LA QUESTIONE IRRISOLTA

Carmelo Fucarino

Il titolo della commedia non faceva misteri, come non suscita domande la scelta di questa opera di Aristofane, l’unico commediografo classico antico pervenuto, a dispetto della proposta surreale del prossimo anno di un Plauto in un teatro greco esclusivo e per eccellenza, secondo la proposta del barone, per opere greche. Siamo ancora sotto la pressione dei media per una guerra, presentata come se fosse una guerra nostra, a dispetto di tante altre guerre decennali, cruente e catastrofiche vissute sulle sponde del Mediterraneo, quella di Saddam ingaggiata su una fake orrenda e mai risolta come quella in Siria e poi in Libia con l’assassinio di Gheddafi. Tacciano dell’eterna guerra civile in Israele. D’altronde, se sfogliamo un libro scolastico di storia, essa risulta la sequenza di tante tregue fra due o più guerre, a cominciare da quella primordiale dell’epos, la guerra di Ilio, la prima emblematica, resa nobile in quanto mobilitata per una donna bellissima, tra conflitti e gelosie di dee. Non mancarono, non mancano le fuorvianti guerre religiose, le nobili Crociate in difesa della fede, Eppure Tucidide nella sua immortale Guerra del Peloponneso, nella fase della disfatta di Delio e di Anfipoli, quando morti assieme i fautori della guerra ad oltranza, Cleone ateniese e Brasida spartano «si pensava di aprire più fondate e solide prospettive di pace». Soprattutto Nicia pensava di avere fama di una vita profusa al servizio dello Stato e pura di errori, «ritenendo che ciò può avverarsi con l’assenza di pericolo e per chi si tiene lontano dalla tyche, e che la pace offre l’assenza di pericoli” (V, 16, 1, νομίζων ἐκ τοῦ ἀκινδύνου τοῦτο ξυμβαίνειν καὶ ὅστις ἐλάχιστα τύχῃ αὑτὸν παραδίδωσι,τὸ δὲ ἀκίνδυνον τὴν εἰρήνην παρέχειν). E fu la pace, che a lui fu titolata e firmata il sesto giorno prima dello spirare di Elafebolione del 421 a.C., appena celebrate le Dionisie cittadine, su questa base: «i belligeranti restituivano le terre occupate in guerra» (17, 2). Alle Lennee in onore di Dioniso Leneo (vasi di vino come simboli), nel mese attico di Gamelione, gennaio-febbraio, Aristofane presenta Irene (Εἰρήνη), la dea Pace, in un contesto geopolitico in cui le città rivali conoscevano solo spondài ((σπονδαί)), “tregue”. Eppure il suo Trigeo, un fantastico Giuseppe Battiston, vignaiolo all’esordio a Siracusa, assieme ai suoi contadini, un complesso scenico vicino al centinaio, attua un’impresa miracolosa, il primo volo transuranico, con astronave animale e lui astronauta che anni dopo riprenderà Luciano con la sua Storia vera autobiografica e parodistica e la sua astronave oltre le colonne di Ercole che raggiunge il fiume di vino e i lunatici, con la “guerra stellare” tra i Caulomiceti, e gli Psyllotoxoti, più vicino l’Astolfo sull’Ippogrifo alla ricerca del senno di Orlando. Il bislacco ateniese ha meno nobile navicella, un lurido scarabeo stercorario con il quale tanto abbiamo giocato da bambini nelle prime piogge di settembre, qui traballante sulla grù, ormai abituale strumento di scena. Certo il mondo contadino, qui camuffato di vesti arboree, a scambiarsi banane (sì, proprio) e ad inebriarci di profumi di arrosto alla brace, quelle nostre scampagnate di Pasquetta alla nostra Favorita. E ci può stare pure in un Aristofane che per i nostri gusti appare in originale un po’ scollacciato e boccaccesco, la scurrilità di un linguaggio ingenuo e popolano il gigantesco fallo dono alla sposa, in quel tripudio di Opora, la dea autunnale della vendemmia e di baccanali che chiudono in bellezza e gaudio le commedie con il canonico gàmos. Non vogliamo essere neppure passatisti e arretrati, è uno spettacolo moderno, signori, nonostante queste pagliacciate, perciò non pensate alla lira, eptacordi ed altro, la musica deve essere a la page, la più moderna possibile, ma avveniva già anche ai tempi di Aristofane e di Euripide con i ritmi asiatici, e ci mancherebbe, necessari anche gli amplificatori e le luci abbaglianti in un tramonto piovigginoso. Per necessità deposto in uno spiazzetto accanto ad alcuni di essi, ho dovuto temere per il cuore al loro tuonare e battere sul petto. Ma, schifiltoso, vuoi mettere? è il pop di Patrizio Maria D’Artista, produttore sulmonese con il suo londinese You are home. Mi diceva un’amica che in effetti dalla cavea alta non si percepivano chiaramente le parole. Era la distorsione del mezzo meccanico? So che con i miei alunni canonica era la prova della monetina sul palcoscenico nella visita mattutina per verificare il miracolo dell’acustica. Così per il teatro Massimo il migliore per acustica al mondo.

Altro che navi ucraine stracariche di grano offerte ai popoli sotto carestia che altrimenti morirebbero. Ma tutte le guerre hanno le loro bugie, le famigerate fakes, talvolta subdole talvolta sfrontate, da noi si fanno sempre per il bene degli altri. E tanto spettacolo, come ormai di uso, dai tempi in cui il caro Giusto Monaco veniva a trovarmi al sommo della scalinata, ove ero con i miei alunni, ad annunziarmi una sorpresa da non dimenticare, il trenino in scena di una città greca antica o le SS con divise ed elmetti. Siracusa è di tutti, del ragazzino delle elementari e delle medie con il cappellino uniforme, del professore universitario con ombre evanescenti di studi classici, dello scrittore geniale e bestseller e del pittore di finzioni, del commerciante e dell’artigiano. Certo altri furono le idee e i progetti del fondatore dell’INDA nel 1913 il conte Mario Tommaso Gargallo, e dell’eccelso architetto e artista a tutto campo, delle prime scenografie classiche, Duilio Cambelotti, che partito dall’Art Nouveau giunse al futurismo, i costumi di Bruno Buozzo, altro furono le traduzioni poetiche di Ettore Romagnoli. Certo, le ventate di mode e di protezioni di artisti e interpreti e di lanci, la supposta esigenza di sorprendere il pubblico eterogeneo che poco sa ormai di greco e di Atene e presto dalla santificazione di padre Manzoni, sdoganato dal papa Francesco del suo gaudente credo della scommessa, del giansenista scomunicato Pascal, al già fondatore di Italia, il Dante fedele fan di Arrigo VII, incomberà con i ministri delle gaffe e del destrorso con la cancel culture. Non può essere accettato che tutta la somma letteratura italiana da Verga, classico delle terze liceo, a Pirandello, da Vittorini ai sicilianisti Sciascia e Camilleri, per dire, siano siciliani.

Tornando ad Aristofane, fra le undici pervenute, delle quaranta commedie attribuitegli, altre due si occupavano in modo totale di pace in situazioni e periodi diversi di questa guerra durata in tre fasi ventisette anni, catastrofica per Atene. Oggi chi spera in una tregua o in una pace tra tre potenze in guerra (USA-NATO, Russia e Cina) con luoghi e vittime, martiri per procura, si rassegni alle intrusioni quotidiane su tutti i media di divise militari, di carri armati e saette di missili, più efficaci ed asettici i droni senza auto rischi. Sono certo che a nessuno fanno più impressione e passano sullo schermo, invisibili anche perché spesso le stesse identiche immagini ritrasmesse. Meno male che ci risparmiano la rassegna dei corpi sfracellati e maciullati. La prima sfida sferrata da Aristofane contro la interminabile guerra è del 425 a. C. Il contadino Diceopoli, stanco di vedere i suoi raccolti distrutti dalle scorrerie militari (ancora il grano che oggi marcisce in Ucraina), chiede alla corrotta assemblea ateniese di proporre una tregua con Sparta. Figuriamoci cosa può ottenere da imbroglioni e furfanti matricolati. Non gli resta che incaricare Anfiteo di recarsi a Sparta per chiedere una pace ad personam per sé e famiglia. Apriti cielo, lo condannano a morte e per difendersi e vincere deve chiedere aiuto alla retorica di…Euripide, il suo rivale motteggiato spesso, e presentarsi con le vesti del pezzente Telefo. Diceopoli si salva così e istituisce un mercato libero aperto a tutti, anche a strani personaggi. Celebra assieme a due ragazze (il gamos a due?) la festa dei Boccali, mentre l’avversario Lamaco torna ferito dalla guerra. Certamente maggior fama antimilitarista ebbe la sua Lisistrata, che in un’assemblea delle donne, propone di rifiutare il sesso ai mariti fino a che non smettono la guerra. Siamo nel 411 a.C. dopo il disastro di Siracusa e la fine della potenza e della democrazia ateniese con l’istituzione del Governo oligarchico dei Quattrocento. Ma a rendere più complessa l’azione è l’innesto per la prima volta nel teatro antico del tema del femminismo che in questa stessa stagione e su altro versante sarà crudamente rappresentato da tremenda Medea e da quel suo famigerato giudizio sulle donne. Ma di ciò parleremo a parte.

 

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