COME ERAVAMO: Vermicelli e maccaruni, ovvero l’alimentazione in Sicilia nel Basso Medioevo ( II parte)

(Renata De Simone)

La Sicilia, per la produzione di  frumento, era comunque considerata nel Medioevo autosufficiente in materia alimentare. Il pane che si portava in tavola era un impasto di farina lievitata cotto al forno. Mentre in Europa si usavano spesso altri cereali, come l’orzo e la segala e perfino le ghiande e veniva chiamato pane anche il semplice castagnaccio,in Francia però considerato una prelibatezza, la Sicilia era invidiata per il suo pane di solo frumento venduto in pagnotte nelle tre categorie: bianco, muffoletto e di semola. C’era poi il biscotto secco venduto nelle navi. Il mestiere del fornaio era esercitato in città e rendeva i forni casalinghi utili solo in campagna. Divenne un mestiere anche  la produzione di maccheroni e vermicelli tanto che nel 1530 alla Kalsa esisteva il cortile dei Maccaronai. I maccaruni erano però considerati prodotti di lusso tanto da essere spediti a Venezia confezionati dentro barili. Il piatto più comune nelle case era invece la minestra, di ceci, fave e lenticchie o di verdure (anche in città abbondavano gli orti) o di frumento e latte, detta cuccia. E’ documentato anche il macco, poltiglia di fave e forse anche di ceci. Era usato anche il riso, la cui coltura si diffuse però a partire dal XVI secolo.
Il piatto forte in Sicilia era la carne, così distinta in ordine di prezzo : castrato, vitella di latte ed altre categorie fino al becco; la carne suina è diffusa fino al Quattrocento, si consumano sempre salsicce ed insaccati. Diffusa la cacciagione; cinghiali, daini, cervi venivano cacciati e la loro carne era presente sul mercato a prezzi incredibilmente accessibili. Tra i latticini è spesso indicata la ricotta, ingrediente principale di pasticci e pasticcini, è inoltre presente nelle tavole la tuma, il pecorino e il caciocavallo.
I pesci sono quelli consumati fino ai giorni nostri, comprese le triglie e il tonno che veniva anche conservato sotto sale. C’erano poi i pesci d’acqua dolce, oggi scomparsi dalla nostra cucina . Poco presenti le carni di pollo e di animali da cortile, così da far pensare che non fosse diffuso l’allevamento. Non ancora conosciuto il tacchino, poi detto gallo d’India. Dagli scavi archeologici effettuati a Brucato è attestato il consumo di tartarughe terrestri. I grassi usati erano vegetali, l’olio che si vendeva a once, e animali, soprattutto lardo e sugna. Il burro, che era abbondante, veniva esportato.
Per la mensa dei vegetariani è attestata la produzione di mandorle, noci e castagne, mele e mele cotogne, pere, prugne,albicocche, fichi, granati e uva, arance e arance amare che venivano messe in salamoia. Apprezzati i datteri che venivano importati dalla Tunisia.
Fra i dolci, oltre quelli già detti ripieni di ricotta, dal Trecento troviamo i confetti insieme a sciroppi, conserve e marzapane, l’araba cubaida di miele e cimino.
L’acqua, forse infetta e non troppo gradevole di sapore, veniva talvolta corretta con aceto. Nel secolo XIII l’acqua era distribuita dai saccari, su due anfore in groppa ad un asino. E’ attestata ad Alcamo nel Trecento la vendita ambulante dell’acqua ad opera di una schiava.
Il vino, difficile da trasportare, veniva prodotto localmente acquistando l’uva o il mosto e venduto nelle numerose taverne. Alcuni vini si importavano, come il greco del Vesuvio. Una qualità particolare di vino era la  vernaccia (guarnaccia) di Messina. I vigneti si estesero solo alla fine del Quattrocento.
Attrezzi da cucina erano: spiedi, ferru di rustiri carni, padelle, la pentola per il macco. Riguardo alle ricette, il malcoquinato conteneva forse un lesso di scarti della carne e interiora, si cucinavano poi piedini di vitello, orecchie di maiale, testine di pecora. Gli scrifizari probabilmente friggevano nella sugna milza e polmone come si fa ancora oggi.
Complessivamente l’alimentazione in Sicilia appare varia  e accessibile a tutti i livelli sociali.
Solo nel XVI secolo la carne scompare del tutto nelle campagne consolidando la sua presenza nelle mense cittadine.

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