IL DISSOLUTO PUNITO

Carmelo Fucarino

ph. C. Lannino -Studio Camera

Questo il titolo originale del Don Giovanni con la puntualizzazione ossia il don Giovanni (K 527, in due atti), nome espresso con l’articolo come indicativo esemplare di una precisa tipologia di individuo, il dissoluto per antonomasia e perciò divenuto nella tradizione metafora dell’irridente cacciatore di donne e stupratore ingannevole. Certo, in realtà ci fu un reale dongiovanni, il Giacomo  Casanova (1725-1798), di identica metafora, un “casanova”, il veneziano della repubblica indipendente finché Napoleone con il trattato di Campoformio del 17 ottobre 1797 si spartì il Nord Italia con l’arciduca d’Austria. Proprio lui documentò realmente le sue numerose esperienze amorose nella Histoire de ma vie e nell’Epistolario, quell’elenco che viene numericamente esposto per nazioni da Leporello (Aria Madamina, il catalogo è questo, 640 in Italia, in Alemagna 231, in Francia 100, in Turchia 91 e in Spagna 1003). Ma altri si inventano addirittura un Da Ponte, autobiografico “fimminaru”. Siamo negli anni del connubio ideale e artistico con il geniale Lorenzo da Ponte, presbitero e poeta che gli scrisse in sequenza i tre eccezionali libretti di Le nozze di Figaro (1786), il Don Giovanni (1787) e Così fan tutte (1790), al servizio del Sacro Romano Imperatore. Fu questi che, emigrato a New York, aprì una scuola di italiano, poi affiliata alla Columbia University e divenuta con la direzione di Prezzolini (1930-40) e il fascismo Casa Italiana, ora Italian Academy for Advanced Studies in America (cf. l’amica Barbara Faedda, From Da Ponte to the Casa Italiana, Columbia Universty Press, NY, s.d., a 90 anni nel 2018).  Proprio l’imperatore Giuseppe II commissionò al musicista già trentunenne l’opera specifica, tema allora di grande successo sulla scia del Don Giovanni o sia il convitato di Pietra di Giuseppe Gazzaniga. Era una tipologia di uomo e una vicenda che aveva avuto nel teatro grandi creatori, a cominciare nel 1630 da Tirso de Molina con El burlador de Sevilla y Convidado de piedra, poi il sommo Molière con Don Giovanni o il convitato di Pietra (Dom Juan ou le Festin de pierre), una tragicommedia in prosa in cinque atti, rappresentata a Parigi al Palais-Royal il 15 febbraio 1665. Il suo Don Giovanni, definito dallo stesso Mozart “opera buffa” è in realtà sulla linea del dramma giocoso a metà strada fra l’opera seria e l’opera buffa. Fu data il 29 ottobre 1787 non a Vienna, ma al cosiddetto Teatro degli Stati di Praga. Siamo ancora nella tipologia dell’antica opera lirica all’italiana con recitativo di base per la narrazione della vicenda, commentato dal vocalismo delle romanze, dei duetti e terzetti, con quelle insistenti iterazioni del “bel canto”, che saranno sepolte dalla radicale riforma di Willibald Gluck e del classicismo dellopéra comique francese e i testi del nostro Pietro Metastasio. Proprio Gluck aveva dato un anno prima nel 1761 il balletto Don Juan. Abbiamo già goduto il suo capolavoro Orfeo ed Euridice, il 19 settembre 2023 in questo Teatro Massimo di Palermo la prima opera della riforma, un dramma musicale propriamente detto, totalmente rivissuto in musica e canto, data la prima volta a Vienna il 5 ottobre 1762 (cf. https://www.lionspalermodeivespri.it/wordpress/2023/09/22/che-faro-senza-euridice-2/). Già straordinaria l’ouverture, che a quell’epoca era una introduzione, sul genere sinfonico, per dare agio e tempo agli spettatori che affollavano la sala o prendevano posto nei palchi. Era importante la vicenda vera e propria e quelle note introduttive si perdevano tra gli schiamazzi degli spettatori. Chi, come noi, ne ha seguito l’interpretazione del direttore Muti, può oggi valutarne la straordinaria bellezza. È un primo tempo sinfonico riprodotto proprio in quella trilogia stesicorea, la prima parte l’Andante con moto, tanto importante come tema, che verrà ripetuto quasi a leitmotiv nella penultima scena, nel momento estremo e spettacolare in cui la statua del Commendatore entra nella casa di Don Giovanni. La seconda parte, invece ci fa godere con un Allegro di carattere festoso. Poi quel Leporello che si presenta con la prima aria dell’opera, Notte e giorno faticar, appena prima dell’ingresso di Donna Anna e di Don Giovanni con il servo quella minaccia del trio Non sperar se non m’uccidi. Già da questo primo approccio il miracolo della manifestazione chiara e profonda della psicologia dei personaggi in perfetta simbiosi tra musicista e librettista. Che dire della realizzazione, un altro nuovo allestimento del Teatro Massimo in coproduzione con il Teatro Regio di Torino? Già di grande e assoluto rilievo e onore eccezionale per il Massimo di Palermo la scelta tecnica e canora. In primis la bacchetta di Riccardo Muti, in chiara sintonia e collaborazione con la figlia Chiara, regista dell’opera. Ormai siamo abituati alla mobilità della scenografia con veli e pareti mobili o con l’allusività di quei vestiti in grucce che calano dal cielo di Alessandro Camera; nel contesto consueto rientrano pure i costumi di Tommaso Lagattolla o le luci di Vincent Longuemare. Rilevante la sonorità che spicca e stupisce quella del fortepiano, suonato nella cavea a da Alessandro Benigni. Già nota la bravura dell’Orchestra e del Coro del Teatro Massimo, maestro del Coro Salvatore Punturo (coro Giovinette che fate all’amore). E poi il cast di eccellenza, unico in capacità e qualità che ha reso le melodie e l’arte di Mozart nelle loro specifiche sonorità mai disgiunte dall’arte scenica e dalla gestualità interpretativa. Già in altra notazione del balletto precedente (https://www.lionspalermodeivespri.it/wordpress/2023/10/10/anna-la-danza-arte-o-pretesto/) avevo preannunziato biografia e versatilità artistica di Luca Micheletti, da attore di Molière, a tenore, a regista ed altro, qui il forte ed irridente don Giovanni, nel ruolo del tipico basso buffo settecentesco (vocalmente, un baritono o un  basso-baritono a svelare la sua bassezza, come il servo Leporello, fino al basso profondo del Commentatore), sicuro e spavaldo (Riposate vezzose ragazze), nonostante le avvisaglie (Ecco il birbo, che t’ha offesa, Trema, trema, o scellerato), vezzoso cantore di serenate (la ‘canzonetta’ Deh vieni alla finestra), elegiaco e dolce con Zerbina in Là ci darem la mano, incredulo e sacrilego davanti alla morte (Già la mensa è preparata e Don Giovanni a cenar teco), quella mutazione dell’individuo beffeggiatore e dalla facile inventiva nell’eludere le trappole dei suoi inganni, fino alla terribile scena del Commentatore di Pietra, nel furore delle fiamme dell’inferno, l’invenzione più tragica di tutta la storia dell’opera. Poi le voci e la tecnica interpretativa di Donna Anna- Maria Grazia Schiavo, soprano (Aria Don Ottavio, son morta! – Or sai chi l’onore); Donna Elvira-Mariangela Sicilia, soprano (Ah fuggi il traditor); Don Ottavio-Giovanni Sala, tenore (Aria Il mio tesoro intanto); Leporello-Alessandro Luongo, baritono (Ah pietà, signori miei); Zerlina-Francesca Di Sauro, mezzosoprano (Batti, batti, oh bel Masetto, Aria, Vedrai carino, il celeberrimo duettino Là ci darem la mano); Masetto-Leon Košavić, baritono croato (Aria Ho capito, signor sì); Il Commendatore Vittorio De Campo (Oh statua gentilissima). E quasi tutti nel Trema, trema, o scellerato, e nel quartetto Non ti fidar. Questo un sintetico excursus delle eccellenze, ma tutta l’opera è in sé unica e straordinaria in tutti i tempi, questa edizione memorabile. L’arrivo di Muti sul podio ritardava: poi sulla scena ho capito, non si trattava di “farsi attendere” dagli spettatori, ma di questione di gambe, il peso dei suoi 82 anni. Chi vuol trovare un parallelo di lettura, provi l’altra versione del 1979, quella cinematografica del regista Joseph Losey, diretta dal maestro Lorin Maazel, Chorus & Orchestra of the Théâtre National de l’Opera de Paris, con Ruggero Raimondi, Edda Moser, Teresa Berganza, José van Dam ed altri. Oppure si sciali con le farneticazioni del film Io, Don Giovanni di Carlos Saura del 2009, protagonista Lorenzo da Ponte, di origine ebrea condannato come libertino dall’Inquisizione, salvato dall’amico Casanova presso l’altro celebre musicista Antonio Salieri a Vienna, il rivale e pure lui massone, accusato di plagio o addirittura di avere provocato la morte di Mozart, allievi tra i molti musicisti famosi, Beethoven, Schubert, Liszt.

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