don José, ma aveva creato soprattutto e scritto quella perla della celeberrima habanera (la danza di La Habana) L’amour est un oiseau rebelle.

A parte l’ammirazione dei musicisti come Čajkovskij, Puccini e Brahms, e di pensatori come Nietzsche e Freud, la reazione scandalizzata dei perbenisti fu violenta e decretò un iniziale insuccesso con l’avvio di quella crisi psichica e fisica che condurrà alla morte a soli 37 anni il musicista. Per le trasposizioni cominciò nel 1943 Robert Russell Bennett con la sua Carmen Jones, adattamento e orchestrazione per un musical a Broadway su testi e musica di Oscar Hammerstein II. Nel 1949 vi mise mano il geniale creatore di balletti, Roland Petit, con il primo suo balletto Carmen, interprete assieme alla congeniale Zizi Jeanmaire, su musica di Bizet e con una coreografia che seguiva una trama presso a poco simile. Il successo fu enorme come le sue cinquemila repliche, che continuano acclamate nei teatri del mondo. Nel 1967 Rodion Shchedrin ne trasse un altro balletto, rivisto e modernizzato nel 2000 da Matthew Bourne con il suo The Car Man. Divenne musical drammatico con Peter Brook nel 1981, per tornare balletto con le coreografie di Ramόn Oller nel 2007 e con Carmen. The passion di Mauricio Wainrot per The Royal Winnipeg Ballet nel 2008. Come si vede la traiettoria che ha condotto alla realizzazione di Amedeo Amodio per l’Aterballetto, con adattamento e interventi musicali originali di Giuseppe Calì, si pone su questa scia di metalettura e di ri-creaszione. È l’elemento passionale e sensuale, quell’insistenza sulla fisicità a dare il là alla interpretazione della musica di Bizet e alla vicenda noir di amore e di morte. Con una sostanziale differenza. Nel tragico epilogo Carmen in abito bianco, la veste della purezza virginale delle nozze, smette gli abiti della seduttrice e si purifica in una plateale uscita verso il suo destino di morte. Certo ritorna la moda ormai consolidata della scena spoglia e dei parallelepipedi ruotanti, ma dobbiamo farcene una ragione. Quello che interessa è la resa musicale e la lettura scenica e coreografica. L’Abbagnato giocava in casa, anche se spesso avviene che nemo propheta in patria. In questa occasione la bravura dell’étoile ha avuto l’unisono della simpatia del pubblico. Tuttavia caldi applausi sono stati tributati ai pur valenti e spesso perfetti Nicolas Le Riche, Ashley Bouder e Alexandre Gasse. Così è risultato efficace e prorompente in dinamismo il balletto del Massimo, in alcune performance corali di rara efficacia. La coreografia di Amodio è ormai collaudata da quella sua prima uscita nel 1995. Forse frastorna il pubblico il ricorso a quell’incipit dalla fine, dalla chiusura del sipario con le ultime note dell’opera Carmen, con la quotidianità delle azioni e la morte che si appresta a segnare una vicenda terrena, per risalire in flashback alla storia di malavita e di amori dirompenti. Sa molto di pirandelliano e dei Sei personaggi in cerca di autore quello sciogliersi dei teatranti tornati al loro banale quotidiano nei personaggi di Mérimée e dare loro nuova, reale vita oltre alla dismessa finzione scenica. Ma sono notazioni che nulla tolgono alla lettura personale della vicenda e della musica di Bizet. Forse è mia impressione, ma in qualche coreografia insistita si sentiva una certa stanchezza, una sensazione di stasi che nuoceva alla dinamicità della musica. Abusata la lunga, lenta vestizione del torero e della Carmen che si avvia sposa della Morte, l’insistenza su evanescenti e morbide figure sceniche.

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