FEGATO PIÙ CHE CUORE
(Fiorella Vergano)
Il fegato di Piacenza-Musei di Palazzo Farnese
La medicina antica dava una posizione centrale al fegato. Nel l. XX ° dell’Iliade è considerato sede della vita :
Achille lo colpì al fegato col pugnale:
il fegato schizzò fuori e nero sangue colandone,
riempì la veste; privo ormai del respiro,
l’ombra fasciò gli occhi di Troo”.
(traduzione di Rosa Calzecchi Onesti)
Il mito di Prometeo racconta che il titano ribelle rubò il fuoco agli dei e liberò gli uomini dalla conoscenza dell’ora della propria fine colmandoli di speranza. Per questo venne punito da Zeus che lo incatenò su una rupe ai confini del mondo e mandò un’aquila che di giorno gli divorava il fegato che ogni notte si rigenerava. Il fegato era usato anche per la divinazione, l’ etrusca disciplina, più volte ricordata dagli autori latini, comprendeva molti libri, tra questi quelli haruspicini , che interpretavano il fegato dell’animale sacrificato. A Piacenza nei Musei di Palazzo Farnese si conserva un fegato di pecora , datato tra il II e il I sec. a.C., che riporta sulla sua superficie nomi abbreviati di divinità , ad uso dei sacerdoti etruschi . Platone considerava il fegato il centro della vita vegetativa. In molte lingue si trova una relazione tra fegato e sentimenti : avere fegato, rodersi il fegato, avere un bel fegato, farsi venire il mal di fegato. Nella versione originale dei fratelli Grimm la regina cattiva che ordina l’uccisione di Biancaneve vuole che le venga portato il fegato della fanciulla, ma il cacciatore impietosito porterà quello di un cinghiale . La versione della Disney invece riporta il cuore. Infatti risale al XVII sec. il passaggio dal fegato al cuore come centro della medicina. Dal greco ἧπαρ, ἥπατος il latino iecur ,oris , mentre il termine fegato ha origine nelle tabernae romane dove lo iecur era cucinato con i fichi ficàtum, o come sostengono altri indicava il fegato di maiale, dolce come i fichi, o il fegato dell’oca ingrassata con i fichi. Comunque la cucina fece cadere in disuso iecur, dando spazio a ficàtum, fìcatum, fegato. Il poeta Pablo Neruda ha dedicato un Ode al fegato:
Umile, organizzato amico,
lavoratore alacre,
lascia che ti dia l’ala del mio canto,
il colpo d’aria,
l’elevazione della mia ode:
essa nasce dalla tua invisibile macchina,
essa vola dal tuo infaticabile e chiuso mulino,
interiora delicata
e poderosa,sempre viva e oscura.
Mentre il cuore suona
e attrae la partitura del mandolino,
lì dentro tu filtri
e riparti,
separi e dividi,
moltiplichi e lubrifichi,
aumenti e riunisci i fili
e i grammi della vita,
gli ultimi liquori,
le intime essenze.
Viscera sottomarina,
misuratore del sangue,
vivi pieno di mani e di occhi,
misurando e travasando
nella tua nascosta stanza d’alchimista.
Giallo è il tuo sistema
di idrografia rossa,
palombaro della più pericolosa profondità dell’uomo,
lì sempre ti nascondi,
sempiterno, nella fabbrica,
silenzioso.
E ogni sentimento o stimolo
crebbe nel tuo macchinario,
ricevette qualche goccia della tua elaborazione infaticabile,
all’amore aggiungesti fuoco o melanconia,
una piccola cellula sbagliata
o una fibra spesa dal tuo lavoro
e l’aviatore si sbaglia di cielo,
il tenore precipita con un fischio,
l’astronomo perde un pianeta.
Come brillano sopra gli stregati occhi della rosa,
le labbra del garofano mattutino!
Come ride nel fiume la fanciulla!
E sotto il filtro e la bilancia,
la delicata chimica del fegato,
il magazzino dei cambiamenti sottili:
nessuno lo vede o lo canta,
ma, quando invecchia o logora il suo mortaio,
gli occhi della rosa si chiusero,
il garofano appassì la sua dentatura,
la fanciulla non cantò nel fiume.
Austera parte o tutto di me stesso,
nonno del cuore, mulino di energia:
ti canto e ti temo come se fossi giudice,
metro, fedele implacabile,
e se non posso darmi prigioniero alla purezza,
se le eccessive prelibatezze
o il vino eredità della mia patria
vollero perturbare la mia salute o
l’equilibrio della mia poesia,
da te, monarca oscuro,
distributore di miele e veleni,
regolatore di sali,
da te attendo giustizia.
Amo la vita:
Soddisfami! Lavora!
Non fermare il mio canto.
(Traduzione di Stelio Montaletti)