Es un soplo la vida
Da Fantasmi a Buenos Aires
di Rosa Maria Ponte
(terza parte)
Gardel
Daniele si accorse che non stava provando quella sensazione che aveva temuto. Gli sembrava che quei corpi, che emanavano un leggero odore di muffa, non fossero mai appartenuti ad esseri umani vivi tanto somigliavano a vecchi manichini di cartapesta molto sciupata e in certi punti così screpolata e sbrindellata da mettere a nudo le ossa. Il monaco parlava di antichi colatoi e di metodi di imbalsamazione più moderni con arsenico o paraffina, mentre lui pensava che non avrebbe mai permesso che sua madre facesse mostra di sé, vestita come quando andava a fare una visita, distesa in un loculo o peggio, appesa a una parete. Meglio che stesse nella loro tomba di famiglia a riparo da occhi indiscreti.
– Questa è la zona dedicata ai medici, disse il monaco.
Qui i corpi imbalsamati in un certo senso si somigliavano tutti forse per effetto del colore dei baffi, di un giallo rossiccio e dalla consistenza stopposa. Il monaco gli spiegò che, per via dell’ossidazione, sia i capelli che i peli del viso finivano sempre, col tempo, per assumere quel colore. Tutti indistintamente indossavano una marsina nera che dava loro un aspetto grave, severo, consono alla loro professione. Sul cranio portavano il cappello, alcuni la tuba, e al collo avevano cravatte flosce o a farfalla, secondo la moda fine Ottocento, inizi Novecento. Daniele era assorto nella spiegazione che il monaco dava sulla professione medica di quei tempi, sulla dedizione con cui una volta i malati venivano curati, anche i poveri, senza mai chiedere la parcella ai più indigenti quando, inaspettatamente, in quel silenzio, riecheggiò un grido irato:
– ‘Sti gran cornuti !
Daniele non capiva: che il monaco ce l’avesse con i medici? O forse era uscito improvvisamente di senno? Poi, rimbalzando come una palla, il monachello, tentò un paio di salti con il braccio alzato e il palmo della mano aperto come chi vuole scacciare un insetto volante o schiaffeggiare qualcuno più alto di lui. Daniele guardò in quella direzione ma, grazie alla sua alta statura, non ebbe bisogno di alzare la testa: non si era accorto che proprio davanti al monaco, su, appesa alla parete, c’era una mummia con una sigaretta nella bocca rinsecchita. Il cappello era rotolato a terra e il cranio, leggermente piegato da un lato, le dava un’aria irriverente, quasi sfrontata. Daniele le tolse la sigaretta dalla bocca e la diede al monaco che, furibondo, la pestò rabbiosamente non ostante fosse spenta. Quando si fu calmato gli disse che questo succedeva sempre quando in visita venivano delle scolaresche. Appena il professore si distraeva o lui voltava le spalle, subito tiravano fuori una sigaretta e, facendo delle vere acrobazie, la mettevano in bocca a una mummia. Una volta l’avevano persino messa in bocca a una santa monaca!
–Gran pezzi di cornuti, nemmeno della morte si scantano!