ANNA: LA DANZA ARTE O PRETESTO?

Carmelo Fucarino

Ormai tutto diventa lotta politica e propaganda, da un semplice spot pubblicitario trasformato, a partire da una pesca, in profonda riflessione sul dramma della bimba di divorziati, da parte di un super-store alimentare, radici Nelson Rockefeller, qui sostenuto addirittura dalla propaganda occulta di premier ed associati, con il silenzio delle autorità preposte, per esplodere nel tema ormai abusato e maniacale della violenza sulla donna, dal semplice stalking della paroletta o della toccatina fino al cosiddetto brutto eufemismo di ‘femminicidio’. Perciò mi ha messo in allarme l’operazione del balletto Anna, propinato al Teatro Massimo come “nuova creazione per il corpo di ballo”, tema affrontato con isterismi, parossismi, tremiti maniacali da Francesca Bellone e Michele Morelli e gli azzardi negli interventi del fratello di Anna Alessandro Cascioli. In questo contesto di schiaffi e di violenze fisiche, si sovrappone e lo sovrasta il completo deragliamento, non poteva mancare lo stralunamento prodotto dalla droga, anch’essa onnipresente nei media, ormai quasi tutti scandalistici e da qualcuno attribuito naturalmente ai soliti immigrati accampati nelle strade delle città. Sicuramente i terribili esiti di uno spaccato della classe giovanile che suscita angoscia e scandalo, ma certamente non rappresentativo dell’intera gioventù, milioni di giovani, sani e moralmente ineccepibili. Si tratta di un semplice angolo buio, tragica devianza di gruppi manipolati e strumentalizzati da venditori di droghe e mestatori, che pur fa notizia e a ciò serve. Non posso tuttavia che concordare con la dichiarazione del sovrintendente Marco Betta: «In un mondo che cade in pezzi e in cui la violenza dilaga anche una fondazione lirica può dare il suo contributo per stigmatizzare l’oppressione e la violenza sui corpi delle donne. L’arte è un respiro di libertà e in scena ad affermarlo ci sono tutte le forze creative del Teatro che il coreografo ha coinvolto per il suo spettacolo». Nulla lo vieta nonostante la smaccata e propagandata sponsorizzazione dello spettacolo da enti e gruppi troppo esposti e coinvolti come l’Assessorato Pari Opportunità del Comune di Palermo e il Centro Antiviolenza dell’ASP di Palermo con la partecipazione delle operatrici e assistite del Centro. Così il proposito buonista conclamato dal coreografo Vincenzo Veneruso davanti alla cronaca di «storie di inaudita violenza ai danni di donne colpite dai loro compagni, mariti, genitori o da sconosciuti», per cui han « impiegato anni a dare forma a questa coreografia che ho immaginato come una sorta di risarcimento al dolore e alla solitudine della persona che lo ha subìto. Per me la danza è un linguaggio e vorrei che in questo caso, senza parole e senza grida, possa lasciare un segno nella coscienza e nell’anima di chi lo guarda». Partendo da queste sacrosante rivendicazioni tentiamo tuttavia di partire da un punto fermo. Le immagini di danzatrici greche con la supervisione di uomini o donne le troviamo in moltissimi reperti vascolari di ceramica di secoli prima di Cristo, già in età minoica e poi micenea, celeberrime fra tutte le recenti ballerine dei mosaici della Villa romana del Casale a Piazza Armerina. In principio fu la ginnastica con i movimenti di atleti nudi, fondamento e base della paideia, l’educazione (γυνμοπαιδίαι), o addirittura attività non performative come il giuoco della palla (ἐπίσκυρος). Poi si aggiunse la musica ritmica (oggi ginnastica ritmica, in genere femminile, accolta come sport olimpico), fino alla integrazione della parola e dello sviluppo narrativo con il melos (μέλος, ‘canto’). Così poi la poesia corale greca ove il coreuta (χορευτής, da χορεύω, ‘danzo in coro’, canta e danza, a cominciare dall’Iliade e dallo scudo di Achille). Perciò la danza, choreia (χορεία, da χαρά, ‘gioia’), è rappresentata dalla musa Tersicore (da τέρπω, ‘do piacere’), ed è realizzata da un coro di numero variabile se nel coro lirico, drammatico, cultuale o agonistico: Altra danza è l’emmeleia, femminile, in circolo, espressione delle Menadi ‘invasate’.  Da Platone a Luciano e nelle citazioni di Ateneo la danza ginnica era essenziale per la formazione di perfetti cittadini, di entrambi i sessi, in quel concetto giunto fino ad oggi di mens sana in corpore sano. Da lì si passò all’azione scenica di un coro danzante (da ỏρχήομαι, “danzare”) con la melica monodica, se cantata da una sola persona, e corale o corodica, se cantata da un coro di numero variabile. Accenniamo semplicemente per ragioni di spazio e in forma di titoli allo sviluppo della nostra danza (antico danser o franco *dintjan o latino *deantiāre, ‘andare avanti’) dalla pantomima greca al “bel danzar” delle corti medioevali, alle varianti della bassa danza e del ballo (De arte saltandi et choreas ducendi), al Ballet de cour rinascimentale, dal balletto barocco a quello reale, dal ballet d’action settecentesco a quello romantico, per giungere a Marius Petipa e ai suoi cinquanta ‘balletti narrativi’, alla popolare danza imperiale russa  e quella incantevole e magica creazione di Pëtr Il’ič Čajkovskij che è diventata canone e stile del balletto classico e della danza tout court. Il nostro balletto Anna si definisce di “danza contemporanea”, termine non di uso, che invece è nella vulgata intesa come “danza moderna”, creata ad inizio del Novecento nel Nord Europa da Rudolf Laban e Mary Wigman, ma esplosa soprattutto negli Stati Uniti d’America con le libere e celebri esibizioni di Isadora Duncan, nella performance a noi nota e nella forma scenica e di movimenti di Martha Graham, data quando il teatro Massimo era allocato nel Teatro Politeama (cf. il mio commento in ‘La voce di NY’ online del 17 nov. 2015, Omaggio a Martha Graham: a Palermo uno spettacolo ‘storico’, ora in Palcoscenico, Thule ed., 2022, pp. 326-330, nella fusione del balletto del Massimo e della Martha Graham Dance Company, “balletto moderno” o modern dance, americana e con tutte le diverse e specifiche connotazioni tecniche e stilistiche). Data quella conturbante esperienza ‘moderna’, questa performance mi ha lasciato perplesso non certo per la “bellezza” sia delle musiche sia delle realizzazioni sceniche anche se spesso si esasperavano nel parossismo e nulla avevano a che spartire con la danza. La questione di base per me è stata la definizione di balletto e la tecnica creativa. Ho conosciuto nella storia della musica le difficoltà di conciliare invenzione musicale e testo narrativo. Grandi nostri musicisti ebbero a duellare con i librettisti e viceversa. Si pensi ad Illica che chiede “compassione” e al Puccini che suggerisce modelli metrici adatti agli schemi musicali da lui già definiti rivestiti di parole prive di senso: sadico il celebre valzer di Musetta nella Bohème («Quando men vo, quando men vo soletta… »): «Coccoricò, coccoricò, bistecca». Perciò l’ideale perfetto connubio tra musica e parole fu quello di Wagner unico autore. Ancora più problematico è il connubio tra narrazione, che deve essere ricreata da musica e danza. E qui le mie gravi perplessità. Le musiche di tutti i balletti sono creati a proposito o ricavati da un unico testo sinfonico o melodico. Penso per tutti ai testi geniali ed irraggiungibili di Čajkovskij. È possibile ricavare la narrazione di danza da qualcosa come sette colonne sonore, tratte da sette film, quindi a commento di situazioni narrative specifiche, scritte ad hoc? È coerente questo poutpurri, questa macedonia di ambientazioni e commenti, nate per altre differenti e diverse narrazioni? Cosa aveva a che spartire L’ultimo Bacio con N, oppure A casa tutti bene addirittura con Vicerè e Padre Pio, oppure i Medici con Caos Calmo. È l’operazione tecnica che mi ha frastornato e stupito. Forse che il musicista palermitano Paolo Buonvino, che si auto-dirige, non era capace di scrivere un testo di un’oretta che commentasse, diciamo rappresentasse, il fallimento di un amore, attraverso l’incomprensione, la droga e lo stalking? Il tema narrativo era quasi univoco, il deragliamento e il tormento, la violenza reiterata fisica e psicologica e la perfetta obsolescenza. Si poteva commentare con una musica e danza per ciò create questa vicenda della sperduta di Monte Pellegrino, la demente Anna, si dice vicenda realmente accaduta, alla quale il coreografo Vincenzo Veneruso si è ispirato? Ecco, è l’operazione che mi ha confuso. Allora qualsiasi altro testo musicale era utilizzabile. Non mancano, come di moda, neppure i filmati esterni su schermo e a scena chiusa, intesi con la nuova sigla di videomaking, creati da Gery Palazzotto con Antonio Di Giovanni e Davide Vallone. Tuttavia riscatta il tutto la direzione del corpo di ballo da parte di Jean-Sébastien Colau, neo Direttore, étoile, coreografo e maître de ballet internazionale, che la città deve accogliere “con grande felicità”, e del quale abbiamo ammirato ed elogiato la direzione del recente ultimo balletto Orfeo (cf. il mio contributo in Che farò senza Euridice?, Vesprino, 22 sett. 2023). Pensiamo ora al prossimo futuro e già esplodiamo di incanto e di magia nell’attesa spasmodica della prossima esibizione del geniale Luca Micheletti, 38 anni, enfant prodige, che a quattro anni recitò il prologo della Bisbetica domata, vero “bulimico di teatro”, definizione che accetta, da protagonista del Misantropo di Molière, già il 30 settembre alla Scala con Nozze di Figaro, che assieme alla stessa Olga Bezsmetna ci incanterà nel Don Giovanni di Mozart, con una direzione da Oscar, quella del maestro dei maestri, Riccardo Muti. In attesa entusiasta di vedere e godere a maggio prossimo anche della sua regia dell’Aiace di Sofocle all’INDA di Siracusa. Cooperano allo spettacolo Chiara Pisani per la scenografia, Cécile Flamard per i costumi, Maureen Sivun Vom Dorp per le luci. Poi ballano oltre al fratello (Alessandro Cascioli), la madre (Lucia Ermetto e Francesca Davoli), il padre (Andrea Mocciardini e Diego Mulone), i cognati e le sorelle, fino al ‘sogno di Anna’.

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