E LA CHIAMARONO VIGATA

La Sicilia nel cuore  di Pasquale Hamel  ed. Spazio  Cultura

Gabriella Maggio

La nostra epoca, ha messo in discussione la rilevanza e il concetto stesso di passato e di conseguenza anche della memoria. Tutti gli eventi, i sentimenti, le emozioni della vita sono oggi riferite a un incessante presente, disancorato dal passato, che pure è l’unico dato di fatto che ci appartiene. Non sorprende quindi che uno scrittore che va oltre le apparenze,  e soprattutto uno storico come Pasquale Hamel, abbia interesse a valorizzare  la memoria  e ricostruire un mondo che gli è caro per motivi biografici, legati all’infanzia ed alla giovinezza. Pasquale Hamel  in  E la chiamarono Vigata vuole ricreare sulla pagina il senso ed il sapore di un luogo vero, vissuto, dove si interconnettono vicende umane e luoghi. Porto Empedocle è nella sua narrazione un luogo antropologico, quello che , secondo M.Augé ,è  « simultaneamente principio di senso per chi lo abita e principio di intellegibilità per chi lo osserva», perché  detiene tre caratteristiche fondamentali : identità, relazione e  storia.  I luoghi parlano e hanno molto da raccontare. Per gli antichi, non a caso, ogni luogo era abitato da uno spirito guardiano, il Genius Loci, che bisognava conoscere, rispettare e a cui ci si doveva rivolgere per avere il permesso di attraversare il luogo che custodiva. Oggi pochi usano il nome originario del luogo “Porto Empedocle” perché nell’immaginario comune  prevale il nome di Vigata, datogli  da Andrea Camilleri nei romanzi del commissario Montalbano. Nome condiviso anche dal pubblico dei non lettori per l’omonima  fortunata serie televisiva. Questo spiega il titolo scelto da Pasquale Hamel E la chiamarono Vigata , dove il passato remoto  chiamarono indica un’azione avvenuta un volta per tutte, irreversibile. Sono i libri che creano il mondo, diceva J.L.Borges. E la chiamarono Vigata raccoglie 40 bozzetti, brevi racconti realistici, che con vivacità impressionistica descrivono una situazione, un carattere, un personaggio  che ha colpito l’immaginazione  di Pasquale Hamel e che hanno caratterizzato Porto Empedocle nel ‘9oo. Nel paese lo scrittore ha vissuto l’infanzia e l’adolescenza : “un luogo che non mi ha visto neppure nascere ma dove ho vissuto, fra grandi tensioni emotive e forti affetti familiari, gli anni dell’infanzia  e della mia adolescenza….snodo da cui guardare la complessità delle vicende del mondo”. Se i Siciliani sono gli unici eccentrici italiani gli empedoclini incarnano in molti casi la iperbole dell’eccentricità. Questa  particolare eccentricità  siciliana va cercata nella storia locale come  dice L. Sciascia e ribadisce Hamel che scrive che : Gli empedoclini sono sempre stati uomini del fare, hanno dato vita a una piccola città, carica di positiva originalità,  tuttavia non sono sfuggiti alla sicilianitudine. Questa è la condizione dei Siciliani anche secondo   D.H. Lawrence, che però la chiama  la  “difficoltà” perchè  ne fiacca l’energia eccezionale”. Nei bozzetti si coglie proprio l’impossibilità dei personaggi a realizzare il proprio obiettivo per deficienze proprie o per impedimenti sorti nel contesto in cui operano. Quanto accade a Fofò, animatore culturale, è emblematico delle difficoltà che si frappongono all’energia eccezionale di tutti gli empedoclini . Il lettore si ritrova in un microcosmo che, col senso e col senno di oggi, diviene rappresentativo dell’umana complessa fragilità di tutti i tempi, osservata e studiata dall’occhio acuto dell’autore che  vuole comporre  non soltanto un mosaico locale, soddisfacendo così la sua volontà di ricordare, ma fare riferimento a  un mosaico più ampio di “storia civile” dell’isola. Le pagine scorrono veloci e ariose per l’affettuosa ironia che le connota e per lo stile asciutto, dove le espressioni dialettali hanno il sapore del linguaggio dell’anima.

 

 

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