IL CARRETTO SICILIANO

Francesco Paolo Rivera *

Nel 1810 nacque a Palermo Ferdinando di Borbone, figlio di Francesco I° Re delle Due Sicilie e di Maria Isabella di Borbone Spagna, i quali, costretti a fuggire da Napoli a seguito della rivolta napoleonica, avevano trasferito la capitale del Regno a Palermo. A quell’epoca, in Sicilia le strade di comunicazione erano molto scarse, spesso appena abbozzate, e i trasporti venivano attuati con le merci caricate a dorso di muli, mentre le persone viaggiavano a cavallo o entro portantine. Questo tipo di trasporto comportava, però, tempi lunghissimi in quanto gli animali da soma portavano carichi limitati per dimensioni e per peso, a causa della mancanza di strade. Quando nel 1830, alla morte del padre, Ferdinando II° divenne Re delle Due Sicilie, al fine di promuovere la grande comunicazione all’interno del Regno, dispose la costruzione di strade che consentissero un più facile collegamento tra i centri della Sicilia ma soprattutto una più facile transumanza stagionale delle greggi. Furono così tracciate le così dette “trazzere” (1) la prima delle quali fu la Palermo – Messina-montagne che passando nei pressi di Enna, arrivava fino a Catania. La costruzione delle strade, consentì di utilizzare quale mezzo di trasporto il “carretto”, che, oltre a trasportare merci di varie dimensioni e forme, utilizzando sempre un solo animale da traino, dava la possibilità di trasportare anche persone e di effettuare con una certa sicurezza il guado dei corsi d’acqua che si incontravano lungo i percorsi di comunicazione. Non si sa dove vennero costruiti i primi carretti (se nella Sicilia occidentale o in quella orientale) né chi siano stati i primi maestri carrai. Il suo uso risale sicuramente a prima del 1830 perché descritto da viaggiatori occasionali. Il “carretto siciliano” venne ideato e costruito corto e con ruote molto alte, per ovviare il transito su terreni anche fangosi, l’attraversamento di torrenti e di dislivelli notevoli, per poterlo utilizzare sia come mezzo di trasporto di merci che di persone, per trasporti più lunghi, e per potere avere la possibilità di usare, per il traino, un solo mulo o cavallo (2).  Per la prima volta, il “carretto” venne descritto dal letterato francese Jean Baptiste Gonzalve de Nervo nel suo “Tour en Sicile” del 1833 “(3); lo scrittore Guy de Maupassant, nel 1885, nel suo “Diario di viaggio” lo definisce “un rebus che cammina”. Il “carretto” è  composto da “un funnu di la cascia” (il pianale),  da “li masciddari” (le sponde laterali),  da “lu purteddu” (lo sportello di carico posteriore rimuovibile), da “lu trainu (le due aste alle quali si attacca il cavallo); da “li rroti” (due, senza balestre, con cerchioni in ferro, a dodici raggi di legno)  attaccate a lu fusu di ferru”,  fermate con  la “cannula” (il dado); da  “ li chiavi” (le due traverse anteriore e posteriore) e da “lu fusu di la cascia” (la griglia in ferro battuto attaccata al fuso), il tutto costituente il “carretto” vero e proprio, e nella parte sottostante del carretto, da “u rituni” (una specie di sacco di rete ove si mette il recipiente per abbeverare il cavallo), “u suttapanza” (cinghia di cuoio che passa sotto la pancia della bestia per trattenere fermi i finimenti dell’animale), “a coffa” (sacchetto di paglia per dar da mangiare al cavallo), e “lu fanali”  (il lume a petrolio che penzolava, sotto il pianale,  a destra, nella parte posteriore, per segnalare, di notte, la presenza del carretto sulla strada. Infine, ci sta il “carrettiere”, seduto sulla sponda del carretto, con la “zotta” (la frusta, in tono col resto del veicolo, spesso con aspetto sgargiante e perfino vezzoso) in mano, e la fedelissima bestia sempre ligia ai suoi comandi, ma che spesso non aveva bisogno di essere guidata dal conducente, perché conosceva perfettamente la strada. Diversi i maestri artigiani che collaboravano alla invenzione e alla costruzione del carretto siciliano: “carradore” (colui che costruiva o riparava il carretto); “fabbro” (colui che costruiva l’asse portante del carretto, gli anelli a cui si attaccavano le bestie e le altre parti metalliche); “intagliatore” (colui che scolpiva le facce delle aste e le altre decorazioni); “indoratore” (l’artista … il pittore);  “decoratore” (chi decorava le superfici della cassa); “fonditore” (colui che preparava le scatole dei mozzi delle ruote con una lega metallica speciale); “siddunaru” (il pellettiere che preparava i finimenti, i pennacchi, le frangie, i sonagli, i paraocchi … e gli altri “armiggi” per il cavallo. Di carretti ce ne erano parecchi tipi, generalmente tutti eguali nella forma, ma di diversa denominazione per l’uso che se ne faceva: “u tiralloru” per il trasporto della terra, “u furmintaru” per il frumento, “u vinaloro” per quello del vino …e per le dimensioni delle ruote, dalle più piccole alle più grandi:“u carrettu pu scecco”, “u menzu carrettu” (quello per il mulo) e “u carrettu” (quello per il cavallo). Si passa, quindi, alla decorazione dei carri: la decorazione con i colori, poi con i filoni pittorici che vanno dalla storia antica (il ratto delle Sabine, Muzio Scevola, Attilio Regolo, Annibale…), alle storie sacre (alle nozze di Cana, alle leggende di Santi, di Cristo e di Santa Rosalia …), alle guerre dei Normanni contro i Musulmani, alla epopea storico cavalleresche dei “Cuntu” (4) , fino ad arrivare a Garibaldi e ai Mille, alla Cavalleria Rusticana. I primi pittori, quelli dell’ottocento, avevano una istruzione “elementare”, quindi i disegni avevano una prospettiva “bidimensionali”, poi. nel novecento, le tecniche divengono “tridimensionali”.  Nella zona del Ragusano, le decorazioni a olio, erano di tre tipi: “mezza pittura” (nelle sponde laterali del carretto le scene erano molto snellite), “pittura media” (aumentavano i personaggi nelle “sponde”). “pittura sana” (“sana” sta “per intera”: il carretto veniva dipinto e decorato in tutti gli spazi, stanghe e ruote compresi). Per quanto riguarda i tipi di decorazioni, tre sono le principali: quella della provincia di Trapani, che è quella più spartana: pittura ridotta a motivi floreali; quella della provincia di Palermo che appartengono alla sfera di ispirazione evangelica, a fatti della vita della “Santuzza” e quella della provincia di Catania i cui effetti decorativi sono determinati dagli ornati in legno scolpiti finemente, dei ferri battuti (che ricordano, per la loro grande raffinatezza, più lavori da argentiere che di maestro ferraio). Le principali botteghe di pittori carrai furono quelle di Termini Imerese, di Bagheria (5), di Collesano, di Cerda, di Caltavuturo, di Mazzara del Vallo, di Castelvetrano, di Acireale, di Lentini … Un decreto reale del 1880, (quando era Re d’Italia Umberto I° di Savoia), definiva le dimensioni minime e massime dei carretti siciliani, la loro capienza e il loro uso. Il carretto siciliano, nato contemporaneamente alla costruzione delle strade siciliane, già nella seconda metà del novecento non resse, ovviamente, alla concorrenza dei semoventi su ruote e oggi contribuisce a formare un ricordo caratteristico della cultura e della civiltà della Sicilia. Il carretto siciliano, ormai, viene riprodotto in dimensioni minuscole, ad uso del turista, a ricordo di una piacevole visita in terra di Sicilia.

*) Lions Club Milano Galleria distretto 108 Ib-4

Note:

  • 1-denominate “trazzere regie” erano larghe per legge 18 canne e 2 palmi (mt. 37-38), consentivano l’incrocio di due greggi, senza che sconfinassero nei terreni limitrofi o si confondessero gli animali tra di loro. Erano costituite da tracciati, spesso, appena abbozzati che percorrevano vallate, pianure e montagne in maniera più retta possibile. Alcune di queste trazzere che univano centri marinari con località interne veniva denominate “Montagna-marine”, ed erano dotate ad intervalli regolari e in prossimità di centri abitati, di “fondaci”, costruzioni adibite a ricovero per le persone e al vettovagliamento delle bestie;
  • 2-quando la trazzera doveva superare ripidi dislivelli, si costruivano grandi scalee, con scalini bassissimi, larghi e profondi, al fine di dare la possibilità al carretto di essere facilmente trainato lungo la scalea e di superare il dislivello;
  • 3-“una specie di piccoli carri, montati su un asse di legno molto alto; sono quasi tutti dipinti in blu, con l’immagine della Vergine o di qualche Santo su pannelli delle fiancate. Il loro cavallo coperto da una bardatura ornata di placche di cuoio e di chiodi dorati, porta sulla testa un pennacchio di colore giallo e rosso.”
  • 4-Letteralmente significa “racconto” o “narrazione”; ma si riferisce alla tradizione, ormai estinta, dei “narratori di piazza” che intrattenevano con le storie dei Paladini di Francia (Orlando Furioso, Orlando innamorato, Rinaldo, Carlo Magno).
  • 5- anche Renato Guttuso si dedicò alla pittura del “carretto siciliano”

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