LA CONVIVENZA DI FATTO

Ciro Cardinale*

Con la “legge Cirinnà” (legge 20 maggio 2016, n. 76) è stato riformato il diritto di famiglia italiano (già innovato in passato nel 1975), riconoscendo pure ai conviventi alcune tutele, diritti e doveri che finora spettavano solo alle coppie sposate. Ma cosa si intende oggi per conviventi? Sono due persone maggiorenni dello stesso o di diverso sesso unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non legate da rapporti di parentela, affinità, adozione, matrimonio o unione civile. Però, al fine di ottenere la tutela riconosciuta oggi dalla legge Cirinnà, i conviventi possono registrare la propria posizione al comune di residenza, dando la prova della loro convivenza, cosa non sempre facile. Ed allora interviene la stessa legge, che stabilisce che la convivenza di fatto può essere attestata da un’autocertificazione, redatta in carta libera e firmata dai conviventi, presentata al comune che, fatti gli opportuni accertamenti, rilascerà poi il certificato di residenza e lo stato di famiglia, dai quali risulterà quindi la loro convivenza. In ogni caso, al di là dei certificati comunali che attestano la convivenza tra due persone, essa potrà sempre essere provata anche in diverso modo, con testimoni o con documenti vari, come fotografie, certificati di nascita dei figli nati dalla convivenza, contratto di mutuo o di assicurazione stipulato dai conviventi, ecc. In ogni caso, una volta provata la convivenza di fatto, quali sono le conseguenze positive per i conviventi? Qui la legge Cirinnà ha innovato il precedente diritto di famiglia, perché il riconoscimento della convivenza comporta l’attribuzione di specifici doveri e diritti reciproci. Così il convivente ha diritto a visitare l’altro convivente detenuto, in caso di malattia grave che comporta una ridotta capacità di intendere e volere, il convivente può delegare l’altro a rappresentarlo in tutte le decisioni che lo riguardano in ambito di salute, il convivente può esercitare il diritto di visita e di assistenza nelle strutture ospedaliere, in caso di morte del convivente, l’altro superstite succede nel contratto di locazione intestato al convivente defunto e può anche essere inserito nelle graduatorie per l’assegnazione delle case popolari, al convivente di fatto che presta stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente spetta una partecipazione agli utili dell’impresa, considerata come familiare, ed ai beni acquistati con essi, nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, commisurati al lavoro prestato, in caso di cessazione della convivenza di fatto il giudice stabilisce il diritto del convivente di ricevere dall’altro gli alimenti, qualora si trovi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento. In ogni caso, al di là dei diritti e dei doveri riconosciuti espressamente dalla legge ai conviventi, essi possono stipulare dei contratti di convivenza, con i quali disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune. Finora abbiamo parlato di “convivenza di fatto”, ma in molti a questo punto si chiederanno che differenza c’è con le “unioni civili”, previste sempre dalla stessa legge Cirinnà. Le unioni civili sono previste a tutela delle coppie omosessuali, finora prive di garanzie, e pur non essendo equiparate al matrimonio, vi si avvicinano molto. La convivenza di fatto, invece, è rivolta a tutte quelle persone, indifferentemente dal fatto di essere omosessuali o no, che hanno deciso di non contrarre matrimonio né di ricorrere all’unione civile se omosessuali, ma che comunque richiedono una tutela su alcuni aspetti della loro vita insieme.

*L. C. Cefalù

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