LA CURA DEI GIARDINI NELL’ANTICO EGITTO
Daniela Crispo
I giardini dell’antico Egitto, ideati come rifugi verdi, oasi di tranquillità nel deserto, luoghi di bellezza e ristoro per il corpo e la mente, erano realizzati secondo un preciso schema architettonico, con uno complesso impianto di irrigazione che permetteva la coltivazione di diversi tipi di piante, fiori e alberi da frutto. Erano considerati un simbolo di fertilità, rinascita e abbondanza. Un luogo dove il divino e l’umano si incontravano. I templi erano dotati di giardini, all’interno del maru, il recinto sacro, il rigoglio della vegetazione celebrava la potenza del dio ed il potere del Faraone. Per i maggiorenti del regno possedere una casa all’interno di un giardino costituiva l’esibizione del rango sociale caratterizzato dal godimento della frescura e della bellezza delle piante, dalla garanzia di nutrimento, dalla proiezione magica di tutti questi beni nell’aldilà per assicurare una felice esistenza del proprietario del giardino dopo la morte. Ma anche un modo di evocare Hathor, la dea della gioia, della bellezza e dell’amore, accompagnatrice dei defunti nell’aldilà. A lei era sacro il papiro, mentre il loto richiamava magicamente il ciclo solare, il suo eterno rinascere di ogni giorno, la ninfea blu era considerata una porta d’accesso all’aldilà. L’esempio più prezioso di una testimonianza di giardino egizio proviene da un affresco tombale di un alto ufficiale del faraone Amenofi II, databile attorno a 3400 anni fa, che raffigura un giardino a pianta quadrata, cinto da mura, in cui le coltivazioni sono scandite in aiuole geometriche. Il mestiere di giardiniere era considerato gravoso, secondo quanto Kheti dice al figlio nell’Insegnamento :” Il giardiniere porta il giogo, le sue spalle sono sotto carichi d’acqua…”.