Lo spirito acheo del Castello Eurialo.

(Natale Caronia)

Alcuni decenni fa, in vacanza con la mia famiglia a Siracusa, ci recammo tutti insieme per una visita turistica al Castello Eurialo. Una volta entrati nell’area archeologica, un’anziana guida si avvicinò al nostro gruppetto di quattro persone, cominciando a descriverci quella che è la più grande struttura  difensiva greca esistente. La sua conoscenza del luogo era, a dir poco, impressionante: la sua descrizione cominciò dall’alloggiamento  del ponte levatoio, non più esistente per la corruzione del legno, ai sistemi difensivi, alle vie di fuga, ai corridoi a finto fondo cieco da cui i soldati potevano sfuggire ai nemici per poi sorprenderli alle spalle. Poi, prese per mano i  miei due figli allora bambini, stupiti ed  attenti, e mostrò  loro come i difensori del castello, protetti da speroni rocciosi, veri e propri scudi di pietra, potevano colpire gli eventuali invasori senza esse visti ed illustrò i percorsi ed i labirinti, la cui conoscenza poneva i difensori del castello in netta posizione di vantaggio sugli aggressori.
Nessun muro, nessuna pietra sfuggiva alla sua conoscenza: ci mostrò perfino come gli ingegneri greci avessero previsto il solco di gocciolamento per l’acqua piovana al di sotto dei massi delle costruzioni.
Alcuni anni dopo, da solo questa volta, mi recai a rivisitare il Castello; l’ingresso era ancora chiuso.
Tra la piccola folla, che attendeva che si facesse porta, vidi la vecchia guida che avvicinai e che
mi rispose: “vede, ormai sono in pensione ed attendo che i miei antichi colleghi aprano i cancelli per potere entrare”.
Una vita trascorsa tra quelle mura lo aveva permeato in maniera tale che fuori di esse non esisteva vita; come in un processo di metempsicosi, lo spirito degli antichi guerrieri achei si era trasfuso in lui  imbrigliandolo sì da farne, psicologicamente, un costituente definitivo del monumento.
Ora che sono passati molti anni e che la nostra guida ha sicuramente raggiunto nell’Olimpo i suoi guerrieri achei, posso ricordare il suo nome che, a sentirlo, mi diede un brivido alla schiena: “il mio nome è: Attilio Regolo”.

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