VIA MARMOREA

(Francesco Paolo Rivera*)

 

…  è mai esistita a Palermo la via Marmorea …?

La via, nata alcuni secoli fa, esiste ancora oggi, anche se con un  nome diverso: è l’arteria più antica che divide in due la Città, è la strada che partendo da Porta Nuova (1) raggiunge Porta Felice (2), … è l’attuale corso Vittorio Emanuele, molto più nota con il nome di Cassaro, ma anticamente denominata anche “via Toledo”. L’antica città – la Paleopoli – circondata da fortissime mura “ambitiosam moenium structuram, et lapides admirandas” era divisa, nel mezzo, in due, da una strada che negli atti e nei privilegi più antichi venne denominata appunto “via Marmorea”, forse perché lastricata con “balate di marmo grigio di Billiemi” (3). Tale lastricato pare che sia durato fino ai tempi di Federico d’Aragona e divelto, nel 1325, per scagliarlo contro i soldati di Carlo d’Angiò duca di Calabria figlio del Re Roberto di Napoli, durante le guerre che seguirono il Vespro Siciliano. Qualche autore sostiene che, nel 1703 quando venne lastricato il Cassaro furono rinvenute alcune grandi “balate” del tempo antico, infisse nella via Marmorea. Secondo l’urbanistica della Città antica, la Paleopoli di Polibio, in base a quanto riferito da Gaspare Di Reggio (4) era suddivisa all’interno delle sue possenti mura, in cinque regioni dette “quintieri”:  Loggia,  Kalsa,  Seralcadi (5), Albergheria, Cassaro, i cui confini territoriali sono incerti. Ogni quintiero era amministrato da un Giurato, da un Maestro di Piazza e da un Giudice Idiota (6) tranne che il Cassaro che ne aveva due, in segno di preminenza, in quanto primo quartiere abitato della Città e come tale primo agglomerato che diede origine alla Città. Nei quintieri, che erano, presumibilmente, vere e proprie regioni autonome, amministrative e giudiziarie di primo livello, erano inserite delle entità urbanistiche (contrade) come la Kemonia (7), la Yalca, la Pissotus (8), i Divisi, S. Anna al Capo, Aynirumi (9), la Torre Tonda (10), la Conceria, ecc. La strada del Cassaro, secondo l’Amari (11), fu costruita dai Musulmani nel IX secolo d.C., a opera degli emiri Aghlabiti che svilupparono la città, e secondo un manoscritto (da lui tradotto) il viaggiatore Ibn Djobayr, nella città vecchia denominata KASAR vide “magnifici palazzi, castelli con torricelle che si innalzano nell’aria a perdita di vista e abbagliano per la loro bellezza e come Cordova giacente nel centro della città nuova”. Il gesuita Salerno spiega che il nome Cassaro proviene da “HAL CHATSAR”, che significa campo chiuso, fortezza. Questa era la antica paleopoli, recinta dai muri di cui sopra. La antichissima via Marmorea, denominata anche Cassaro, venne allargata per volontà del Vicerè Garcia Alvarez de Toledo y Osorio (1514-1577), al tempo del Pretoriato di Vincenzo d’Afflitto (12). Quest’ultimo abitava nel palazzo di sua proprietà posto proprio in via Marmorea, e …. tutto il mondo è paese …., “non volendo il d’Afflitto che fosse mutata in qualche parte la sua abitazione, lo ingegnero errò la lenza e la strata vinni a finire in costo Nostra Signora di Porto Salvo e così restò in certo modo orba.” (13). Vale la pena ricordare che, al fine di operare il prolungamento del Cassaro si procedette, tra l’altro, alla demolizione della Torre dei Patitelli, nella cui parte terminale erano 84 lettere residuo di una iscrizione “cufica” (14). Nella nuova strada del Cassaro nel 1572 si svolse una cavalcata in onore del grande ammiraglio don Giovanni di Austria (15), “riccamente ornata con pomposi cortinagi et regali baldacchini  … parea una vera vaga et rutilante aurora di superba prospettiva”,  e durante il carnevale del 1578, al tempo del Vicerè Colonna, si svolse una corsa ove le “bagascie” si disputavano il palio: “una faldetta con lo busto di raso arancino”. Il 3 giugno 1581 si iniziarono i lavori di demolizione per il prolungamento della strada del Cassaro fino a Porta Felice, voluto detto prolungamento dal Vicerè don Marcantonio Colonna duca di Tagliacozzo. Colui che “ci assistia più di ogni altro” era Modesto Gambacorta presidente del Patrimonio, forse per il grandissimo interesse di mettere in diretta comunicazione la via Grande della Kalsa, ove aveva la sua casa, con la strada del Cassaro. Tutta la strada del Cassaro era selciata con piccole e levigate pietre di calcare inquadrate con fascie di mattoni, le case erano tutte a quattro ordini, … tutte botteghe sotto, piene di ogni sorte di maestranza, … e tale in effetti è questa strada, che non ha l’Italia un’altra simile.”(16) Il 13 aprile 1702 si cominciò a lastricare la strada del Cassaro con il marmo bardiglio (17) di Billiemi, e i lavori vennero ultimati nell’aprile del 1705, come venne indicato da una targa marmorea, infissa in un palazzo in piazza Sett’Angeli tra il Convitto nazionale e la biblioteca nazionale,  di pregevole fattura forse eseguita su disegno di Paolo Amato, ingegnere del Senato palermitano, targa che venne più volte rimossa e ricollocata. Nella cronaca di Antonio Mongitore (18) integrata con le aggiunte del nipote Francesco Serio, si legge “Il Senato fece piantare in certi luoghi destinati del Cassero certi fanali ben grandi, per dar lume nella notte a quella strada, e si cominciarono ad illuminare questa sera: come ancora li cavalieri particolari fecero lo stesso avanti le loro case.”  La prima illuminazione pubblica della via del Cassaro secondo Francesco Serio si ebbe la sera del 4 aprile 1745, mentre secondo Evangelista Di Blasi (19) tale data è il 21 aprile 1744. Molti chiesero e ottennero dai Delegati alla illuminazione, la applicazione di uno o più fanali avanti i palazzi di loro proprietà, obbligandosi al mantenimento dell’olio. Nel 1785 la strada del Cassaro venne illuminata, per disposizione del Vicerè Caracciolo,  con dodici fanali, alla moda parigina (20), che, attaccati con delle corde ai prospetti dei fabbricati prospicienti pendevano al centro dell strada, ma tali fanali non piacquero e il 31 luglio 1785 furono eliminati. Il marchese di Villabianca (21) asserì che “non tutte le cose di Francia sono da copiare, In Palermo anche vi è del buon gusto, e gli ingegni dei siciliani non li cedono agli stranieri”, ed ebbe ragione, infatti a Napoli e a Madrid copiarono la forma dei fanali palermitani per iniziativa di don Tommaso Chacon (22) duca di Sorrentino, il quale restò famoso anche per il sistema di innaffiamento per il Cassaro e la Marina. Nel 1748, allo scopo di eliminare la polvere stradale durante i mesi estivi, nella stagione dei concerti alla marina, (e cioè dal 24 giugno al 31 agosto) un carro botte trainato da buoi, annaffiava la strada a mezzo di un tubo di pelle attaccato nella parte posteriore del carro, che l’umorismo del popolo denominò “la min…. di Giacona”. Tale servizio era remunerato dal Comune con settanta onze. Nel 1788, quello strumento in pelle che aveva sollecitato l’umorismo popolare, venne sostituito con un tubo di legno, lungo e largo, provvisto di numerosi canalini che erogavano l’acqua a pioggia. Questo nuovo servizio venne affidato a un nuovo impresario per quaranta onze. L’acqua veniva attinta tre volte da tre diverse “giarre” (23), una dislocata a sinistra per chi entrava dal lato mare a Porta Felice, una nell’attuale piazza delle Borsa e la terza nell’attuale via Giuseppe d’Alessi. Circa quarant’anni dopo si riconobbe la necessità di rifare la pavimentazione marmorea della predetta strada, con “pietra di Napoli”  che veniva trasportata con enorme spesa da quest’ultima città, ogni “balata” era larga un palmo e poche once e lunga due palmi, di colore cenericcio. Il nuovo lastricato era impiantato, su uno strato di calce e pietra rotta (24), a cominciare dai Quattro Canti e per la sua costruzione, si impiegarono circa 32 anni, sempre sotto il personale controllo del Marchese di Villabianca, il quale dichiarò che i lavori furono ultimati nell’agosto 1777, mentre l’Alessi ne determinò la fine al 23 maggio 1778 (25). Le “balate” impiantate sopra uno strato di calcestruzzo, vennero incastrate mediante una grossa mazzaranga (26). Durante l’inverno, le acque piovane che scorrevano sulla strada obbligavano, coloro che dovevano transitare da un lato all’altro lato della strada, a servirsi di facchini, il che costrinse la Deputazione delle strade a impiantare, nel 1748, cinque ponti in legno con passamani di ferro, muniti di appositi fanalini che garantivano i passeggeri durante l’oscurità notturna (27). Nel 1847 il ponte in legno più grande fu sostituito con un ponte in ferro, ornato dai simboli della Città (l’aquila e la trinacria) che, tempo dopo, venuto meno lo scopo della sua funzione, venne sistemato tra le piante del Giardino Inglese. Nel novembre 1778 vennero demolite le “pinnate” che sporgevano sui marciapiedi (28) e nel 1843 vennero demoliti i balconcini che sporgevano dagli ammezzati sui marciapiedi (29). Mercoledì 3 febbraio 1802 venne murata sulla cantonata della Chiesa Parrocchiale di S.Nicolò alla Kalsa una lapide di marmo con la scritta “via Toledo” e in ogni casa si cominciarono a mettere i numeri civici, stampati su targhette di ceramica, e la individuazione delle “Isole”. Sotto il regno di Ferdinando II° al fine di procedere alla manutenzione stradale e al rinnovamento edile di Palermo, venne fatta una perizia da 120mila ducati da collocare nel capitolato di appalto per la riforma dei marciapiedi e delle opere sotterranee relative alla raccolta delle acque piovane e delle acque sporche, opere che subirono notevoli ritardi a seguito degli avvenimenti del 1860. E per finire, si ritiene opportuno fare cenno ad un avvenimento molto significativo per la conoscenza della storia di Palermo: “Fu nell’uno e nell’altro lato di questa strada, dalla Cattedrale fino a Porta Felice, che le Maestranze Palermitane, con le loro armi, le loro bandiere e i loro tamburi, in perfetto ordine schierate, nel 1735, fecero ala al passaggio di Carlo III° (di Borbone), Re di Sicilia al suo ingresso (19 maggio), nel giorno della sua acclamazione (30 giugno) e in quello della sua partenza (8 luglio),” Mai Sovrani ebbero una “Guardia Reale” composta di sudditi e soldati volontari, più animosi, più fedeli e più fieri della Maestranze nostre!”

(*Lions Club Milano Galleria (108 Ib-4)

_____

(1)  costruita al posto della Porta Reale nel 1570 per onorare la vittoria di Tunisi di Carlo V°;

(2) costruita nel 1582 in onore di Felice Orsini moglie del Vicerè Marcantonio Colonna che la fece erigere

(3) impropriamente chiamato “marmo”, ma trattasi di lastre di pietra calcarea, ricavata dalla montagna di Billiemi vicino Palermo;

  • Razionale (funzionario amministrativo addetto alla contabilità) della Città di Palermo, deceduto nel 1599;
  • dall’arabo “Sari al Cadì” “il Capo” poi Monte di Pietà;
  • dal greco “idios” “proprio, privato, particolare”, si arriva a “idiotes” “privo di cariche pubbliche”, presumibilmente una specie dell’odierno magistrato onorario;
  • dal nome del torrente sotterraneo denominato anche “fiume del Maltempo”;
  • nel quartiere Yalca, se ne fa cenno in un diploma del 1329 trascritto da Luigi Garofalo nel Tabularium Regiae Cappellae Divi Petri del 1835;
  • nei pressi di Porta Carini dietro il Teatro Massimo,
  • piazza S.Onofrio,
  • Michele Benedetto Gaetano Amari, storico, politico, orientalista, fu Ministro della Pubblica Istruzione del Regno d’Italia. Scrisse la Storia dei Musulmani in Sicilia;
  • Vincenzo d’Afflitto, Principe di Belmonte;
  • così si legge nel libro “Palermo Restaurato” dello storico Vincenzo Di Giovanni (1550-1627);
  • trattasi della scrittura araba dei primordi dell’Islam, la cui denominazione (arabo “Kufi”) deriva dalla città di Kufa in Iraq;
  • figlio naturale di Carlo V, che il 7 ottobre 1571 nella battaglia di Lepanto sconfisse la flotta turca,
  • secondo lo storico Vincenzo Di Giovanni;
  • “bardiglio” è un tipo di marmo bianco;
  • presbitero e storico palermitano 1663-1743;
  • monaco benedettino, storico 1720-1812,
  • costarono ben cinque onze ciascuno,
  • Francesco Maria Emanuela Gaetani marchese di Villabianca e conte di Belforte (1720-1802) Senatore, Commissario generale del Regno di Sicilia, Governatore della Nobile Compagnia della Carità e del Monte di Pietà, storico appassionato;
  • denominato dal popolo, don Tommaso Giacona,
  • termine dialettale che identifica la “giara”;
  • definito “intercisato”, così come determinato dalla “Ordinazione e Regolamento della Deputazione del Regno di Sicilia”,
  • pare che fosse sabato, ma già dal 18 maggio era stato vietato il passaggio pedonale e carraio sotto l’arco di Porta Felice, che venne riaperto al traffico il 31 maggio successivo,.
  • grossa mazza conosciuta meglio con la denominazione “mataffu”,
  • il Senato istituì un “massaro” addetto al montaggio e allo smontaggio di tali ponteggi, per il compenso di otto onze all’anno.
  • si disse che venivano costruite di proposito avanti le botteghe per oscurare i generi posti in vendita e per rendere, così, più difficile l’esame della qualità dei tessuti e dei drappi,
  • che si sostituirono con i c.d. balconcini a petto,

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Il nostro sito web utilizza i cookie per assicurarti la migliore esperienza di navigazione. Per maggiori informazioni sui cookie e su come controllarne l abilitazione sul browser accedi alla nostra Cookie Policy.

Cookie Policy