ECHI E RIFLESSI

Fabrizio Sapio

Il nuovo libro di Gabriella Maggio, confermando la solidità e la felice purezza che le ammiriamo già dalle sillogi precedenti, porta il titolo evocativo di Echi (ed. Convivio). Attraverso un rara onestà di parola, Gabriella Maggio raggiunge la chiarità in superficie, dopo aver toccato e meditato la profondità delle cose. E comunica con noi senza retorica. Anche quando traspare la sua profonda cultura classica, come nella poesia in morte di un’amica, la Poeta ne diluisce i colori catulliani con il romantico Foscolo, e la presenza del melograno, frutto legato ai culti inferi, si alleggerisce tra il prosecco e le risate. Gli echi di Gabriella sono gesti e luoghi passati, il brusio di ricordi di persone amate, come nelle poesie dedicate ai familiari, vivide di azioni concrete. Eco è il ricordo dei propri cari evocati intorno a un’immagine da presepio, con gli occhi della bambina pieni di stupore, radice di ogni domanda. Sempre presente una forte empatia, declinata nella solidarietà femminile, per esperienze forti raccontate con scrittura asciutta e concreta: “nel letto sfatto infuria ebbro il possesso / truccato d’amore” perché “l’ordinario non accetta sortilegi”.  Ma il presente delude, “il tempo scorre fiacco tra le mani”. La società è muta, “in questo silenzio profondo delle strade…”, la piazza non è più il luogo dell’incontro, “l’uno sfugge l’altro”. Non c’è più nessuna riflessione, nessun utile commento: “facile musica del quotidiano / parola e cosa, nient’altro” .Tra i ricordi e il presente, sfuma una luce fioca e rapida, sufficiente appena a cogliere l’attimo: riconoscersi “un cuore ancora di ragazza… quando soffi leggeri di vento intrecciano i capelli”; notare che “non più il gallo ma i gabbiani / aprono il giorno”; partecipare a una gita turistica, d’improvviso diventa un visitare il tempo, immaginando passi e sentimenti e pensieri degli antichi abitanti. Abile artigiana sensibile, Gabriella muove le parole solo quando sono asciugate dal sentimentalismo: le sue poesie diventano allora spoglie e essenziali come un albero della vita che ha conosciuto tanti inverni e si dispone a gettare ancora gemme. Gabriella si fa “ansiosa di dire pietose / parole d’amore / a chi si unisce nella scrittura / in quest’albero della vita / che noi poeti portiamo alla luce”. Un libro importante, questo, che ci parla, dritto e senza enfasi, della vita. Con verso sempre sincero e potente, attraversa gli incontri e le circostanze per coglierne l’eco con serenità , presagendo “quell’ultimo passo (che) non avrà faccia dell’ultimo”. Gabriella Maggio sa che le copertine sono importanti quanto i titoli, e ce li fa vibrare come un diapason. L’eco è specchio oscurato e policentrico, che evoca un ascolto indistinto; l’eco è radiografia dell’essenziale. La copertina ne ripropone il tema: è specchio oscuro e capovolto, è riflesso e riflessione, evocata in echi di un tempo smemorato di cui si recupera l’odore; se fossero figura retorica potrebbero essere un chiasmo.

 

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