FESTE A PALERMO – IL CARNEVALE

Francesco Paolo Rivera *

Nel Settecento a Palermo, le feste erano frequenti e molto frequentate sia dai nobili che dalla plebe. Ferdinando di Borbone sosteneva che il miglior sistema di governo del suo regno era sintetizzato nelle “tre effe”, “fame, farina e forca”! Le feste in Sicilia pare che traggano origini da un episodio storico. Nel 1530 Carlo V, dopo aver cacciati i Turchi,  concesse ai Cavalieri di San Giovanni, le isole di Malta e di Gozzo, per compensarli della perdita dell’isola di Rodi, passata all’imperatore Solimano. Naturalmente i Cavalieri di San Giovanni, che assunsero, per ciò, la denominazione di Cavalieri di Malta, per attestare la loro gratitudine al Monarca della Sicilia, da quel momento si obbligarono alla prestazione di un tributo, che consisteva nella presentazione di un falcone. Ogni anno (prima al I° di novembre, poi al I° di gennaio, e con l’avvento al trono di Ferdinando di Borbone, al 12 gennaio, giorno del compleanno del Re) il Bàlio e Ricevitore (1) di Malta, entro la Cappella del Palazzo Reale, consegnava (come atto di devozione e di vassallaggio), un falcone al Vicerè. In tal modo avevano inizio le feste a Palermo: spari di cannonate dal Forte di Castellammare (2). Masse di gente, che, festosa, correva vociando nelle strade, molte mascherate, travestite da animali, da pulcinella, da negri, da ubriachi, da vecchie megere, da nobili imparruccati, che danzavano al rullo dei tamburi (3), dei pifferi e di altri strumenti, gli “scalittari” che si inerpicavano fino ai balconi più alti per regalare dolci e liquori agli spettatori, le maschere di tutti tipi che vociando si rincorrevano per le strade, il “pappiribella”, (maschera) che si inerpicava su una scaletta dalla quale dopo comici contorcimenti cadeva goffamente a terra. Qualche rappresentazione di attori di strada improvvisati, come il dramma comico, che si svolgeva alla Fieravecchia, la parodia del conte di Modica che rapiva la bellissima regina di Navarra. Questi e altri i divertimenti della plebe. Mentre, in quest’ultimo rione si svolgevano questi spettacoli, nei quartieri dell’Albergheria, della Loggia, di Siracaldi e della Kalsa, altre maschere storiche o fantastiche, su carri sontuosamente addobbati andavano per il Cassaro e per la strada Nuova (via Maqueda), precedute da suonatori a piedi, soldati a cavallo, lanciando alle signore sui balconi scatole di dolci e altri regali e alla folla che applaudiva, confetti (4). Nelle case private si tenevano feste, naturalmente nelle case dei nobili non erano ammesse persone di ceti più bassi (5). Anche il Re Ferdinando volle partecipare, durante il periodo in cui la famiglia reale si ritirò a Palermo, all’ultima di queste feste a fine secolo e ne rimase entusiasta, a tal punto, che pochi giorni dopo, il P.pe di Fitalia Capitano Giustiziere a nome del Sovrano invitò a Palazzo Reale tutta l’aristocrazia palermitana (6). Maschere e costumi elegantissimi, curiosi e ricchissimi raffiguranti personaggi o elementi della Natura, Stagioni e dei dell’Olimpo facevano bella mostra sugli invitati. Anche i teatri aprivano i battenti durante il carnevale, dove oltre agli spettacoli si tenevano anche balli. Dato il successo di questi divertimenti, un certo Cristoforo Di Maggio costruì nel piano della Marina un grande baraccone adibito a balli e a spettacoli carnevaleschi, con ampia platea, posto per due orchestre, due ordini di logge, ottantaquattro palchi tutti arredati con velluti, specchi e fiorami d’argento. Vi si tennero parecchi veglioni e giochi cavallereschi e una specie di circo equestre, con dame che conducevano quattro carri trainati da mule bianche, scontri tra cristiani e turchi (7). La frequenza di persone non titolate, col consenso dell’Autorità, allontanò dopo qualche tempo, la nobiltà, fortunatamente – però – i veglioni si mantennero nel favore del pubblico con vantaggio della Cassa Comunale (8). Il Teatro Santa Cecilia, invece continuò ad avere grande rinomanza, perché frequentato da persone di gran riguardo anche se la sera del martedì grasso si scatenava, sia al Santa Cecilia che al teatro di Santa Caterina, una indiavolata gazzarra di maschere, di canti, di suoni, di artisti e di cantanti (9). In ultimo, il carnevale si trasformava in uno vero baccanale con la “impiccagione del Nannu”. Ai Quattro Canti procedeva all’impiccagione di Carnevale, raffigurato da un vecchio stecchito portato al patibolo da un corteo di popolani, al canto delle di nenie funebri delle “prefiche”. Così si chiudevano le festività carnascialesche. A mezza Quaresima, forse per interrompere le penitenze, le devozioni, gli spettacoli religiosi, le flagellazioni, i digiuni, le processioni, si procedeva a un rito pagàno, si  segava, nella piazza di Ballarò, un fantoccio mostruoso e fetido, raffigurato dalla immagine della magra, uggioso e insopportabile “Quaresima”. Secondo le usanze, in questo periodo non era consentito il passaggio delle carrozze per la città, e pertanto le dame dell’alta società, avvolte in grandi manti neri (per non farsi riconoscere), andavano in giro, come le donne delle classi più umili, a piedi o in portantina, per le chiese della città per la “visita dei Sepolcri”.

*Lions Club Milano Galleria distretto 108Ib4

1)”, nell’isola di Malta era il titolo di Governatore, mentre Ricevitore era quello di “Ministro delle Finanze”;

2)Lo sparo delle cannonate venne abolito, per economia, nel 1779. “Dovranno parlar meglio siffatte lingue di fuoco, nelle occasioni di far portare rispetto e far temere la maestà del Principe” questa la motivazione del Ministro di Napoli, autore della riforma, “… “far temere la maestà del Re a furia di cannonate …” … era sicuramente fuori luogo;

3)Denominata la “Tubiana”, era una danza che prendeva il nome dal suono monotono dei tamburi “Tu-Bi Tu-Bi”;

4)Erano le carrozzate dei grandi nomi dell’aristocrazia palermitana che partecipava compatta alla festa. Nel 1802 volle prendere parte alla festa anche il Re Ferdinando con la corte, rimandone entusiasta;

5)Il p.pe Monacda di Paternò ammise sia in casa che in villa alcune maschere del ceto medio, così come il Vicerè Marcantonio Colonna di Stigliano accolse moltissime maschere al Palazzo Reale, tutte sercite di rinfreschi da camerieri vestiti da pulcinella;

6)La festa che avrebbe dovuto iniziare alle 2, ebbe inizio alle 4 dopo la mezzanotte per la difficoltà degli invitati a entrare nel palazzo;

7)Il Villabianca scrisse che “i forestieri non poterono fare a meno di confessare che la veduta di tal ridotto fu sorprendente, a segno che in tutto il mondo non può darsi l’eguale.”;

8)Gli introiti erano destinati alla Villa Giulia;

9)In qualche anno, a seconda degli umori del vicerè e le disponibilità economiche del Capitano di Giustizia, nel piano della Marina si faceva il “gioco del toro”, che suscitava profonde emozioni i tutta la cittadinanza.

 

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