LA SCALA È SEMPRE LA SCALA

Era COVID 2021

Carmelo Fucarino

Anna Jur’evna Netrebko (ph. corriere.it)

Fu l’“apollineo” Toscanini a chiamare alla Scala il “dionisiaco” triestino Victor De Sabata, ove fu direttore di orchestra dal 1929 al 1957 e spostò l’inaugurazione della stagione dalla serata di Santo Stefano al 7 dicembre 1951, dedicata a S. Ambrogio protettore de Milàn, e fu lui a farvi debuttare Maria Callas nel ’50 in sostituzione della Tebaldi nell’Aida. Per noi è la notte dell’Immacolata dedicata alla veglia in famiglia e fra amici e al gioco. Qualcuno ha deciso quest’anno, fra equilibrismi, ambiguità e speranze anti COVID, di mostrare anche nell’ammiraglia RAI1 le “meraviglie” della Milan che primeggia nella lirica mondiale e si identifica con quella struttura architettonica che poi non è granché. Volete metterla a confronto con il Massimo di Palermo o il San Carlo di Napoli? Ma Milan è sempre Milan e sa mostrarsi imbellettata come una prima donna: diecimila rose (quattro diverse nuance di arancione) e tremila tralci di orchidee di tre varietà per il palco centrale e gli altri 51, revival dell’Aida zeffirelliana del 2006. Armani ha firmato gli abiti di molti vip, elencati nelle cronache mondane, quelli di scena sembrano invece racimolati in un mercatino di rione, eterogenei per stili, colori e lustrini e mal portati, ideali per Luca Falaschi che non ama la bellezza, ma gli “abiti usurati come la mente di lady Macbeth”. Cito a caso fra i vip Armani e nipoti, l’onnipresente virologo Burioni e Liliana Segre. C’era un tempo la bellezza edulcorata alla Zeffirelli, esplode oggi il presenzialismo alla FB con bagliori accecanti di fuoco sanguigno e strutture ciclopiche per creare la metamorfosi del grandioso, cupi nembi, tutti in mix di proiezioni video, altra moda di invasione di  tecniche nei teatri classici e moderni. Quello che non può l’uomo si inventa in video. Certo che è una prima di lusso, ove soltanto si reca il Presidente della Repubblica, quest’anno la vera star della serata. Ma è evidente: sei minuti di standing ovation a lui solo e un grido in sala di ‘bis’. L’intero cast che qualcuno ha voluto definire ‘stellare’ (sempre sul tema di star) ne ha avuto il doppio, dodici minuti. Peccato che qualche “buuu” ha macchiato gli scroscianti applausi. Vespa, intrattenitore politico, diventato esperto di lirica, si è intrattenuto a confabulare con la Carlucci di “Ballando con le stelle” e ha spiegato che «la Rai non sospende il collegamento se non finiscono gli applausi». E ha pazientemente atteso. È chiaro che in RAI mancano gli esperti in lirica di un tempo. Fra gli altri commenti del politologo quelli tributati al soprano, “gran bellissima donna”, “gran bella donna”. Così al settantesimo S. Ambrogio scaligero, tutto esterofilo. Pardon, Macbeth è stato il baritono Luca Salsi, che ha dovuto cercare strade traverse per entrare in teatro, dato i controlli rigorosi all’entrata. D’altronde non è che questo rifacimento di Shakespeare da parte del librettista Francesco Maria Piave abbia avuto tanta fortuna. La prima il 14 marzo 1847 alla Pergola di Firenze e poi l’oblio. A riportarlo in vita alla Scala il 7 dicembre 1952 la star Maria Callas, ex Maria Kalogheropoulou. Quest’anno la diva specialista è la cinquantenne Anna Jur’evna Netrebko, soprano russo naturalizzato austriaco, di successo la sua incisione della Deutsche Grammophon del 2014. A dirigere un altro grandissimo del teatro, il milanese Riccardo Chailly (sua incisione Decca con Leo Nucci nel 1986, incisione Philips nel 1983 con Renato Bruson, direttore Giuseppe Sinopoli). Naturalmente tutta la messinscena è stata improntata sulla tecnica ormai abusata della attualizzazione e modernizzazione, come se tale si possa considerare il re Macbeth in comuni vestiti borghesi che brandisce una spada, ma privo del mentovato ‘usbergo’ o il poveretto che assiste impotente con camice e stetoscopio a tracolla. Alle cervellotiche allusioni di Davide Livermore, ormai in pianta stabile alla sua quarta inaugurazione consecutiva, con le sue avventure distopiche, come è invalsa la moda del dire in quella che è divenuta una rottura cronologica in un futuro da fumetti, tra grattacieli che alludono al potere – certo anche la Cina e pure la Corea del Sud sono in gara a chi lo fa più alto – esplosioni di luci da guerre stellari e palcoscenici tra graticci di prigioni e ascensore mobile per patibolo. Così il Macbeth dell’anno mille che va assieme a Banco in automobile per incontrare le streghe, povere impiegate e mimi, private della loro magia, quel senso del soprannaturale che è stato profanato da una realtà all’Uomo Ragno o all’Harry Potter. Furbizie avveniristiche di regista privo di fantasia per un pubblico che è assediato da finzioni irreali. Così i balletti tra smorfie ed esercizi ginnici.  La moda delle realizzazioni teatrali classiche o moderne che devono scioccare e sorprendere, ma che soprattutto devono avere sottotraccia allusioni difficilmente decifrabili, se non chiarite ed esposte dallo stesso inventore. Perciò lode ai cantanti che sono riusciti in questo bailamme di giochi artificiali a calarsi nei personaggi, cosa assai difficile nel contesto scenico con un linguaggio ottocentesco, da Luca Salsi con la sua appassionata ripresa, alla diva Netrebko, già esperta del ruolo e calamita di fascino, come pure l’esperienza e la duttilità di Ildar Abdrazakov, di Francesco Meli, Ivan Ayon Rivas e Chiara Isotton. All’altezza della realizzazione il Coro diretto in continuità dal nuovo Alberto Malazzi. Alla fine di questa sceneggiata ci sono mancate in piazza le celebri immagini delle dame in pelliccia imbrattate dai contestatori animalisti, solo uno sparuto gruppetto di manifestanti della Cub e del Cantiere che hanno fatto esplodere qualche fuoco di artificio davanti a Palazzo Marino contro la manovra di Draghi. Neppure i novax hanno approfittato del palcoscenico . Si può solo concordare con Carlo Fuortes l’Amministratore delegato della Rai : “É stata una grande pagina di servizio pubblico nel segno della cultura e della speranza”. E la musica?E Verdi? Altri messaggi aleggiano sulle scene, altre letture delle loro creazioni. Torno a ripetere a proposito di teatro, antico e moderno, lirico o di prosa, perché non si scrivono e rappresentano opere nuove (per dire quelle del nostro Marco Betta), invece di deturpare quelle antiche vestendole delle tragedie e delle turpitudini moderne? Questo ripeto anche al sovrintendente, l’economista e politico francese  Dominique  Meyer , appassionato di teatro, che ha sperato: «Questa sera dobbiamo aspettarci un grande e bello spettacolo, entusiasmo da tutto il teatro, che ha lavorato molto bene, con forza, per riuscire, e spero in una grande gioia per gli spettatori che sono in sala e quelli di tutto il mondo che lo vedranno in televisione».

 

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