LA PALAZZINA CINESE

(Francesco Paolo Rivera *)

Dopo la Rivoluzione francese e particolarmente dopo la caduta della monarchia francese e la morte sulla ghigliottina dei reali di Francia, molti Stati italiani cominciarono a condividere le idee giacobine, dando vita a nuove Repubbliche (la Ligure, la Cisalpina e la Romana). Il Regno di Napoli, invece, fu l’unico che schierò il suo esercito contro i francesi, e, con lo scopo di ristabilire l’autorità papale, occupò Roma. Solo dopo pochi giorni, il 14 dicembre 1798, l’esercito francese costrinse alla ritirata i Napoletani. In conseguenza di ciò, vista l’instabilità della situazione e rilevato che la popolazione era in fermento, anzi simpatizzava con gli ideali politici degli invasori, il 27 dicembre 1798, Ferdinando IV° di Borbone, re di Napoli, in compagnia della moglie, Maria Carolina d’Austria (che era la sorella prediletta  della Regina Maria Antonietta di Francia, appena ghigliottinata) si vide costretto a lasciare Napoli, e sulla nave Vanguard (al comando dell’ammiraglio Horatio Nelson, il vincitore di Abukir) si trasferì a Palermo (1) ove fu ben accolto dalla popolazione. Naturalmente, per la famiglia reale (Ferdinando era, anche re di Sicilia, con la denominazione di Ferdinando III°) il primo problema fu quello dell’alloggio nella nuova capitale. Dopo avere acquisito la Real Tenuta della Favorita, il Re fece ristrutturare, dall’architetto palermitano Giuseppe Venanzio Marvuglia (2), una villa sita ai margini del Parco della Favorita e ai confini con il Monte Pellegrino, acquisita dal barone Benedetto Lombardo, già precedentemente costruita dal predetto arch. Marvuglia, in stile orientale, (in voga, a quell’epoca, tra i nobili europei) che divenne famosa sia per la bellezza del luogo, che per lo sfarzo e i decori in essa profusi. Tale villa, ristrutturata tra il 1799 e il 1808, prese il nome di Real Palazzina o Casina Cinese ed è composta da un piano seminterrato, dal piano terra, dal primo e dal secondo piano; la copertura è un tetto ottagonale a pagoda, ed è circondata da un magnifico giardino. Al piano seminterrato si trovano la sala da ballo e una saletta adibita a sala per le udienze, decorate dal pittore Giuseppe Velasco (3) e la sala ove i reali facevano il bagno, con grande vasca ovale incassata nel pavimento (pare che fosse munita fin dall’origine di acqua corrente).  Le pitture murali raffigurano le così dette “rovine”, la rappresentazione (come di abitudine, in quel tempo) di paesaggi “diroccati”, “rovine” e “ruderi” in mezzo a rigogliose vegetazioni; il visitatore ha l’impressione che gli ambienti siano danneggiati, invece si tratta dell’originale decoro dei locali realizzati in quel modo. Al primo piano, al quale si accede a mezzo di due scale esterne elicoidali (una per lato, realizzate dal Capomastro Giuseppe Patricolo, su disegno di Alessandro Emanuele Marvuglia, figlio dell’architetto), si trova il salone delle feste in stile cinese, arredato con pannelli in stoffa dipinti da vari artisti (tra cui anche dal pittore palermitano Vincenzo Riolo (4).  Al piano nobile si trovano gli appartamenti della Regina: ogni stanza in stile diverso l’una dall’altra, con affreschi raffiguranti membri della famiglia. Nella stanza “alla turca” i divani sono ad angolo, triangolari e le decorazioni hanno come soggetto il sole e la luna. La “stanza Ercolana” è in stile impero. La camera da letto della regina è in stile neoclassico, il bagno (gabinetto delle pietre dure) è formato da un intarsio realizzato con pietre dure, purissimo marmo e paste vitree.  Nella camera da letto del Re un colonnato regge il baldacchino e la volta è dipinta a motivi cinesi. Nella sala da pranzo esiste la così detta “tavola matematica” costruita dal Marvuglia (sul modello di quelle già in uso, a quell’epoca, in Francia, nella Reggia di Versailles), nella quale i commensali non necessitavano di camerieri per il servizio. Infatti, sulla tavola da pranzo, di forma rotonda, già apparecchiata sono praticati, in corrispondenza dei commensali, quattro fori circolari, direttamente collegati con la sottostante cucina, che consentivano, a mezzo di  un ingegnoso sistema di carrucole, di funi e di pulegge, simile a un ascensore, di fare arrivare i piatti col cibo direttamente dalla cucina e, ultimata la portata, di ritirare i piatti,  senza l’intervento fisico dei camerieri. Per comunicare con la servitù i commensali facevano uso di campanelli e di funi colorate, i cui colori erano associati alle diverse pietanze (5).Vale,                                   comunque, la pena di ricordare che la Famiglia reale borbonica non perdeva occasione di contornarsi nelle Reggie di Napoli e di Caserta, di tutti i ”confort”, di tutte le “novità” e dei “capricci” (secondo le usanze del settecento), ma anche di “stranezze” per quell’epoca, sbalorditive. A parte la costruzione della prima ferrovia a vapore in Italia (la Napoli – Portici) che venne realizzata dal re Ferdinando Secondo nel 1839, e alla “tavola matematica” descritta in questo testo, è bene ricordare, altri due manufatti costruiti entro la Reggia di Caserta la “sedia volante” e quella piccola “tinozza di metallo con una struttura in legno a forma di violino”, che qui di seguito sinteticamente si descrivono, anche se si riferiscono a “stranezze” realizzate al di fuori dell’ambito territoriale del Regno di Sicilia: il primo perché richiama “qualcosa” che riguarda Palermo e il secondo perché riguarda la “nascita” di uno strumento sanitario, oggi di uso comune. La  costruzione della prima “sedia volante”, su progetto dell’architetto Gaetano Genovese, risolse nel 1843 il problema di evitare le faticose ascese lungo le scale della Reggia di Caserta. Un vero e proprio ascensore (simile a quello realizzato nel Real Casino di Carditello – frazione del Comune di Cardito nel napoletano – nel 1787 dall’architetto Francesco Collecini,) che serviva a trasportare le vivande dalle cucine alla soprastante sala da pranzo.  La “sedia” era trattenuta entro una gabbia, in legno di castagno, fissata entro quattro colonne di legno (alte 110 palmi). mediante un meccanismo azionato a forza di braccia, consistente in ruote dentate che avvolgevano e svolgevano corde di canapa. Si accenna a tale marchingegno, in quanto a Palermo, nel quartiere Capo, nei pressi del Monte di Pietà, tra via Spirito Santo e piazza Beati Paoli esiste, ancor oggi, una strada denominata appunto “via Sedie Volanti”, perchè, secondo la cronaca orale dei “vecchi palermitani ben informati”, nel XIX° secolo, era stato installato il primo “Ascensore – Montacarichi” di Palermo. Tuttavia, secondo una ricerca (sul sito “mobilia.org”)  pare che, in quella strada, non esistesse nessun ascensore, e che il nome derivasse dal fatto che in quella via  si noleggiassero le “portantine” (sedie, aperte o chiuse da sportelli, usate in città per brevi percorsi, onde evitare, specie  nelle giornate piovose, di infangarsi), trasportate a spalla da due servitori, e, per il fatto che il passeggero fosse posizionato al di sopra delle teste dei passanti, venivano denominate sedie volanti … (insomma il progenitore dei “rentalcars”)… sarà vero ?!? Sicuramente è più interessante la descrizione della “tinozza di metallo a forma di violino”! A seguito della unificazione del Regno delle Due Sicilie al Regno d’Italia si procedette, da parte di pubblici funzionari, a inventariare i vari oggetti rinvenuti entro i Palazzi Reali, e tra mobili, poltrone, divani, lampadari, statue e altre cose, venne inventariato, tra gli arredi della Regina Maria Carolina nella Reggia di Caserta, uno “strano oggetto a forma di chitarra” … era il “bidet” (o “bidè”) … a quell’epoca, sconosciuto … !  Una versione di tale aggeggio pare sia stato realizzato alla Corte dei Medici, a Firenze, nel Rinascimento. Invece, la nascita del “bidet” si fa risalire, agli inizi del ‘700 a Cristophe des Rosier che pare ne abbia installato uno a casa del Primo Ministro francese (di quell’epoca) … ove, … taluno trovò la moglie del primo Ministro … “a cavallo di uno strano strumento a forma di violino” …, altri … non sapendo a quale scopo fosse adibito … lo qualificò a “una custodia per violino in porcellana”! Fu anche definito, in ambiente ecclesiastico, un oggetto immondo “dannoso per la purezza dell’essere umano”!  Circa la sua denominazione, poi,   c’è chi asserisce che derivi dal francese, … chi dalla parola “bidein” che, nell’antica lingua celtica pare significasse “piccola creatura”, e, chi, infine sostiene provenga da  “pony” … piccolo purosangue …!

*) Lions Club Milano Galleria distretto 108 Ib-4

Note:

  • dove prima di partire aveva conferito al conte Francesco Pignatelli l’ordine di distruggere l’intera flotta commerciale e da guerra, la più moderna e potente esistente nel bacino del Mediterraneo;
  • nato il 6 febbraio 1729 a Palermo ove è deceduto il 19 dicembre 1814, con formazione neoclassica, allievo di Niccolò Cento e di Carlo Marchionni;
  • fu un pittore palermitano (1750-1827) figlio di genitori spagnoli, venne denominato anche Velasquez o Velasques, e, in omaggio al grande pittore spagnolo Diego Velasquez all’età di 15 anni assunse tale cognome. Per parecchio tempo collaborò con l’architetto Marvuglia, con il quale eseguì molti lavori, fu allievo dei pittori Gaetano Mercurio e Giuseppe Tresca e maestro del pittore Valerio Villareale;
  • 1772 – 1837;
  • pare che una tale tavola matematica, attrezzata per dodici commensali, sia stata, in precedenza, costruita nella Reggia di Caserta (ma non se ne è trovata traccia in tempi recenti). La costruzione delle cucine separate dalle sale da pranzo, derivava dall’esigenza di evitare gli odori dei cibi e il girovagare di cuochi, camerieri e altro personale di servizio tra i commensali, nonché dall’esigenza di condividere con pochi ospiti momenti di intimità, considerato il fatto che, in quell’ambiente, si era abituati a partecipare a banchetti spesso molto affollati.

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